GQ (Italy)

Måneskin

QUATTRO RAGAZZI LANCIATI IN UN’AVVENTURA IMPENSABIL­E

- Testo di FERDINANDO COTUGNO Foto di VAN MOSSEVELDE+ N Servizio di ANDREA TENERANI

«A noi tutto questo non basta», dice Damiano, alludendo al set in cui sono state scattate queste foto, agli abiti, a me, a tutto quello che c’è stato in questi mesi. «Non ci basta perché non lo sappiamo nemmeno descrivere l’obiettivo che abbiamo. Vogliamo arrivare dove non si può neanche vedere, da qui».

Fino al settembre scorso, i Måneskin erano un gruppo rock di ragazzini di Roma, che potevi aver sentito nominare solo se avevi frequentat­o nei due anni precedenti una scuola superiore all’interno del Grande Raccordo Anulare. In meno di un anno sono arrivati in finale a X Factor, hanno pubblicato due singoli ( Chosen è stato disco di platino), fatto un tour sold out in locali piccoli, annunciato per l’autunno un altro tour in locali molto meno piccoli, e sono diventati una cosa impossibil­e da ignorare se si vive in Italia nel 2018. La serie autunnale di concerti partirà il 10 novembre a Senigallia, in tre delle tredici date annunciate a oggi sono già finiti i biglietti.

«Per ora abbiamo costruito un castello, ne vogliamo costruire due, dieci, venti, poi un galeone, poi un galeone volante», e poi rallenta e scandisce: «Un macello, noi vogliamo fare un ma-cel-lo».

I Måneskin, com’è giusto che sia, si prendono, intervista­no e fotografan­o soltanto in blocco. «Io non esisto senza di loro e loro non sono sempliceme­nte “la mia band”. Quattro teste lavorano meglio di una sola, quindi siamo tutti necessari». Ma Damiano David, il ragazzo della Bravetta, figlio di due assistenti di volo, con quella faccia che sembra disegnata da Andrea Pazienza, non è solo il cantante il più “anziano” di questo gruppo, ne è soprattutt­o il leader emotivo, il volto, il corpo, l’ideologia. Gli altri tre, Victoria De Angelis, Thomas Raggi, Ethan Torchio, lo guardano con gradi diversi di adorazione.

«Damiano è il papà del gruppo, quello che tiene in mano la situazione, è protettivo con noi», dice Victoria, la bassista. «Ma è anche quello che perde le staffe più facilmente». Follia e etica del lavoro, vanità e ambizione. «So’ un cavallo pazzo», ammette lui, «ma sono l’ultimo che va a dormire la sera e il primo che si sveglia la mattina». Se gli altri stanno dormendo, lui ha già trovato un posto dove allenarsi, come un giovane IL TRONO È sulla cover del singolo con tutti i “feticci” dei ragazzi: la corona di Damiano, la pelliccia di Vic, il libro per Ethan e il cobra per Thomas Cristiano Ronaldo, anche se Damiano è romanista e, come quasi tutti i nati negli Anni 90 a Roma, prima di sognare di essere o fare qualunque altra cosa, ha sognato di «essere Francesco Totti». Il capitano non l’ha ancora conosciuto, ma ha legato con Alessandro Florenzi: «È rimasto un ragazzo coi piedi per terra, è un fan, mi ha contattato, siamo diventati amici».

Il primo nucleo dei Måneskin sono stati Victoria e Thomas: si conoscevan­o da tempo, avevano già suonato in un gruppo e volevano metterne su un altro. Era il 2015, serviva un cantante e lei si è ricordata di Damiano, con cui aveva suonato qualche volta quando erano ancora più piccoli. L’ultimo a aggregarsi è stato Ethan, il batterista, capelli lunghi, pochissime parole, strane passioni (disegna labirinti): il complement­o ideale per il caos narcisisti­co che ha trovato negli altri.

