Confraternite
Viaggio nelle confraternite americane. Quarant’anni dopo
Inchiesta: nei college Usa nascono legami (e lobby) per la vita
Non ci sono solo le ammucchiate e i riti di iniziazione più o meno alcolici. Le confraternite, società che radunano studenti e stabiliscono uno spirito di corpo che durerà per sempre, in America sono una cosa seria. La più antica è vecchia quanto gli Stati Uniti: la Phi Beta Kappa nacque nel 1776 al College of William and Mary, augusta università in Virginia seconda solo per anzianità a Harvard, ed educò il presidente Jefferson. Fu fondata dallo studente di greco John Heath, che venne rifiutato da due società segrete (latine) e decise di ribellarsi creandone una nuova di zecca, ovviamente greca. L’idea era di ricreare un immaginario stile di vita dell’antica Ellade fatto di poesia, cultura, liberalismo (e magari un po’ di allegro divertimento politeistico). Phi Beta Kappa ( ΦΒΚ) sta per Φιλοσοφία Βίου Κυβερνήτης − “la filosofia è la guida della vita”. Raccoglie soprattutto studenti di materie umanistiche, è presente in circa il dieci per cento delle università americane, e per esservi ammessi occorrono voti molto alti. Sul suo sito viene definita come «la più prestigiosa società studentesca americana», e include personalità illustri come Bill Clinton, George W. Bush, Jimmy Carter, Dwight Eisenhower. Una super confraternita, insomma, cui se ne aggiungono moltissime altre in tutti gli Stati Uniti.
La Psi Rho, per esempio, oggetto di un libro in uscita il 16 ottobre negli Usa − The American Fraternity: An Illustrated Ritual Manual, del fotografo e ricercatore alla Cornell University Andrew Moisey, edito da Daylight Books − di cui pubblichiamo alcune immagini in anteprima esclusiva. Nel volume i ritratti dei confratelli attuali si alternano ai rituali descritti in un manuale di 60 anni fa: «Giuro solennemente che mi
comporterò per sempre come un Fratello nei confronti degli altri membri della Psi Rho e condurrò la mia parola e il mio comportamento in modo che non disonorino questa confraternita» era − per esempio − una delle formule previste per chi si sentiva pronto a entrare in questa fratellanza.
In generale, si stima che quasi l’ottanta per cento dei presidenti americani abbia fatto parte di una “fraternity” studentesca, e così pure l’85 per cento dei top manager delle società quotate a Wall Street. Per non parlare di ministri, giudici della Corte Suprema, senatori e deputati. Le “frats” sono una via di mezzo tra un Bilderberg (l’incontro annuale per inviti, non ufficiale, di personalità nel campo economico, politico e bancario), una massoneria per i più piccini e Facebook prima che esistesse Facebook. Soprattutto, si tratta di affiliazioni che resisteranno per tutta la vita: in qualunque momento, basterà riconoscere nell’in- terlocutore la propria stessa appartenenza per trovare un amico sicuro nella nuova città. O addirittura una corsia preferenziale per un lavoro importante.
Nell’ottocento le confraternite, ispirate a una leggendaria civilizzazione ateniese, fiorirono ovunque: Sigma Phi, Delta Phi, Psi Upsilon sono solo alcuni degli altri nomi più noti. Inizialmente riservate a maschi bianchi, col passare degli anni hanno aperto a ebrei (Sigma Alpha Mu, nel 1909), neri (la Alpha Phi Alpha accettò gli afroamericani negli Anni 40) e donne (la prima “sorority” fu la Kappa Alpha Theta, nel 1870). In tutto, oggi si tratta di qualcosa come 9 milioni di studenti, suddivisi in 6.233 “capitoli” o sedi in college americani, secondo la North-american Interfraternity Conference, l’associazione di categoria.
