Avventura on the road nel deserto australiano
Come hai conosciuto i Bobbsey?
«Ero il vicino». Come ti sentivi prima della partenza?
«Ero un groviglio di desiderio carnale e di rimorso». Da cosa fuggivi?
«Avevo gli ufficiali giudiziari alle calcagna... Chi avrebbe pagato gli alimenti per un bambino che non era suo, tollerato il doppio insulto di essere deriso per le corna e di essere condannato all’implacabile tormento di dover pagare per il frutto dell’adulterio?». Cosa ti hanno proposto i Bobbsey?
«Di partecipare alla Redex Trial come navigatore». In cosa consisteva la Redex?
«Era una cosa per spacconi e fanfaroni. Duecento pazzi che circumnavigavano il continente australiano, più di quindicimila chilometri di strade nell’outback». Con che macchina gareggiavate?
«La stessa macchina con cui l’uomo medio andava al lavoro». E com’è andata?
«Diventò la mia avventura sulla strada dei cristalli, così chiamata per le schegge di vetro dei parabrezza disseminati lungo i bordi. La cartina ufficiale definiva la strada “ondeggiante”, il che voleva dire che era costituita da una serie di rampe per cui l’auto si sarebbe trovata per metà del tempo sospesa nel vuoto». L’ostacolo maggiore?
«L’ondulazione ipnotica dell’asfalto e la tendenza del bestiame vagante ad appostarsi fra le ombre delle nuvole». E Irene?
«È incredibile come una salopette riveli il corpo quando l’idea di base è l’esatto contrario». Cosa ti piaceva di lei?
«La sua anima allegra e maliziosa». Difetti?
«La convinzione di poter avere tutto quello che voleva. È così che gli uccelli vanno a sbattere contro i vetri». Mandava segnali?
«Mi lanciava pugnali con gli occhi». E tu?
«Il mio corpo s’inarcò in un franco desiderio. Il sesso è dappertutto, soprattutto quando lo sfuggi. Fa agganciarti agli alberi come se avessi gli artigli, raspare la corteccia come un micione». Poi l’incidente...
«La piana di Nullarbor. Se l’australia avesse un sedere, questo è il punto in cui evacuerebbe. Le mie ossa erano precipitate tutte nel fondoschiena. Le budella mi finirono in bocca e la parte posteriore dell’auto fu scaraventata a lato della strada». Cosa hai pensato?
«Ci siamo, finalmente vivo la mia vita». È lì che Titch se n’è andato, e avete caricato l’aborigeno che vi aveva salvati.
«Il dottor Batteria. Il braccio di un flipper esistenziale, un dio che mi aveva spinto verso il mio fato». Che cosa voleva il dottor Batteria?
«Occuparsi della mia istruzione. Non era troppo tardi per me per diventare un vero aborigeno». Cosa ti ha insegnato?
«I culti segreti che si opponevano alla colonizzazione dei bianchi... Le piste del Sogno». Cos’hai imparato?
«Che il nostro paese natio è una terra straniera e ancora non ci siamo guadagnati il diritto di parlare la sua lingua». Morale?
«Che Dio benedica il volto raggiante della signora Bobbsey, con la sua salopette e la maglietta che s’intravede».
Protagonista di questo romanzo dell’australiano due volte Booker Prize Peter Carey è un terzetto irresistibile, composto da marito e moglie fanatici piloti di automobili (Titch e Irene Bobbsey) e da un eccentrico esperto di cartografia, in fuga da un passato sconosciuto a lui stesso (Willie Bachhuber). Siamo negli Anni 50: durante una gara estenuante in Australia, tra le calamità più assurde, i tre impareranno a conoscersi e a fare i conti con la cultura di un continente che vive in un mondo parallelo ignoto ai bianchi. In equilibrio tra le peripezie in stile La corsa più pazza d’america e il fascino delle Vie dei canti di Chatwin, Lontano da casa di Carey è una storia d’esuberante vitalità.