GQ (Italy)

Esperienze fuori banda

Ora che canta da solo NIALL HORAN è libero di ispirarsi al rock california­no degli Anni 70. Senza rinnegare gli One Direction: «Non ci sciogliamo. Sarebbe stupido non tornare insieme, prima o poi»

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Niall Horan è tornato a Londra, e Londra lo sa. Tra poche ore terrà un concerto in città, è solo la seconda volta dal 2015, quando faceva parte degli One Direction: la coda fuori dalla O2 Academy Brixton è lunghissim­a, sono centinaia le fan che attendono l’apertura dei cancelli. Mentre lo aspetto nella green room, le pareti tremano per le urla di eccitazion­e che provengono dall’esterno.

Riesco a sentire anche la band che sta provando. Una chitarra rotonda, il suono secco della batteria e le profonde note del basso risuonano in armoniosa sincronia. Il sound ricorda il blues, il folk, è qualcosa di organico, nulla di più lontano dal pop meticolosa­mente costruito che ha condotto gli One Direction alla conquista del mondo. Le fan apprezzera­nno?

Niall arriva trafelato. A 24 anni è ancora il perfetto cantante da boy band: occhi chiari, capelli dallo styling perfetto, giubbotto di jeans Percival limited edition sciupato ad arte. Per un breve momento pensiamo di giochicchi­are a biliardo durante l’intervista (c’è un vecchio tavolo sgualcito e io mi sono baloccato un po’ nell’attesa), ma quando gli faccio presente che le stecche sono appiccicos­e decide saggiament­e di accomodars­i sul divano.

Quanti concerti avrà fatto finora? « Oh mio Dio!», sbotta sconcertat­o prima di iniziare a fare i conti ad alta voce. «Ok, 135 date per il tour di Take Me Home. Poi abbiamo fatto due anni negli stadi… direi 800, più o meno».

È un bel po’ di pratica. Con tutta questa esperienza, sente ancora i nervi a fior di pelle prima di andare in scena? «Amo fare i concerti. I primi spettacoli di un tour sono sempre i più impegnativ­i dal punto di vista psicologic­o, ma io adoro tutto questo. Sul palco mi sento totalmente a mio agio. Suonare nelle grandi città fa sicurament­e salire il nervosismo, come questa sera: io vivo non molto lontano da qui e oggi saranno presenti tantissimi miei amici e parenti. Ma solitament­e sono abbastanza rilassato».

Mantiene un atteggiame­nto distaccato? «No, nessun distacco. Mi sento sicuro di me, quindi devo sempliceme­nte fare quello che so. C’è una cosa che mi dà veramente la spinta, lo ripeto sempre, anche se probabilme­nte sembra una stupidata, ma il mio obiettivo è dare alla gente qualcosa che valga il denaro speso. Ho fatto abbastanza concerti e ormai posso capire dallo sguardo se una persona si sta divertendo oppure no (e può capitare a tutti). Mi piace pensare che, se qualcuno spende 30 o 40 sterline per venire a vedermi, io possa riuscire a dargli qualcosa che vale quel prezzo».

Quello che Horan offre oggi ai fan è Flicker, un album scritto quasi interament­e da lui, insieme ad alcuni collaborat­ori, dopo lo scioglimen­to (anzi, no: vedi sotto) degli One Direction. «Ho sempre detto che, se avessi scritto un album, avrei voluto che suonasse il più naturale possibile. Probabilme­nte ha a che fare con il modo in cui sono cresciuto, con i primi pezzi che ho ascoltato sul giradischi di casa. Papà e mamma erano grandi fan di Jackson Browne e degli Eagles».

Il primo concerto a cui ha assistito, in Irlanda quando aveva 4 anni, fu proprio quello degli Eagles: oggi parla regolarmen­te con Don Henley, e a suo merito va detto che appare sinceramen­te stupito quando lo racconta. «Ci siamo detti che un giorno potremmo scrivere qualcosa insieme, ma non so se accadrà, o quando.

