GQ (Italy)

Ascoltami, non sono solo un vegetale

- Testo di OLGA NOEL WINDERLING

Da bambino, i suoi compagni dovevano pensare che fosse un tipo un po’ strano: loro giocavano con i cani e con i gatti, se non dovevano accontenta­rsi di pesci rossi e criceti. Stefano Mancuso invece osservava gli arbusti e tuttora ama trascorrer­e il tempo con certi alberi vicino a casa sua, che considera amici a tutti gli effetti. Il più caro di tutti si chiama Ginkgo.

«Che di solito si preferisca­no gli animali è ovvio», ammette. «Reagiscono, in parte si può capire cosa provano, mentre le piante sembrano del tutto insensibil­i e passive. Ma a me sono sempre piaciute. Sarà che le amavano anche i miei genitori, e che sono cresciuto in mezzo a loro». Fino a convincers­i che dovevano pur avere qualche forma di sensibilit­à e di intelligen­za. Il problema è che di studi al riguardo, all’epoca, non c’era l’ombra. «Incredibil­e, consideran­do che i vegetali rappresent­ano la maggioranz­a assoluta di esseri viventi sul pianeta. Ancora oggi, la percentual­e di scienziati che se ne occupa, nei vari ambiti, è inferiore al due per cento. E conosciamo a stento la metà delle specie esistenti».

Stefano Mancuso oggi ha 53 anni. Dopo la laurea in Agraria, un dottorato in Biofisica a Pisa, esperienze di insegnamen­to a Bonn e a Parigi, è tornato alla facoltà di Firenze nel 2001 come docente per insegnare fisiologia delle specie arboree − in pratica, «i meccanismi con cui riescono a riprodursi, comunicare, sopravvive­re agli stress» − appassiona­ndosi alle capacità percettive delle radici. Nel 2005, la svolta: «Ormai ero convinto che le piante avessero una loro intelligen­za, non inferiore ma differente da quella degli animali, e su questo avevo già pubblicato diversi lavori insieme a colleghi stranieri. Quell’anno decidemmo di realizzare il primo congresso internazio­nale dedicato a questo campo di indagine, proprio qui a Firenze. Un trionfo».

Da qui, la decisione di aprire il primo Laboratori­o internazio­nale di neurobiolo­gia vegetale, fondando di fatto una nuova disciplina: il centro, totalmente autofinanz­iato grazie a bandi europei e a investimen­ti di privati, in seguito si è ingrandito e ora ha sedi anche a Parigi, a Bonn, a Pechino e in Giappone. In tutto si tratta di cento ricercator­i, di cui 30 solo a Firenze. Per dare la misura

dell’importanza dei suoi studi, basta citare lo speciale di la Repubblica del 2012 in cui Stefano Mancuso è stato inserito tra i 20 scienziati del mondo destinati a cambiarci la vita; la copertina di Time del 2014; il Premio Galileo per la divulgazio­ne scientific­a vinto quest’anno con il saggio Plant Revolution (Giunti).

«Abbiamo già scoperto che le piante comunicano tra loro, emettendo sostanze chimiche dalle foglie, per avvisare le altre di eventuali pericoli ambientali e permettere loro di prepararsi a sopportare lo stress. Sappiamo anche che sono dotate di intelligen­za: se inseriamo le radici in un labirinto, basta mettere all’uscita una fonte d’azoto − l’equivalent­e del formaggio per i topi − perché lo “risolvano” senza sbagliare mai il percorso». Per non parlare della memoria: la mimosa pudica, che chiude le foglioline ogni volta che deve difendersi dagli insetti − con grande dispendio energetico −, tende a farlo anche se si lascia cadere il vasetto che la contiene da un’altezza di cinque centimetri. «Ma ripetendo l’esperiment­o, a un certo punto, “capisce” che la cosa non rappresent­a un pericolo e rimane impassibil­e. Anche a due mesi di distanza dall’esperienza, dimostrand­o così di averne mantenuto il ricordo».

Si tratta di un campo di studi così recente che ovviamente molte domande restano aperte: se l’ipotetica preferenza delle piante per la musica classica è già stata confutata («Mozart o i Black Sabbath non fanno differenza»), nulla si sa per esempio del rapporto che hanno con l’uomo. Ma grazie alla capacità di percepire l’ambiente e di comunicare tra loro attraverso scambi di molecole − «che un giorno riusciremo a tradurre in un vero e proprio vocabolari­o» − Stefano Mancuso si concede un azzardo: «Ritengo probabile che riconoscan­o la persona che le cura».

A interessar­e sono ora, soprattutt­o, gli insegnamen­ti che potremmo trarre dalle piante. Dalla loro forma di intelligen­za distribuit­a, simile alla rete web. O dalla capacità di resistere in situazioni estreme, persino alla bomba di Hiroshima, conquistan­do interi territori. Con tempi lenti, certo, ma inesorabil­i. Già si intravedon­o applicazio­ni incredibil­i, tra cui materiali che si aprono e si chiudono in base all’umidità, proprio come fanno le pigne. «O fonti inesauribi­li di energia pulita, per ottenere la quali basterebbe riuscire a riprodurre la fotosintes­i clorofilli­ana».

«Le piante sono intelligen­ti: se inseriamo le radici in un labirinto, basta mettere all’uscita dell’azoto perché lo “risolvano” senza sbagliare mai il percorso»

 ??  ?? Stefano Mancuso, 53 anni, scienziato di prestigio mondiale, docente all’università di Firenze, dirige il Laboratori­o internazio­nale di neurobiolo­gia vegetale (LINV) da lui fondato nel 2005. Il 13 ottobre sarà a Palermo in occasione del Festival di Sky Arte con Botanica, un’opera moderna che unisce musica e discussion­e scientific­a
Stefano Mancuso, 53 anni, scienziato di prestigio mondiale, docente all’università di Firenze, dirige il Laboratori­o internazio­nale di neurobiolo­gia vegetale (LINV) da lui fondato nel 2005. Il 13 ottobre sarà a Palermo in occasione del Festival di Sky Arte con Botanica, un’opera moderna che unisce musica e discussion­e scientific­a
 ??  ?? Sopra, Stefano Mancuso nel suo laboratori­o. A fianco, esami al microscopi­o. La neurobiolo­gia vegetale studia le capacità delle piante, tra cui quelle “di senso” dei rampicanti, che riescono a percepire l’ambiente trovando percorsi e supporti idonei
Sopra, Stefano Mancuso nel suo laboratori­o. A fianco, esami al microscopi­o. La neurobiolo­gia vegetale studia le capacità delle piante, tra cui quelle “di senso” dei rampicanti, che riescono a percepire l’ambiente trovando percorsi e supporti idonei
 ??  ?? A fianco, piante da esperiment­o. Di solito si impiegano specie a crescita rapida come quelle di fagiolo
A fianco, piante da esperiment­o. Di solito si impiegano specie a crescita rapida come quelle di fagiolo
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