Il tema è stato raccontato da innumerevoli film – tra gli ultimi The Social Network, tra i “classici” American Pie e Animal House, con John Belushi. I “frat boys”,
Quasi l’80% dei PRESIDENTI AMERICANI ha fatto parte di una confraternita, e così pure l’85% dei top manager delle società quotate a Wall Street. Attualmente, gli studenti iscritti sono nove milioni, suddivisi in 6.233 “capitoli” o sedi
cioè i membri delle confraternite, abitano nei “lodge” o “frat house”, cioè nelle case all’interno dei college, palazzi e palazzoni che appartengono alle società stesse grazie alle donazioni degli ex membri una volta che hanno fatto fortuna. I “lodge” ospitano in media una cinquantina di studenti: nacquero per colmare la nostalgia di casa per i “freshman” che arrivavano al college e soffrivano di solitudine, nella delicata fase tra l’adolescenza e l’età adulta. Come scrive Nicholas L. Syrett in The Company He Keeps: A History of White College Fraternities: «Era un modo per istituzionalizzare l’amicizia tra uomini che vivevano lontano dalle loro famiglie per la prima volta». Il legame con gli altri «fratelli», proprio come quello parentale, «sarebbe durato per tutta la vita».
Le confraternite servivano anche a scappare dalle micidiali regole dei college, che prevedevano, nell’ottocento, sveglia alle sei, preghiere, lezioni fino a sera e luce spenta entro le ventuno. I college di quell’epoca erano composti quasi soprattutto da religiosi, chiamati “beneficiaries” perché sponsorizzati dalla Chiesa. In pratica: gli istituti, frequentati in gran parte da pii studenti, erano piccoli, noiosi e con principi educativi molto rigidi. Le confraternite avevano dunque il compito di forgiare il carattere dei nuovi maschi americani che avrebbero un giorno costituito l’ossatura del commercio, della finanza, dell’impresa, e che quindi dovevano allenarsi a uno stile di vita ben diverso da quello dei loro colleghi religiosi.
Nelle “fraternities” erano stipate biblioteche migliori di quelle universitarie e venivano molto incoraggiate la poesia, l’oratoria, la lettura di romanzi che era invece proibita nelle università. Proprio per questo motivo, fino a metà Ottocento, si trattava di realtà rigorosamente vietate e quindi tenute davvero segrete: rappresentavano infatti una sfida aperta alle regole,
Le “frat”, sempre caratterizzate da segretezza e rigida divisione per sesso, hanno distintivi, motti, specializzazioni. IL COSTO ÈVARIO : dai cinquanta dollari all’anno per le più esclusive, che però richiedono voti scolastici altissimi, ai duemila più le spese per le altre
come sperimentarono sulla propria pelle i tre studenti espulsi da Princeton nel 1847 per aver partecipato a raduni non autorizzati.
Se all’inizio l’idea era quella di tenere insieme gli studenti sotto lo stesso tetto, da metà Ottocento in poi i “capitoli” hanno iniziato a espandersi in tutto il territorio. I “fratelli” si scrivevano, si tenevano in contatto, fino a creare una vera rete, una struttura in grado di tenere insieme un Paese ancora in parte inesplorato, enorme, e che si avviava verso la guerra civile. Dopo, le confraternite si sono diffuse ancora più velocemente finché a un certo punto l’appartenenza a una “fraternity” è diventata fondamentale: verso la fine dell’ottocento la crescita degli Stati Uniti è diventata esplosiva, il Paese da agricolo si è trasformato in industriale, le aree urbane si sono popolate di nuovi abitanti e far parte di un club ristretto, in un Paese privo di status fisso (senza un’aristocrazia, né un’appartenenza familiare o terriera), offriva enormi vantaggi. Le confraternite pubblicavano tra l’altro gli albi con i nomi dei propri componenti e quelli dei loro genitori, indicandone anche la professione e l’indirizzo: se non di “nobiltà” nel senso letterale – nobilis vuol dire conoscibile – l’appartenenza alle confraternite era un servizio pubblico quasi notarile, che fungeva da anagrafe.