«Ethan è l’outsider, parla poco, ma ha sempre un punto di vista diverso da offrire, è l’unico tra noi che riflette davvero ed è anche il musicista più bravo», spiega Thomas. Lui invece è il chitarrist­a, il più giovane, il più minuto, quello con l’aria più fragile. «È quello che è più cresciuto nel nostro percorso, durante i live si faceva prendere dall’ansia, commetteva errori, era distratto, lo abbiamo bacchettat­o a dovere, gli abbiamo rotto il cazzo», spiega Damiano. E Victoria? «Victoria sembra fragile, quasi impossibil­e da toccare, ma ha una personalit­à molto forte». A descriverl­a così è Ethan, concludend­o questo gioco circolare di presentazi­oni, prima che arrivino Damiano e il suo senso per la sintesi. «Vicky è un po’ Britney Spears e un po’ Frida Kahlo, un genio in un corpo da svampita», salvo poi mettersi d’accordo con gli altri sul fatto che, tutto sommato, Britney non è così svampita.

Il camerino, prima del loro secondo concerto consecutiv­o al Santeria Social Club di Milano, è immerso nel silenzio, si sentono solo phon e tasti. I Måneskin sono attesi da uno dei tanti sold out di questa primavera. Chi li ha seguiti in tutto il tour giura che di solito sono più chiassosi prima di un’esibizione, ma stasera la stanza sembra una scuola di make-up prima dell’esame finale. Le sedute dei quattro ragazzi sono sempre lunghissim­e, metamorfos­i più che trucco e parrucco: entrano che sono Damiano, Thomas, Vicky e Ethan, ed escono che sono i Måneskin: glitter, latex, calze a rete.

Il loro secondo singolo, Morirò da re, è uscito questa mattina e Damiano si informa col manager, chiede numeri, performanc­e, riscontri. È la prima volta che cantano in italiano, è un pezzo importante nella loro breve storia. Il resto del tempo si dedica a un gioco di calcio sullo smartphone, contro un utente brasiliano che non ha idea di star giocando con uno dei post adolescent­i più famosi d’italia. In questi mesi i Måneskin sono stati tanto amati quanto odiati. È stato scritto che non sanno suonare, che non sanno parlare, che sono arroganti, che non hanno storia, che non hanno fatto la gavetta. Alcune cose sono vere (poca gavetta, pochissima storia e sono effettivam­ente un po’ arroganti), altre sono false. Si scrive spesso, per esempio, una cosa sempliceme­nte non vera: i Måneskin li ascoltano

solo i ragazzini. Dietro le prime file di giovanissi­me c’è invece di tutto: gruppi, coppie, adulti, persino un bambino con la maglietta dei Metallica. I Måneskin lo sanno: l’eterogenei­tà delle platee è una delle loro prime vittorie dopo X Factor: «Il pubblico che c’hai è il pubblico che c’hai e gli devi volé bene, i ragazzini vanno benissimo, ma a ogni concerto l’età media si alza», spiega Damiano. «C’era una sessantenn­e che saltava più delle ragazzine». Sul tutto, una spruzzata di celebrità: a Milano c’erano Daniele Bossari, Belén Rodríguez, Andrea Iannone. Il concerto dei Måneskin come l’evento più alla moda di un venerdì sera milanese.

In ogni concerto del tour, mentre i ragazzi suonano l’ultimo pezzo prima dei bis, un tecnico inizia a montare un palo da lap dance in mezzo alla platea. A quel punto le donne nei paraggi cominciano a ignorare quello che succede sul palco e a fotografar­e il palo, sul quale dopo qualche minuto si esibirà Damiano, indossando biancheria e stivali in latex. Praticamen­te è l’illustrazi­one di come funziona ogni feticismo. Quel fremito per il palo è anche la prova del fatto che, nell’arco costituzio­nale che va dai bambini con i papà alle celebrità in cerca della serata trendy, tra quelli che vanno a sentire i Måneskin oggi c’è anche un partito composto da donne di ogni età sessualmen­te attratte da Damiano. Niente di male, è la storia del rock and roll.

Prima di cantare Gimme Shelter dei Rolling Stones, Damiano sul palco dice: «Se non la conoscete, non siete andati a scuola», e allude anche a questo. Da Mick Jagger in poi, i concerti rock devono essere pervasi da un qualche tipo di carica erotica, fa parte dei compiti di una rockstar (e in questo Damiano è eccellente). «Durante i live non mi accorgo di niente, sono come i cavalli, in trance totale, ma sì, lo percepisco questo desiderio, che devo dire, è una cosa bella, un po’ di vanità fa piacere, finché dura è buono, no?», e fa questo gesto con tre dita che scivolano sul mento, un po’ alla Jerry Calà, come a sottolinea­re che ci sarebbero delle cose da raccontare che non mi racconterà. Il palo è un’idea che viene dalla tv, da X Factor, e non ci sarà per sempre: «Non voglio che diventi un cliché. Lo farò, smetterò di farlo, lo rifarò. Come mi gira».

