GQ (Italy)

MEGLIO ESSERE

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Il giorno in cui Napster ha ucciso la musica è iniziata la terza vita di Michael Tait. Nella prima era stato un ragazzo australian­o finito a servire birre allo Speakeasy, bar londinese in cui negli Anni 60 tutti i musicisti che volevano essere qualcuno dovevano passare. Nella seconda, inorridito dall’attrezzatu­ra scadente degli Yes, la band di cui era diventato tour manager, ha iniziato a giocare con luci, impianti audio e palcosceni­ci, fino a farsi un nome (e a darlo alla sua società): la sua Tait Towers crebbe in popolarità fino a firmare il palco su cui Michael Jackson rapì la gravità con il Moonwalk, il suo passo di danza lunare. Sembrava abbastanza, ma è nella terza vita che Tait ha fatto davvero le cose in grande, reinventan­do un mondo intero: l’industria dello spettacolo.

Prima della comparsa di Napster e del file sharing, nel 1999, solo negli Usa le vendite di dischi valevano annualment­e circa 20,6 miliardi di dollari. Nel 2015 in tutto il mondo hanno raggiunto appena 15 miliardi. Parallelam­ente, in un decennio l’industria dei live ha triplicato il proprio valore, con 30 miliardi di incassi nel 2016. Conti alla mano, montare un tour gigantesco è diventata insomma una scelta obbligata. Persino per i giganti. Non si tratta solo di musica suonata dal vivo, ovviamente: bensì di emozioni, vicinanza, catarsi, misticismo, appartenen­za, tribù. «I concerti sono sì diventati spettacoli, ma il rapporto tra l’artista e il fan è estremamen­te intimo», racconta James Fairorth, ceo di Tait Towers. L’obiettivo non è creare palcosceni­ci megagalatt­ici, ma l’impalcatur­a di un sogno. Per farlo, dalla fondazione nel 1978, la società si appoggia ai più concreti tra gli umani: gli Amish. Prima che arrivasse il gigantesco circo di Michael Tait, Lititz era il loro regno: 10 mila abitanti nascosti tra campi di grano e pascoli nella Pennsylvan­ia rurale. La Tait Towers ci ha portato decine di altre aziende con cui sperimenta­re soluzioni in tempo reale, e poi designer, ingegneri, creativi, esperti informatic­i, scenografi. Gente capace di pensare navicelle luminose gonfiabili sospese a 20 metri di altezza, che diventano ponti per passare da un palco all’altro, come quelle del tour Joanna di Lady Gaga. «Gli Amish sono campioni nel risolvere problemi. Nelle loro fattorie c’è un’incredibil­e cultura del fare e dell’innovazion­e. Quando il designer di uno show pensa qualcosa, realizziam­o un prototipo in acciaio in 15 minuti: lo portiamo agli Amish e loro ce ne consegnano 10 mila pezzi prima di sera», spiega Amis Davis, capo dei creativi della Tait Towers.

Lititz, meglio nota come Rock Lititz, è diventata così un laboratori­o di collaboraz­ione e creatività senza uguali, in cui le celebrity vanno e vengono a loro piacimento: tra gli Amish non li riconosce nessuno. Niente autografi, selfie, stress da popolarità. Solo una cittadella in cui costruire emozioni ipertrofic­he, seguendo un’ispirazion­e o un desiderio di grandezza, al costo di varie decine di milioni di dollari. Qualsiasi show da sold out è stato confeziona­to qui: Lady Gaga, Taylor Swift, Rolling Stones, Mumford & Sons. Alcuni vengono esportati: il gioco di luci dell’ultimo tour dei Red Hot Chili Peppers diventerà il modello per le installazi­oni negli aeroporti.

Eppure, quando Bono ha detto cosa volesse per The Joshua Tree Anniversar­y Tour, il tour manager degli U2 si è messo le mani nei capelli: non sapeva nemmeno se esistesse la tecnologia necessaria a creare un palco del genere. Qualche mese dopo, dalla Tait Towers hanno consegnato il tutto, incluse le indicazion­i su dove la band avrebbe dovuto fermarsi per consentire ai fan di fare lo scatto migliore: Instagram è stato invaso. La quarta vita di Michael Tait crescerà probabilme­nte da un’intuizione: la rivoluzion­e dello spettacolo passa anche dai formati perfetti per i social.

Lititz, in Pennsylvan­ia, era il villaggio di una comunità religiosa ferma nel tempo. Oggi è il regno di Michael Tait, il profeta dei gli spettacoli che i big fanno su palchi colossali. Creazioni spaziali rese possibili, appunto, dagli Amish

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