SAPORI DI FINE ESTATE
Il faro in Sardegna, la masseria in Puglia, il resort nella campagna senese: tre mete di cibo e relax per gustare le ultime fughe della bella stagione
Già il nome è avventura: Capo Spartivento. Percorsi i quattro chilometri di sterrata che lo separano dalla spiaggia di Chia, si arriva al faro, alto quasi cento metri sul mare, strapazzato dal libeccio e dal maestrale, sulla punta estrema a sud della Sardegna. Il faro ha 160 anni, è uno dei più antichi dell’isola, e la struttura sottostante è un resort cinque stelle lusso per non più di venti ospiti. Ma di colpo ci si immedesima nel marinaio di un romanzo di Conrad o nel capitano Nemo. Approdati, si avrà bisogno delle cose buone che confortano gli uomini di mare. Ci pensano Mauro Faa e Maria Carta, che si comportano come fossero cuochi di una casa privata. Lui, classico; lei, con la mano fatata per la pasticceria. Non esiste un menu: la mattina il “furiere” parte per la spesa, c’è la Cooperativa Terra e Sole con i fichi di Chia e le verdure appena raccolte; Eros, il pastore con i suoi caprini; le barche della zona con le cernie, le ricciole, le aragoste. A cena arrivano i ravioli con la ricotta fresca, il San Pietro in teglia, il porcellino. E, alla fine, i dolci sardi di Maria, a cominciare dal torrone espresso.
Se invece l’idea fosse diventare per una settimana proprietario di una villa da condividere con un manipolo di amici o con la famiglia o, esagerando, con un’altra persona e basta? Le Cerase, al centro di 18 ettari di ulivi, carrubi, alberi di ciliegio, con la piscina e il mare di Conversano a tre chilometri,
è solo a un’ora d’auto dagli aeroporti di Bari e di Brindisi; eppure è un universo a sé. Si affitta in esclusiva: cinque stanze da letto e grandi spazi con il piglio eroico della masseria fortificata. Si può fare la spesa in paese e cucinare pigramente o schioccare le dita per farsi apprestare il pranzo o la cena da uno dei cuochi locali messi a disposizione dall’organizzazione. Cavatelli, bbq, bombette, salsiccette, turcinelli. Oppure, capriccio supremo, farsi servire la prima colazione: ricotta, appena ritirata dalla latteria locale, burratine, primosale, scamorze da mangiare col mitico pane locale a crosta spessa, magari ammorbidito da un filo dell’olio pizzichino dell’uliveto intorno; marmellate che arrivano dai terreni della proprietà; capicolli e soppresse. Senza dimenticare di prenotare una lezione privata di panzerotti per fare bella figura al rientro.
Ma supponiamo di essere così viziati da esigere un intero borgo a proprio uso e consumo, dove ogni giorno si può giocare ad Arti & Mestieri dipingendo, meditando, isolandosi nella Beauty spa, catalogando le cinquanta erbe aromatiche dell’orto, imparando a cucinare. Allora si può puntare verso Borgo Santo Pietro, nella campagna senese, dove tutto, dal latte delle 300 pecore che brucano sui cento ettari di prato che digradano verso il fiume Merse ai formaggi, alle verdure, segue il principio “dall’orto al piatto”. E dove il cuoco Andrea Mattei, provvisto di stella della Guida Rossa, è anche esperto in agricoltura biodinamica. Il menu è composto a partire dall’ingrediente principe: quindi non bisogna aspettarsi descrizioni, ma emozioni. Si legge agnello, melanzane, coriandolo: e arrivano spalla e petto con una crema di melanzane e la loro buccia marinata nell’olio di semi di zucca e coriandolo. Scampi, portulaca e mele: che sono gli scampi di San Vincenzo con la loro bisque, le foglie di portulaca del giardino e sfere di mele fermentate. Più altre delizie da un Eden verde.
Da 90 anni importano etichette di grande prestigio e fama internazionale. Ma di quelle che contano e che bisogna aver bevuto almeno una volta nella vita: dagli champagne millesimati della maison Louis Roederer ai Borgogna della domaine de la Romanée- Conti. Eppure, in pochi sanno che dietro la reperibilità in Italia di questi vini c’è una famiglia che lavora con produttori di eccellenza, non solo francesi. «Tradizionalmente abbiamo fatto una scelta politica: trattare prodotti di livello medio e medio alto, dallo champagne ai rossi francesi e italiani, agli spirits di qualità superiore alla media perché siamo una famiglia indipendente e vogliamo trattare con soli produttori indipendenti», spiega Massimo Sagna, amministratore delegato dell’azienda che, in occasione della festa celebrativa nella storica sede, una magnifica residenza immersa nel verde a Revigliasco Torinese, ha spolverato poche e selezionatissime bottiglie di Romanée- Saint-vivant Grand Cru 2014. E una vera chicca attesa da tempo: il Louis Roederer Cristal 2008, alla sua prima uscita ufficiale in Italia. «Un’annata particolare, la migliore dei Duemila, paragonabile a quella del 2002: è destinato a diventare un vino di culto per tutti gli amanti del Cristal», afferma lo chef de cave Jean-baptiste Lécaillon che proprio con questo vino ha ottenuto il massimo punteggio in ben tre continenti. «È uno champagne che si beve già benissimo oggi, ma è un ragazzo, può invecchiare ancora per altri 20-30 anni, ce ne ha messi 10 per aprirsi e non ci sono dubbi sulla sua longevità», precisa Lécaillon. Non sarà propriamente a buon mercato, 195 euro a bottiglia. Ma tutti ben spesi. Soprattutto perché, come spiega Massimo Sagna, «in un mondo di multinazionali i produttori indipendenti non possono competere a livello quantitativo, che vuol dire sul prezzo. Quindi per prosperare abbiamo una sola scelta: produrre qualità, così si berrà sempre meno ma sempre meglio».
Una profezia supportata da una realtà preesistente: «Sei anni fa abbiamo fondato un club di cui sono l’indegno presidente che si chiama Club Excellence, il primo Club dei Distributori e Importatori Nazionali di vini e distillati di eccellenza, che vede riunite le principali realtà italiane che operano nel campo della distribuzione vitivinicola della massima qualità», aggiunge con orgoglio l’amministratore delegato. Il tentativo, riuscito, è quello di fare cultura e puntualizzare l’importanza dell’organizzazione, della distribuzione e del commercio di vini e distillati di prestigio, «settore che sempre più necessita di trasparenza, collaborazione, correttezza e maggior senso di moralità. Aspirazioni che tutti i membri del club condividono».
Dalla storica “coupe”, la coppa amata dall’imperatrice Maria Antonietta, alla flûte, il classico calice affilato di gran voga dagli Anni 20, la rivoluzione del bicchiere da champagne è firmata Riedel. La storica azienda austriaca di cristalli, terzo produttore al mondo di bicchieri, è stata la prima a subordinare la forma alla funzione dimostrando come un calice più ampio aumentasse la percezione del bouquet e degli aromi. Risultato oggi potenziato dalla nuova linea Performance che, attraverso l’effetto ottico, provoca un efficace impatto degustativo e sensoriale.