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Testo di CRISTIANO ZANNI Illustrazi­one di FRANCESCO VULLO

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Come cambiano le onde da surf

La prima competizio­ne ufficiale di surf in “piscina” risale al maggio scorso, quando le squadre di Stati Uniti, Brasile, Australia, Europa e Resto del Mondo (World Team) si sono sfidate nel Surf Ranch di Lemoore, in California: inaugurato nel 2015, il parco acquatico vanta onde artificial­i ritenute “le migliori del mondo”, grazie a una macchina messa a punto dall’azienda dell’ex campione Kelly Slater e che potrebbe essere impiegata a Tokyo, nel 2020, per il debutto di questo sport alle Olimpiadi.

L’idea di generare le onde in modo meccanico risale a quasi un secolo fa: nel 1927, a Budapest, fu realizzata una delle prime wave pool in cui l’acqua simulava movimenti marini. Il primo parco acquatico surfabile, Summerland, debuttò proprio a Tokyo nel 1966. Da allora, i tentativi di riprodurre onde perfette, svincolate dagli eventi atmosferic­i, sono stati innumerevo­li. Persino al Forum di Assago di Milano, negli Anni 90, si registrò il tutto esaurito quando Robby Naish (il più celebre campione e waterman hawaiano) e i migliori profession­isti della tavola a vela si esibirono in un’avvenirist­ica piscina artificial­e.

Finché nel 2005 i tempi erano maturi per realizzare un ulteriore passo in avanti: due fratelli ingegneri baschi di San Sebastián sperimenta­rono con successo un sistema che poteva garantire onde di altezza variabile fino a 2 metri, grazie a un’ala trascinata da cavi sotto il livello dell’acqua e posizionat­a all’interno di una piscina di grandi dimensioni (una tecnica simile a quella adottata adesso da Kelly Slater). È allora che si compresero le enormi potenziali­tà di quest’idea visionaria, e altri provarono a sperimenta­re sistemi similari con alterne fortune. Adesso, la svolta.

Negli ultimi tre anni sono stati inaugurati due parchi acquatici con il sistema Wave Garden dei fratelli baschi, in UK e in Texas (costo: oltre i 15 milioni di euro ciascuno), che hanno superato le più rosee previsioni a livello di affluenza. Ora però gli spagnoli hanno deciso di realizzare qualcosa di differente, con un budget inferiore e che risulti più semplice da gestire, senza bisogno di installare in mezzo alla piscina l’ala e la struttura protettiva che attualment­e limita il numero di surfisti. Il nuovo sistema Wave Garden, denominato Cove, funziona infatti grazie a un ingegnoso sistema di pressione sull’acqua che crea un’onda modulare. Le misure della laguna necessaria si riducono a un triangolo con i due lati di circa 130 metri di lunghezza ognuno e una superficie totale di 15.000 metri quadrati, mentre il numero di surfisti in acqua può salire a 125. Pare proprio che questo nuovo sistema verrà usato prossimame­nte in Australia, a Bristol e a Barcellona.

Il numero dei surf addicted, intanto, ha continuato a crescere: oggi si tratta di uno sport praticato da 10 milioni di persone, di cui 50mila italiani, molti dei quali farebbero carte false per allenarsi anche dove il mare non c’è, e con qualunque situazione meteo. I puristi storcono il naso, come dimostrano i pareri contrastan­ti sulla struttura realizzata dall’undici volte campione del mondo statuniten­se Kelly Slater. Ma se è vero che le onde artificial­i non possono competere con la bellezza degli oceani, è inutile negarne i vantaggi. Gran parte della comunità surfistica italiana, per esempio, si augura già di potersi allenare 12 mesi all’anno, e forse sarà presto possibile: sono già state identifica­te alcune location. Distanti più di cento chilometri dal mare, alle porte di Milano.

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