Collezioni emotive
Per la prima volta nel 2017 l’incasso dei dischi ha battuto quello dello streaming. Il reportage di GQ nel mondo del VINILE tra cacciatori tenaci. Armati di precise strategie
Il senso lo spiega Thurston Moore, musicista americano e avido collezionista: «Un giorno, da ragazzino, entrai nella camera di un amico e vidi un disco dei Fleetwood Mac vicino allo stereo, quasi fosse un’opera d’arte. A pensarci bene, lo era. Capii in quel momento che c’era qualcosa di più, oltre alla musica: i dischi!».
Il segreto, in fondo, sta tutto lì: passato da semplice supporto di consumo a vero e proprio oggetto del desiderio, disponibile in versioni sempre più ricercate e quindi fanaticamente collezionate, l’album in vinile è tornato prepotentemente di moda negli ultimi dieci anni, a compensare – almeno un po’ – la freddezza di un supporto digitale come il cd o l’assoluta intangibilità dei file mp3. Nel 2017 addirittura, per la prima volta, gli incassi del mercato fisico dei dischi (vinili e cd) hanno superato quello dei download digitali, sebbene lo streaming resti inevitabilmente la modalità più utilizzata per l’ascolto della musica.
Sarebbe troppo facile, però, confondere l’età dell’oro – tra gli Anni 60 e gli 80 – con il puro collezionismo: i milioni di copie vendute di Thriller di Michael Jackson erano frutto del giusto mix tra marketing planetario, accessibilità del prodotto, talento dell’artista. E il pur florido mercato di ristampe attuali non può competere, a livello di quotazioni, con gli originali. Nulla a che vedere, per esempio, con la copia numero uno, appartenuta al batterista Ringo Starr, dell’album bianco The Beatles del 1968 − venduta a 790.000 dollari nel dicembre del 2015 per beneficenza − che ha permesso ai quattro baronetti di polverizzare l’ennesimo record della loro carriera (quello del vinile più costoso al mondo) e a un anonimo collezionista di realizzare probabilmente il sogno di una vita, da conservare sotto teca per l’eternità.
Nulla di strano che una simile transazione sia avvenuta grazie a una casa d’aste, la Julien’s Auction di Los Angeles, ma tranne qualche rara eccezione il collezionismo possiede ancora dimensioni umane.
A seconda del grado di passione personale, è piuttosto semplice trovare negozi di dischi che trattino stampe originali o ristampe, e fiere specialistiche: in Italia la milanese Vinilmania, per dirne una, in Europa la Mega Record & CD Fair di Utrecht, la più grande del mondo, con centinaia di espositori da ogni angolo del globo. Persino chi è allergico al contatto umano o non ha tempo e voglia di viaggiare può costruirsi una collezione invidiabile con una semplice ricerca in rete: dal classico ebay al sito numero uno per collezionisti, l’americano Discogs, che funge sia da database di milioni di uscite che da tramite tra venditore e acquirente. Riuscendo persino nell’incredibile impresa di calmierare prezzi che spesso tendono a sfuggire alla ragionevolezza.
Un mercato fluido e in continua mutazione non consente una vera catalogazione di tutto ciò che è stato prodotto in un secolo di supporti fonografici, tuttavia online è possibile trovare valutazioni piuttosto attendibili per (quasi) qualunque disco. Il sito popsike.com raccoglie in un database tutte le transazioni concluse su ebay, ma lo stesso Discogs mette a disposizione uno storico delle vendite di ogni pezzo, consentendo una rapida consultazione per dribblare fregature.
La prima regola del buon collezionista è quella di evitare di spendere troppo per un album o un singolo, cercando con pazienza la miglior combinazione qualità/prezzo o scambiando alcuni album della propria discoteca con altri che si trovano nella personale lista dei desideri. L’idea di fondo, nemmeno troppo astratta, è quella di sconfiggere una mentalità “moderna” finalizzata alla pura speculazione, un male che ha inevitabilmente gonfiato le quotazioni e favorito la categoria degli accumulatori seriali. A scapito degli appassionati. Un buon esempio poteva essere quello del Record Store Day, negli Usa ogni terzo sabato di aprile, nato come sincero tributo al tradizionale negozio di dischi ma trasformatosi ben presto in un tripudio di
edizioni limitate − spesso carissime e difficili da trovare − tradendo in parte lo spirito iniziale e soprattutto il proprio pubblico. È indubbio, comunque, che l’evento attiri ogni anno di più l’attenzione verso un mondo che sembrava diventato una nicchia per nostalgici, grazie anche a rockstar come Elton John, Dave Grohl o Jack White che dal 2007 a oggi si sono succeduti come ambassador del Record Store Day (nel 2018 è toccato al duo hip hop Run the Jewels).
Sono quindi i veri amanti della musica a raccogliere, nel corso di anni o decenni, collezioni complete di singoli artisti cercando ogni stampa disponibile, oppure di generi ben definiti e facili da circoscrivere come punk, heavy metal, free jazz, country. Ma la bellezza risiede soprattutto nell’interpretazione personale. Esistono collezionisti di picture-disc (vinili colorati o illustrati), di test pressing (realizzati prima della produzione seriale per testare la qualità sonora) e c’è persino chi acquista solamente in base al valore artistico delle copertine. Tra i grandi che si sono cimentati negli artwork: Andy Warhol, Andrea Pazienza, Guido Crepax, Banksy, Gerhard Richter, Keith Haring e persino Dalí, che ne realizzò uno nel 1955 per l’amico Jackie Gleason.
È per tutti questi motivi che il valore di una collezione – al di là di quello economico – è dato dalla sua particolarità, dalla rarità dei singoli pezzi, ma, soprattutto, dalla bellezza del suo insieme. È affascinante guardare le fotografie di pareti tappezzate di dischi e leggere le interviste ai record collectors di mezzo mondo contenute in libri come Dust & Grooves, da cui sono tratte le immagini di queste pagine (a cui contribuiscono nomi pesanti come Gilles Peterson e Questlove, ma pure dj sconosciuti e semplici appassionati), o Discaholics, dove musicisti come il già citato Thurston Moore e Henry Rollins, o leggende come il disegnatore Robert Crumb, discutono della loro “malattia”.
Già, perché di questo si tratta, e il termine discaholic, appunto, lo esemplifica per bene: c’è chi cerca disperatamente la prima stampa di Anarchy In The UK dei Sex Pistols o l’acetato della “banana” dei Velvet Underground, e c’è chi vive nell’incubo di non poter completare la collezione dei sogni, o di non riuscire ad ascoltare tutti gli album almeno una volta nella vita.