L’impero colpisce ancora
Un recente studio dimostra che il benessere attuale si concentra lungo le strade dell’antica Roma, trasformando così le infrastrutture in indicatori che predicono lo sviluppo. Oltre che in capitalizzazioni a lungo termine
Investire in infrastrutture è un affare che supera le barriere del tempo. La prova arriva da Carl- Johan Dalgaard − 47 anni, docente di Economia all’università di Copenhagen − che con il suo team ha da poco concluso una ricerca insolita: prima ha ottenuto il database geografico delle principali strade dell’era romana compilato ad Harvard. Poi l’ha sovrapposto alle immagini satellitari che mostrano il livello di illuminazione notturna nel pianeta, ritenuto un indicatore di benessere attendibile, là dove più luci corrispondono a un maggior sviluppo. Non solo: Dalgaard e colleghi hanno anche diviso l’intero Impero romano in una griglia serrata (un grado di latitudine per uno di longitudine) e rilevato la densità delle antiche strade all’interno di ogni riquadro, di cui sono state poi misurate la popolazione attuale, le vie di comunicazione e le attività economiche. Uno studio serissimo, insomma. Risultato: i luoghi in cui si concentrava un maggior numero di strade durante l’epoca romana tendono ad averne di più anche oggi, e si assestano a livelli superiori anche in termini di abitanti e di sviluppo. È probabile che il nuovo studio diretto da Carl- Johan Dalgaard apra la via a ulteriori verifiche nel campo della ricerca, in cui si cercano risposte dove la “casualità” non è prevista. Al momento, tuttavia, sul meccanismo che lega infrastrutture antiche e moderne gli esperti coinvolti non possono esprimere certezze, ma dubbi. Soprattutto questo: come si spiega il nesso tra mappe romane e successivo sviluppo economico, se le strade all’inizio furono realizzate per scopi militari, mentre l’aspetto commerciale è stato valutato solo in un secondo tempo? Addirittura, in molti casi, sono nate prima le vie di comunicazione delle città, che quindi non risultano necessariamente collocate in posizioni geografiche ottimali per i progressi futuri. Le strade romane restano progetti infrastrutturali incredibili anche per gli standard moderni. Erano realizzate in diversi strati di base − tra cui pietra, ghiaia e sabbia − su cui venivano posate grandi lastre di pietra. Secondo gli studiosi, al culmine dell’impero, nel 117 d.c., si trattava di oltre 80.000 chilometri di carreggiate in Europa, Medio Oriente e Nord Africa. In quest’ultimo caso, di loro non è rimasta quasi traccia. Il fatto è che qui, tra il 500 e il 1000 d.c., il trasporto su ruote è stato progressivamente abbandonato. Le merci venivano fissate sul dorso dei cammelli o su carri trainati da buoi, probabilmente per favorire progressi nella tecnologia della sella e nella crescente potenza militare e politica di gruppi che tradizionalmente si affidavano agli animali per il trasporto. Così, via via la necessità di tratti lastricati è svanita, insieme al bisogno di prendersene cura, il che spiega perché in Nord Africa soprattutto, ma anche in Medio Oriente, le strade romane non sono state mantenute bene quanto in Europa, dove il transito basato su carrelli è sempre rimasto dominante. Anche in questo caso, lo studio di Carl- Johan Dalgaard conferma il nesso: nei luoghi in cui le antiche vie sono cadute in rovina si registra tuttora una minore densità di infrastrutture, ma esse risultano anche «un predittore meno affidabile della moderna posizione stradale». Acquisendo però, di fatto, un valore indicativo ulteriore, visto che dove si sgretolano perdono persino di efficacia. Se duemila anni fa i romani disegnavano il nostro futuro spostandosi da Occidente a Oriente, oggi la Cina avanza in direzione contraria, con il progetto della nuova Via della Seta che dovrebbe rafforzare l’eurasia. Per sapere se anche queste infrastrutture porteranno benessere ai singoli distretti, oltre che al centro dell’impero, ora possiamo esserne certi: a dirlo sarà il tempo, oltre alla politica comunitaria.