Magic Johnson, Larry Bird
Ovvero il giorno in cui due inguaribili avversari si scoprirono amici
Storia di una rivalità sportiva trasformata in alleanza maschile
Una volta sono stato a French Lick, Indiana, casa di Larry Bird. Ho visto proprio la sua villa, voglio dire, senza sapere che fosse in vendita: era il 2007, me ne andavo a zonzo assieme a Massimo Lopes Pegna − entrambi Gazzetta − in cerca di storie americane per le 22 puntate di un “coast to coast” sportivo (meraviglie professionali impensabili nei giornali di oggi). Massimo aveva già parlato con Bird, che all’epoca lavorava come direttore sportivo agli Indiana Pacers; per ambientare la “story” che lo riguardava avevamo adesso bisogno di vedere con i nostri occhi la sua reggia su Abbeydell Pike, la strada che si addentra nel bosco per spalancarsi all’improvviso sull’immensa tenuta − 20 ettari di verde “irlandese” − del campione. Una proprietà aperta alla vista, per nulla mimetizzata come normalmente sono le ville dei multimilionari, col suo bel campo da basket in evidenza anche più della piscina. Era il mese di giugno, e a settembre Bird l’avrebbe venduta: digitate su Google The legend of French Lick e vedrete un po’ di foto, con le ultime proposte per organizzare lì matrimonio e ricevimento o, meno drasticamente, passarci qualche giorno di vacanza.
La location è centrale nella narrazione dell’amicizia fra Larry Bird e Magic Johnson perché in pratica succede tutto lì in un giorno d’estate del 1986. Per arrivarci, però, prendiamo un po’ di rincorsa tornando al 1978, quando il 21enne Larry è “la grande speranza bianca” della pallacanestro universitaria americana − gioca con Indiana State − mentre il 19enne Earvin è un prodigio che tutti già chiamano Magic, e guida Michigan State. Quell’anno i due vengono selezionati per una rappresentativa universitaria che affronta in torneo, battendole, nazionali vere come Russia e Jugoslavia. C’è una foto che li ritrae accanto, con le canottiere bianche del Team Usa, e un filmato d’epoca nel quale Magic orchestra il contropiede attirando su di sé due uomini per scaricare su Bird: canestro più che possibile, ma gli avversari sono bravi a slittare su Larry. Il quale, allora, la ripassa a Magic, che a quel punto è liberissimo, e infila. «Non è soltanto un grande realizzatore», pensa il futuro play dei Lakers, «vede anche il gioco come lo vedo io...». È l’embrione di una stima professionale che si trasformerà in fratellanza umana.
L’anno successivo Michigan batte Indiana nella finale più vista della storia del basket Ncaa: l’ateneo di Lansing, che per inciso è la città natale di Earvin Johnson, ha una squadra superiore, per colmare il divario Bird prova a strafare, e la sconfitta è netta. Si chiude così, con la vittoria di Magic, il ciclo universitario dei due. Larry è già stato prenotato dai Boston Celtics nel draft del ’78 (al numero 6), e raggiunge la sua franchigia; Magic viene chiamato dai Los Angeles Lakers come prima scelta assoluta del draft ’79. Per farla breve con cifre e statistiche − non sono il cuore di questo racconto − si ritireranno 13 anni dopo con 5 titoli Nba per Johnson e 3 per Bird. Il che significa che Los Angeles e Boston hanno dominato gli Anni 80, quelli della rinascita dell’nba.
Concentriamoci adesso sui due protagonisti. Earvin Magic Johnson è un afroamericano sempre sorridente: non c’è foto d’infanzia che non lo ritragga allegro e giocoso, e sì che il padre sparisce ogni mattina alle 6 per andare a lavorare e anche la madre deve accollarsi numerosi sacrifici per mandare avanti la baracca. La giovinezza di Larry Bird è difficile anche al di là dei problemi economici: il padre non ha mai rimontato l’esperienza di guerra in Corea, e dopo anni di alcolismo decide di farla finita lasciando una famiglia numerosa affastellata in una piccola casa. Larry era già stato 24 giorni all’università di Indiana State, ma aveva abbandonato per non lasciar soli i fratelli; il suicidio del padre finisce di convincerlo che il basket sarà il modo per riscattare i Bird dal loro destino, e lo riporta nella palestra universitaria.
In modo molto più leggero, anche Magic Johnson intuisce in quegli anni che la pallacanestro risolverà la sua vita. Definirlo un playmaker è in qualche modo riduttivo − pur essendo corretto − perché i dieci centimetri che come minimo guadagna su tutti i pari ruolo lo rendono praticamente immarcabile: i suoi sono mismatch naturali, le difese avversarie devono studiare schemi e accorgimenti di estrema complessità per provare a contrastarlo, il che ovviamente porta a una continua epifania dei compagni: al primo accenno di raddoppio Magic trova subito l’uomo libero, magari battezzandolo col passaggio no-look che resterà per sempre il suo marchio di fabbrica.
MAGIC è un afroamericano sempre sorridente. Lui è il sole,
LARRY la luna: bianco ai confini del lattiginoso, taciturno e apparentemente malinconico, in realtà è una macchina da canestri
Guidati da un simile fenomeno, i Los Angeles Lakers interpretano le partite come un perenne “Showtime”: del resto siamo a Hollywood, nessuno ci si può trovare a proprio agio meglio di lui.
Se Magic è il sole, Larry Bird è la luna: bianco ai confini del lattiginoso, taciturno e apparentemente malinconico, in realtà è una macchina da canestri come non se ne sono mai prodotte. La sua meccanica di tiro − impossibile da replicare − è studiata apposta per colpire dalla distanza, anche dalla grande distanza, pur avendo due uomini addosso. Pure lui, come Magic, alla bisogna è in grado di ricoprire tutti e cinque i ruoli. Ma la dote che lascia realmente allibiti è la capacità di competere. E qui sì che siamo arrivati al nocciolo della questione.
