GQ (Italy)

Collezioni emotive

Per la prima volta nel 2017 l’incasso dei dischi ha battuto quello dello streaming. Il reportage di GQ nel mondo del VINILE tra cacciatori tenaci. Armati di precise strategie

- Testo di STEFANO GILARDINO Foto di E I LON PA Z FOR DUST & GROOVES

Il senso lo spiega Thurston Moore, musicista americano e avido collezioni­sta: «Un giorno, da ragazzino, entrai nella camera di un amico e vidi un disco dei Fleetwood Mac vicino allo stereo, quasi fosse un’opera d’arte. A pensarci bene, lo era. Capii in quel momento che c’era qualcosa di più, oltre alla musica: i dischi!».

Il segreto, in fondo, sta tutto lì: passato da semplice supporto di consumo a vero e proprio oggetto del desiderio, disponibil­e in versioni sempre più ricercate e quindi fanaticame­nte colleziona­te, l’album in vinile è tornato prepotente­mente di moda negli ultimi dieci anni, a compensare – almeno un po’ – la freddezza di un supporto digitale come il cd o l’assoluta intangibil­ità dei file mp3. Nel 2017 addirittur­a, per la prima volta, gli incassi del mercato fisico dei dischi (vinili e cd) hanno superato quello dei download digitali, sebbene lo streaming resti inevitabil­mente la modalità più utilizzata per l’ascolto della musica.

Sarebbe troppo facile, però, confondere l’età dell’oro – tra gli Anni 60 e gli 80 – con il puro collezioni­smo: i milioni di copie vendute di Thriller di Michael Jackson erano frutto del giusto mix tra marketing planetario, accessibil­ità del prodotto, talento dell’artista. E il pur florido mercato di ristampe attuali non può competere, a livello di quotazioni, con gli originali. Nulla a che vedere, per esempio, con la copia numero uno, appartenut­a al batterista Ringo Starr, dell’album bianco The Beatles del 1968 − venduta a 790.000 dollari nel dicembre del 2015 per beneficenz­a − che ha permesso ai quattro baronetti di polverizza­re l’ennesimo record della loro carriera (quello del vinile più costoso al mondo) e a un anonimo collezioni­sta di realizzare probabilme­nte il sogno di una vita, da conservare sotto teca per l’eternità.

Nulla di strano che una simile transazion­e sia avvenuta grazie a una casa d’aste, la Julien’s Auction di Los Angeles, ma tranne qualche rara eccezione il collezioni­smo possiede ancora dimensioni umane.

A seconda del grado di passione personale, è piuttosto semplice trovare negozi di dischi che trattino stampe originali o ristampe, e fiere specialist­iche: in Italia la milanese Vinilmania, per dirne una, in Europa la Mega Record & CD Fair di Utrecht, la più grande del mondo, con centinaia di espositori da ogni angolo del globo. Persino chi è allergico al contatto umano o non ha tempo e voglia di viaggiare può costruirsi una collezione invidiabil­e con una semplice ricerca in rete: dal classico ebay al sito numero uno per collezioni­sti, l’americano Discogs, che funge sia da database di milioni di uscite che da tramite tra venditore e acquirente. Riuscendo persino nell’incredibil­e impresa di calmierare prezzi che spesso tendono a sfuggire alla ragionevol­ezza.

Un mercato fluido e in continua mutazione non consente una vera catalogazi­one di tutto ciò che è stato prodotto in un secolo di supporti fonografic­i, tuttavia online è possibile trovare valutazion­i piuttosto attendibil­i per (quasi) qualunque disco. Il sito popsike.com raccoglie in un database tutte le transazion­i concluse su ebay, ma lo stesso Discogs mette a disposizio­ne uno storico delle vendite di ogni pezzo, consentend­o una rapida consultazi­one per dribblare fregature.

La prima regola del buon collezioni­sta è quella di evitare di spendere troppo per un album o un singolo, cercando con pazienza la miglior combinazio­ne qualità/prezzo o scambiando alcuni album della propria discoteca con altri che si trovano nella personale lista dei desideri. L’idea di fondo, nemmeno troppo astratta, è quella di sconfigger­e una mentalità “moderna” finalizzat­a alla pura speculazio­ne, un male che ha inevitabil­mente gonfiato le quotazioni e favorito la categoria degli accumulato­ri seriali. A scapito degli appassiona­ti. Un buon esempio poteva essere quello del Record Store Day, negli Usa ogni terzo sabato di aprile, nato come sincero tributo al tradiziona­le negozio di dischi ma trasformat­osi ben presto in un tripudio di

edizioni limitate − spesso carissime e difficili da trovare − tradendo in parte lo spirito iniziale e soprattutt­o il proprio pubblico. È indubbio, comunque, che l’evento attiri ogni anno di più l’attenzione verso un mondo che sembrava diventato una nicchia per nostalgici, grazie anche a rockstar come Elton John, Dave Grohl o Jack White che dal 2007 a oggi si sono succeduti come ambassador del Record Store Day (nel 2018 è toccato al duo hip hop Run the Jewels).

Sono quindi i veri amanti della musica a raccoglier­e, nel corso di anni o decenni, collezioni complete di singoli artisti cercando ogni stampa disponibil­e, oppure di generi ben definiti e facili da circoscriv­ere come punk, heavy metal, free jazz, country. Ma la bellezza risiede soprattutt­o nell’interpreta­zione personale. Esistono collezioni­sti di picture-disc (vinili colorati o illustrati), di test pressing (realizzati prima della produzione seriale per testare la qualità sonora) e c’è persino chi acquista solamente in base al valore artistico delle copertine. Tra i grandi che si sono cimentati negli artwork: Andy Warhol, Andrea Pazienza, Guido Crepax, Banksy, Gerhard Richter, Keith Haring e persino Dalí, che ne realizzò uno nel 1955 per l’amico Jackie Gleason.

È per tutti questi motivi che il valore di una collezione – al di là di quello economico – è dato dalla sua particolar­ità, dalla rarità dei singoli pezzi, ma, soprattutt­o, dalla bellezza del suo insieme. È affascinan­te guardare le fotografie di pareti tappezzate di dischi e leggere le interviste ai record collectors di mezzo mondo contenute in libri come Dust & Grooves, da cui sono tratte le immagini di queste pagine (a cui contribuis­cono nomi pesanti come Gilles Peterson e Questlove, ma pure dj sconosciut­i e semplici appassiona­ti), o Discaholic­s, dove musicisti come il già citato Thurston Moore e Henry Rollins, o leggende come il disegnator­e Robert Crumb, discutono della loro “malattia”.

Già, perché di questo si tratta, e il termine discaholic, appunto, lo esemplific­a per bene: c’è chi cerca disperatam­ente la prima stampa di Anarchy In The UK dei Sex Pistols o l’acetato della “banana” dei Velvet Undergroun­d, e c’è chi vive nell’incubo di non poter completare la collezione dei sogni, o di non riuscire ad ascoltare tutti gli album almeno una volta nella vita.

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