IL NUOTO NON È PER SOLITARI
Due volte campione del mondo nei 100 metri, due titoli mondiali in vasca corta, 17 ori europei. Filippo Magnini è il miglior stileliberista italiano di sempre e ora che − a 36 anni, dopo l’addio al nuoto del dicembre scorso − per la prima volta nella vita deve affrontare le sue sfide fuori dall’acqua, si tratta di capire come investirà il patrimonio di competenze che ha acquisito nella lunga carriera di sportivo. «Ventisette anni», precisa, «in cui mi sono svegliato ogni giorno alle 7,30 del mattino: 30 minuti di riscaldamento, due ore e mezza di allenamento in acqua, il più delle volte un’altra ora e mezza di palestra. Pranzo, un po’ di riposo, poi più o meno tutto daccapo fino a cena». La vita dell’atleta è questa. E quando finisce, la prima cosa a cambiare è proprio il rapporto con il tempo. «All’improvviso, ogni giornata è diversa dall’altra», dice. « Giro tantissimo, in Italia e all’estero, principalmente per promuovere il mio sport e partecipare a trasmissioni in tivù. Mi piace».
A pochi mesi dall’addio al nuoto, è ovvio che il nuovo corso professionale sia «in fase di costruzione». Ma ha una direzione precisa: «Che rimarrò nel mondo dello sport è sicuro. Ho già avuto incontri con il Coni e con la Federazione. Abbiamo parlato di progetti in cui la mia presenza potrebbe essere importante: ne riparleremo a settembre, all’inizio della nuova stagione sportiva. E se son rose…».
Nel mentre, Filippo Magnini continua a promuovere il centro di fisioterapia Fisioclinic di Pesaro, di cui è socio. E ha perfino in mente un brevetto, legato a un materiale tecnico, per migliorare le performance in acqua. Perché ci sono piccoli accorgimenti di cui solo gli atleti di una certa disciplina «sanno per pratica diretta, quindi più degli scienziati». E, in generale, ci sono caratteristiche preziose, negli sportivi del suo livello, per le quali i cacciatori di teste di qualsiasi grande azienda farebbero carte false.
«Il nuoto mi ha insegnato a stare in un gruppo, a capire che non tutti la pensano come me, che c’è chi è più bravo e chi è più scarso, che bisogna rispettare le regole e saper tirare fuori il massimo quando serve. Soprattutto, che la vita va affrontata di petto». Senza contare i nove anni da capitano della nazionale (è il record italiano): «A volte i ragazzi mi dicono: “Ci manca la tua leadership”. Ne parliamo, continuo a consigliarli. Perché loro non hanno visto in me soltanto un campione, ma anche un modello da seguire. Nel calcio si chiama giocatore-allenatore: ecco, è importante. Ed è qualcosa che potrei continuare a fare».
Ogni sportivo deve imparare a reggere la tensione della prova, attutire l’impatto della sconfitta, ridimensionare l’euforia della vittoria. Un equilibrio che alcuni conquistano a fatica, e non è il caso di Magnini: «Lo ammetto, per me è stato più facile perché mi è piaciuto tutto: allenarmi, gareggiare, avere la responsabilità di una competizione importante sulle mie spalle…». Persino l’addio è stato luminoso quanto una medaglia aurea. «Ci pensavo da tempo, ovviamente, come tutti quelli che si avvicinano alla fine della carriera. Avevo iniziato l’annata a settembre con l’obiettivo dei Campionati europei di luglio. Forse sarei potuto arrivare anche alle Olimpiadi del 2020. Ma il giorno prima dell’annuncio ho sentito che era arrivato il momento. Non ne ho parlato con nessuno, né con i miei genitori né con mia sorella né con gli amici. Volevo che la scelta fosse autonoma. Avrebbe potuto essere un momento triste, invece sono andato ai Campionati italiani, a Riccione, sono arrivato terzo, ho preso il microfono in mano e ho salutato il pubblico. C’è stata la standing ovation, molta gente ha pianto. Ecco, così: lo ricordo come un momento bello».
Forte d’una tempra allenata dalla fatica − che lo spingeva in piscina alle cinque di mattina fin da ragazzino, prima della scuola − oggi l’ex numero uno ha una certezza: «Non c’è niente che possa spezzarmi». Come quella volta, due mesi prima dei campionati di Montréal del 2005, quando un infortunio alla spalla rischiò di metterlo ko. Il medico gliela buttò giù dura: «Se vuoi nuotare nuota, ma sappi che a ogni bracciata proverai un dolore forte quanto una coltellata. Oppure ti fermi e mettiamo tutto a posto». È stato l’anno in cui per la prima volta Magnini vinse l’oro ai Mondiali nei 100 metri.
«Che rimarrò nel mondo dello sport è sicuro. Ho già incontrato il Coni e la Federazione: ne riparleremo a settembre, e se son rose fioriranno»