«Ho sempre detto che, se avessi scritto un album, avrei voluto che suonasse il più naturale possibile. Forse questo ha a che fare con il modo in cui sono cresciuto, con i primi pezzi che ho ascoltato sul giradischi di casa: papà e mamma erano grandi fan di e degli »

Se avvenisse veramente, e la canzone fosse un successo, credo che non scriverei mai più nessun altro pezzo».

Horan è finito negli One Direction dopo essere stato scartato da Cheryl Tweedy (fu poi salvato da Katy Perry) nella versione britannica di X Factor del 2010. Giusto per fare un esperiment­o, Simon Cowell decise di mettere Horan e altri giovani di belle speranze come Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson e Zayn Malik in un gruppo che Styles suggerì di chiamare One Direction. Nel 2012 il loro disco, Up All Night, divenne il primo album di debutto di un gruppo britannico a raggiunger­e la vetta della classifica negli Stati Uniti. All’improvviso il mondo era ai loro piedi, quasi si trattasse dei nuovi Beatles nell’era dei reality show.

Per preparare l’intervista ho guardato il film sul concerto del 2014 realizzato a San Siro durante il tour Where We Are: se volete capire il significat­o di isteria, andate a vederlo su Youtube. Horan ride: «Fu una bolgia. Lo ricordo come uno dei miei migliori concerti di sempre. È stato un onore entrare nello spogliatoi­o dell’inter, ma anche pura pazzia. Gli italiani sono così passionali!». Qualche settimana fa il film è comparso sulla sua schermata itunes. Ne ha visto qualche minuto prima di spegnerlo: «Ho pensato che forse era meglio aspettare ancora qualche anno».

Gli One Direction sembravano giunti al capolinea nel marzo del 2015, con l’abbandono di Zayn Malik e la successiva separazion­e dei restanti quattro membri della band. Ma Niall ci tiene a puntualizz­are: «Non abbiamo intenzione di annunciare uno scioglimen­to perché sono convinto che nessuno di noi ci creda. Sarebbe stupido non tornare insieme, prima o poi». Tuttavia, per adesso «è divertente avere un po’ di libertà. Volare con le proprie ali. Cercare di fare qualcosa di diverso».

Per Niall Horan, “qualcosa di diverso” suona come i riff del rock california­no Anni 70. «Quella è vera musica. La voglio riportare in vita, ma con un tocco di modernità». Questo non significa che intenda limitarsi a un unico genere musicale: «Credo che mettere insieme diversi tipi di musica sia la cosa più divertente per chi fa il nostro lavoro. Al momento non riesco a smettere di ascoltare Khalid – l’anno scorso aveva un pezzo pazzesco, Young Dumb & Broke – e lo trovo incredibil­e: la sua voce è sovrumana. Mi piacerebbe lavorare con lui, con Shawn Mendes, che è un mio amico, e anche mettermi a scrivere con Julia Michaels. Oggi nella musica non si collabora abbastanza».

Un altro tipo di collaboraz­ione, che assorbe profondame­nte Horan al momento, è quella con Ellie Stidolph, la sua stylist. «Ero orrendo», confessa parlando delle sue scelte ai tempi degli One Direction: «E probabilme­nte non sono ancora a posto. Ma Ellie mi aiuta a esprimermi un po’ meglio. Mi piace lavorare con piccoli marchi londinesi, come Percival. E sono diventato molto amico di Paul Smith: lui è il migliore. Non riesco più a fare a meno dei suoi abiti, anzi ne indosserò uno anche questa sera sul palco. Vale per ogni cosa: nella vita bisogna sempre rischiare un po’ e vedere che cosa succede».

Il tour di Flicker è solo all’inizio. «Ma ho già iniziato a pensare al prossimo disco. Sono tranquillo e rilassato. Ho voglia di fare cose nuove». E schizza via, verso il palcosceni­co.

«Ai tempi degli ero orrendo. Probabilme­nte non sono ancora a posto, ma a poco a poco la mia stylist mi aiuta a esprimermi un po’ meglio. Mi piace lavorare con piccoli marchi londinesi. E sono diventato molto amico di Paul Smith»

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