Magic e Larry sono accomunati da un desiderio di battersi e di prevalere che non ha eguali a memoria di appassionato di sport. Come succede soltanto ai più grandi, però, il fatto di avere un rivale dello stesso (altissimo) livello è la motivazione che li spinge ad alzare la posta giorno dopo giorno: nessun tipo di odio, soltanto rispetto e ammirazione per chi è capace di toglierti il sonno. Anni fa, a carriere concluse, i due sono stati ospiti di David Letterman per una memorabile chiacchierata al Late Show, e Bird ha raccontato una delle sue turbe: «D’estate, a campionato fermo, io mi allenavo a casa. Andavo in campo e tiravo 700 volte sotto il sole. Stravolto dal sudore, mi dirigevo verso la doccia. Ma a metà strada invariabilmente mi fermavo. “E se Magic, proprio in questo momento, ne stesse tirando 800?”. Tornavo in campo e provavo altri duecento tiri, per salire a 900. Tutto per colpa sua. Erano giochi mentali, ma non potevo farne a meno».
E siamo arrivati all’estate del 1986, quando la Converse decide di produrre uno spot per le proprie scarpette da basket incentrato sui due eccezionali talent. Dove girarlo? Magic propone ovviamente Los Angeles, ma Larry ribatte che la scelta spetta a lui perché quell’anno il titolo è andato ai Celtics. Argomento inoppugnabile, e ovviamente quel pigrone di Bird
non intende muoversi da casa sua. Magic è costretto ad accettare, e ad allontanarsi per 24 ore dalle delizie mondane di Beverly Hills per immergersi nella sonnolenta campagna del Midwest. Un incubo. Il primo incontro fra i due è guardingo, stretta di mano e vai con lo shooting, ma all’una suona la sirena della pausa pranzo. Magic si dirige verso la roulotte a lui dedicata, Larry lo ferma: «Vieni in casa, mia madre ha preparato anche per te». Sorpreso dalla gentilezza del suo storico avversario, Magic si accoda sorridente a Larry. La signora Bird li aspetta sulla soglia della villa, e appena li vede la prima cosa che fa è correre ad abbracciare Earvin − lo chiamerà così per l’intera giornata, commuovendo Magic − per dirgli che lui e soltanto lui è il suo giocatore preferito. Tesi confermata dai fratelli di Larry, che ammicca al rivale con occhi ironici: «Hai visto, nemmeno in casa mia sono considerato il migliore...».
Quel pranzo serve a far capire ai due eterni avversari le radici comuni − l’infanzia povera, la determinazione ad arrivare per la salvezza della propria famiglia, i valori solidissimi di chi ricco è diventato con le proprie forze e non per diritto di nascita − e a far emergere la stima profondissima che li lega. «Non riesco a dormire quando so che il giorno dopo devo affrontarti», dice Magic, «perché tu puoi battermi, e io ne sono consapevole». Nei racconti che ne sono seguiti entrambi hanno definito “meraviglioso” quel giorno a French Lick, perché capace di sdoganare un nuovo amico ma non per questo di sottrarre il rivale che li ha sempre spinti a dare il meglio. Altri duelli verranno nelle stagioni seguenti, e la competizione sarà sempre massima: ma non c’è storia che possa descrivere l’importanza di avere un grande oppositore meglio dell’affettuosa rivalità fra Magic e Bird.
Un giorno terribile attende all’orizzonte quest’amicizia, nell’autunno del 1991. Qualche giorno prima dell’annuncio ufficiale, Magic telefona a Larry per dirgli di essere risultato positivo al test dell’hiv. Sono tempi in cui una notizia del genere equivale a una condanna a morte differita di alcuni anni, ma certa: invece la ricerca medica riesce a trovare la strada per inibire lo sviluppo del virus, e mille trattati sono stati scritti su quanto il contagio di un eroe popolare come Magic abbia accelerato certe dinamiche. In ogni caso, molto prima di dichiararsi immune, Johnson, che nel frattempo è stato costretto a lasciare i Lakers per curarsi, decide che l’ultimo appuntamento sognato, l’olimpiade di Barcellona col Dream Team − la squadra più forte nella storia del basket e probabilmente di tutto lo sport −, non va disatteso. La sua decisione dà la forza di partecipare anche a Larry Bird, che è alle prese con una schiena a pezzi e si ritirerà subito dopo i Giochi. Me li ricordo ancora, nel palasport di Badalona contro la Croazia (gara del girone, non la finale): Magic nel quintetto base con Jordan, Pippen, Barkley e Robinson, gli altri fenomeni in panchina e Bird... ehi, dov’è Larry Bird? Il mistero si svela quando Chuck Daly, il tecnico capace di tenere assieme quell’impressionante quantità di ego, ha bisogno di un tiratore che faccia saltare la zona croata e si china dietro alla panca. Bird, che era disteso per tenere sotto controllo un dolore altrimenti insopportabile, si solleva a fatica ed entra in campo. Magic scende alla sua velocità, finge l’entrata per attirare tre uomini su di sé, e quando è arrivato a centro area scarica all’indietro per il suo vecchio rivale. Per il suo caro amico. Ci credereste? Ciuff.
«Non riesco a dormire la notte prima di affrontarti», disse MAG I C , «perché tu puoi battermi, e io ne sono consapevole». Entrambi hanno definito “meraviglioso” quel giorno in cui è stata sdoganata un’amicizia senza sottrarre la rivalità