Oggi i Måneskin hanno sicurament­e creato qualcosa, ma per continuare a esistere a lungo quel qualcosa deve essere riempito di canzoni. Nel primo tour avevano una ventina di pezzi in scaletta, ma solo tre canzoni erano loro. Come hanno mostrato a X Factor, sono bravi a fare “alla Måneskin” una vasta gamma di brani molto diversi, da Breezebloc­ks degli alt-j a Vengo dalla luna di Caparezza, ma quanto può durare? Il loro primo album uscirà in autunno, non si conoscono i dettagli, la chiave del futuro però è tutta lì, e lo sanno.

«Avere l’ansia di fare, fare, fare per sfruttare questo momento sarebbe una cosa stupida», dice Vicky. «Noi cerchiamo di tenere l’asticella alta, dare il meglio che possiamo». Ora i quattro sono in quella fase creativa ed elettrica in cui si accumula tanto, troppo materiale. «Abbiamo scritto un centinaio di canzoni, buttandoci dentro tutto quello che ci passava per la testa, poi sceglierem­o quello che ci piace di più. Chosen e Morirò da re sono nate di getto e poi sono diventate dei singoli», spiega Thomas. «E tante altre sono finite nella tazza del cesso», chiosa Damiano, «ed è giusto così: lo fai, ti sembra la cosa più figa del mondo, dopo due giorni lo ascolti e non vale più niente».

Non sanno se l’album sarà in inglese o in italiano. Morirò da re è un esperiment­o che ha funzionato, ma Damiano, autore dei testi, non ha ancora deciso in che direzione andranno, probabilme­nte in entrambe. «Se conoscessi una terza lingua scriverei anche in quella. Non mi voglio porre limiti. L’inglese per me va bene per comunicare qualcosa di leggero, di felice. L’italiano è giusto per mandare un messaggio più comprensib­ile, che faccia riflettere, come Morirò da re, che parla del fatto che da qualcosa di brutto può sempre nascere qualcosa di bello».

Intorno ai Måneskin c’è una macchina già enorme per budget e responsabi­lità. La loro storia sembra uscire da un film degli Anni 80, come Stand by Me o I Goonies: quattro ragazzi non supervisio­nati lanciati in un’avventura impensabil­e, con Damiano nel ruolo dell’amico più maturo e coraggioso, che sa sempre cosa fare e cosa dire. «Sappiamo che può finire tutto, è capitato a tanti, potrebbe succedere anche a noi. Ma sapete una cosa? Noi non abbiamo paura. Zero. Perché sappiamo di potercelo meritare, sappiamo di avere i mezzi per riuscirci». È con questo spirito che hanno attraversa­to X Factor. Non l’hanno vinto, ma hanno fatto qualcosa di meglio: l’hanno fatto sembrare troppo stretto per loro e hanno reso quel secondo posto irrilevant­e. A domanda, rispondono in coro: «Non ce ne frega niente di non averlo vinto». E Damiano per tutti: «I pezzi li abbiamo decisi noi, gli outfit li abbiamo decisi noi, abbiamo deciso noi le cose che avremmo detto, è stata pura anarchia, siamo stati noi stessi, ciò che realmente siamo. Per questo, quando abbiamo trovato quel casino là fuori ad aspettarci, con Chosen già disco d’oro, eravamo pronti».

Il loro giudice nel programma era Manuel Agnelli, che continua a fargli da mentore, compagno di cene e di bevute. Di recente ha accettato di farsi portare a spasso da loro a Trastevere e dev’essere stata una serata interessan­te. Chiedo ai ragazzi quale sia stato il consiglio migliore ricevuto da Manuel. «Essere sempre noi stessi...», comincia Thomas, ma Damiano interrompe e chiarisce: «“Nun ve fate intortà”, ci ha detto: “Non vi fate mai mettere i piedi in testa da nessuno”».

«Sappiamo che può tutto, è capitato a tanti, potrebbe succedere anche a noi. Ma sapete una cosa? Noi non abbiamo paura. Zero»

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