GQ (Italy)

Generatore di fenomeni

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Qual è il singolo italiano più venduto del XXI secolo? La canzone del capitano di DJ Francesco, con 1,6 milioni di copie. Era il 2003 e difficilme­nte questo record verrà battuto, visto che più o meno in quel periodo Napster offrì la prima condivisio­ne peer-to-peer dei file musicali, abbattendo di fatto − e per sempre − l’acquisto di dischi.

Oggi Francesco Facchinett­i ha 38 anni e non canta più da diverso tempo, ma in compenso è il manager dell’artista italiano più venduto del 2017: Riki, che con 150mila copie ha battuto (di oltre 30mila) la premiata ditta Fedez e J-AX.

«Ho smesso di cantare presto, quando ho capito che avevo sogni troppo grandi rispetto al mio talento», racconta. «Ma soprattutt­o, crescendo non stavo più nei panni del personaggi­o di DJ Francesco, che avevo creato a tavolino con Claudio Cecchetto». Già, perché Facchinett­i è l’ultima scoperta del più grande talent scout italiano, ed è anche l’unico ad averne seguito le orme.

«Cecchetto è un genio. Ed è l’unica persona a cui ancora oggi affiderei la vita. All’epoca mi disse tante cose, che puntualmen­te si sono avverate. Anche che un giorno avrei fatto il suo lavoro. Da lui ho imparato che questa profession­e è fatta di dettagli e che bisogna curare ogni progetto in maniera chirurgica. Il suo mantra è: “Sulla strada si rischia di morire, ma anche di vivere”, nel senso che bisogna provarci sempre, senza paura».

Dopo gli esordi canori, Francesco Facchinett­i ha fatto tanta television­e e un po’ di cinema, ma da sette anni circa è un manager a tempo pieno, sia di musicisti che di webstar. «La passione per i nativi digitali è nata in un appartamen­to in Brianza, insieme a Luca Casadei, Daniele Battaglia, Eugenio Scotto, Stefano Longoni: ci siamo interessat­i per primi ai talent di Youtube, come Frank Matano, capostipit­e di una nuova generazion­e di artisti. Oggi ognuno di noi ha un’agenzia di management di webstar, ma la prima scintilla di questa new economy si è accesa in quella che per me è la Silicon Valley italiana: Mariano Comense».

«La cosa più sorprenden­te che ho imparato in questo lavoro è che la passione non può essere l’unica motivazion­e. Ci vuole cuore, certo, ma soprattutt­o testa, lucidità e freddezza nel prendere le decisioni. Anche perché i ragazzi di oggi sono molto più negativi e diffidenti rispetto alla mia generazion­e, ed è possibile convincerl­i solo con i risultati. Alla loro età io ero più incoscient­e, conoscevo meno il mondo: adesso invece, grazie ai social, i giovani sono molto più informati, ma anche più spaventati e prudenti nelle loro scelte».

Quanto conta, per un talent scout, avere un passato da popstar? «Molto. Riesco a capire meglio i miei artisti, perché so come ragionano. Loro lo percepisco­no, si fidano e mi seguono anche nelle idee apparentem­ente più spericolat­e».

In rete girano cifre astronomic­he sul patrimonio personale di Facchinett­i, che si aggirerebb­e tra i 30 e 50 milioni di euro... «Non bisogna fidarsi di tutto quello che si legge in Rete. Però è vero, ho sempre avuto un animo imprendito­riale. Da ragazzino per esempio volevo lo scooter, ma i miei genitori non mi accontenta­vano: papà è tirchissim­o, mamma una hippy. Così, con gli amici del paese mi sono messo a organizzar­e feste, era il piano più semplice per fare velocement­e un po’ di soldi. Dopo un anno avevamo guadagnato così tanto che, oltre agli scooter, ci siamo comprati un monolocale dove abbiamo allestito una sala giochi. In seguito l’abbiamo affittato e ne abbiamo comprato un altro, poi un altro e un altro ancora. E così via, espandendo­ci ben oltre la Brianza, fino a Roma. Col passare del tempo ho iniziato a investire in startup: alcune sono andate molto bene e altre decisament­e meno, ma questi sono i rischi del business».

Rischi come quelli che si corrono anche in campo musicale. «In questo momento Riki, Enrico Nigiotti e i The Kolors sono i più forti che abbiamo, ma ci sono tante altre novità su cui stiamo lavorando: Davide Locatelli per esempio, un pianista incredibil­e; una ventenne indie che si chiama Marte; un rapper di Varese di nome Christian. E poi Irama, quest’anno ad Amici di Maria De Filippi, con cui vorrei davvero lavorare in futuro perché ha una grande capacità di scrittura melodica. Il mio è un percorso faticoso e rischioso, lo so, ma voglio rimanere indipenden­te per avere totale libertà. Perché come dice l’uomo Ragno: “Da un grande potere deriva una grande responsabi­lità”».

«In questo lavoro ci vuole cuore, ma soprattutt­o lucidità nel prendere le decisioni. Perché i ragazzi di oggi si convincono solo con i risultati»

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