Kendrick il poeta
Gesù, Giuseppe e Maria / La grande bandiera americana foderata di artiglieria / Figli e figlie in ossessiva mania / Muri alle frontiere e lungo la via / Ecco il frutto della vostra regia!
Ok, lapidatemi pure per la mia personalissima traduzione di cinque versi di XXX. di Kendrick Lamar ( Hail Mary, Jesus and Joseph / The great American flag is wrapped in drag with explosives / Compulsive disorder, sons and daughters / Barricaded blocks and borders / Look what you taught us!): partendo da “Maria” è difficile eguagliare una sequenza di rime come « Joseph-explosivesdaughters-borders-taught us ».
Il punto è un altro. È che questo signore in cinque rime ha concentrato il problema dell’america (e non solo): l’ipocrisia “Dio e Patria” per giustificare la guerra, i cattivi maestri che giocano sulla paura per costruire muri. Non è un caso se la giuria del Pulitzer ha assegnato il premio per la miglior composizione musicale – una storica prima volta per il rap – al suo DAMN., l’album da cui XXX. è tratto, giudicato «una magistrale collezione di brani tenuta insieme dall’autenticità vernacolare, dal dinamismo ritmico e dalla capacità di cristallizzare in immagini la complessità della moderna vita afroamericana».
Quando giorni fa ho letto la notizia e l’ho commentata positivamente su Twitter, @aconoscitore mi ha fatto notare che quelli di Lamar «se paragonati a un qualsiasi testo di Leonard Cohen appaiono come versi fuoriusciti da un bimbo delle elementari». Gli ho risposto che, rispettosamente, dissentivo. Perché ogni generazione ha i suoi poeti, per questa generazione sono i rapper, e tra i rapper Kendrick Lamar è, per i miei gusti, il poeta più bravo.
Non so per voi, ma per me la musica è sempre stata poesia. Lapidatemi di nuovo, ma «Oggi non ho tempo / Oggi voglio stare spento» mi emoziona tanto quanto «Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale».
Questo numero di GQ lo dedichiamo a tutti voi che amate le canzoni. Buon ascolto.