Oggi le “frat”, sempre caratterizzate da segretezza e rigida divisione per sesso, hanno riti di iniziazione, distintivi, motti, specializzazioni. Il costo è molto vario: dai cinquanta dollari all’anno per le più esclusive, che però richiedono voti scolastici altissimi, ai duemila più le spese per le altre, a cui va aggiunto l’acquisto di spillette, T-shirt, felpe, toghe e smoking per i numerosi, frequenti balli. Le iniziazioni sono celebri, con tutta la loro ritualità: il “pledge” prevede prove da superare, spesso poco salubri e molto alcoliche; il nonnismo viene esercitato in varie sfumature, più o meno soft; ma soprattutto ci sono i travestimenti, le letture, le liturgie. Si tratta insomma di una grande preparazione per quella che sarà poi la vita del maschio americano, che per sopportare il logorio della vita moderna ricorrerà volentieri al six
pack di birra e si travestirà il più possibile nei vari carnevali e nelle feste comandate e non. E che seguirà sempre un ideale boscoso di club per gentiluomini: se diventerà potentissimo, chiederà magari di far parte del Bohemian Grove, il club estivo nella California del Nord già immortalato in House of Cards, dove – nella realtà – i massimi potenti americani trascorrono weekend in tenda rigorosamente tra maschi con rituali antichi, senza copertura cellulare.
Nell’ottava puntata della quinta stagione del serial, il presidente Frank Underwood si trascina − in cerca di traffici d’influenze − con un imprenditore della Silicon Valley che sbrocca per la noia e l’età media avanzata, fra tanti allegri magnati anziani, sequoie e querce secolari. Poi è costretto a incappucciarsi sotto un enorme gufo ligneo. Chi c’è stato giura che la scena riproduce perfettamente la realtà di Bohemian Grove nel bosco a nord di San Francisco. Il Grove è stato accusato d’essere molto peggio del Bilderberg: qui sarebbe stato concepito il progetto Manhattan che portò alla creazione della bomba atomica, e secondo i più paranoici pure politiche monetarie e maltrattamenti ai danni di molti Stati esteri. Al Grove ci sono le stesse ritualità delle confraternite, perché di fatto si tratta di una confraternita per adulti: ci si ritrova in tende, divorati dalle zanzare, magari insieme a plurimiliardari in classifica su Forbes e primi ministri esteri, a fare poi quello che gli americani d’ogni ceto amano di più: networking tra maschi eterosessuali, sbevazzando e mettendosi una maschera. Magari scimmiottando un po’ un passato letterario anglosassone o persino umanistico-mediterraneo.
Il Grove Play, per esempio, è un vero e proprio saggio di teatro scritto, diretto e prodotto dagli iscritti, che loro stessi mettono in scena ogni anno rigorosamente incappucciati. C’è poi la Crema
tion of Care, una “cremazione delle preoccupazioni” da effettuare al cospetto di una statua che raffigura sempre un gufo, ma stavolta in cemento armato, alta dodici metri, con all’interno altoparlanti che diffondono il suo verso: «Oh tu, simbolo grande di ogni sapienza mortale, Gufo di Bohème, dacci consiglio!». Per anni, la voce registrata è stata quella di Walter Cronkite, anchorman americano, membro molto rispettato della Chi Phi, che oggi ha quasi cinquantamila membri negli Stati Uniti e che gli ha intitolato un premio.
Certo, si svolgono molte attività alcoliche e poco edificanti tra gli studenti che appartengono all’una o all’altra confraternita, come testimonia anche The American Fraternity: An Illustrated Ritual Manual (in America esiste un ramo del risarcimento danni con avvocati appositi per i misfatti di “frat boys”, che cadono da balconi, finiscono in coma etilico, danno fuoco alle case comuni). Però la “greek life” non è solo questo: ogni anno, secondo il National Information Center, le confraternite dedicano 3,8 milioni di ore in lavori socialmente utili e raccolgono ben 20 milioni di dollari in beneficenza. Oltre a quelli per i college, ovviamente, che così chiudono un occhio su qualche spiritosata di troppo.