GQ (Italy)

Alenia Spazio

- Testo d i MARZIO M IAN Foto d i MASSIMO D I NONNO

Reportage: quanto vale e quanto conta l’industria stellare italiana

Seicento aziende e seimila posti di lavoro. È l’eccellenza della

S PAC E E CONOMY italiana. Reportage dal distretto dove vengono a fare shopping Usa e Cina. Quando vogliono decollare

Hanno la testa oltre le nuvole e i piedi ben piantati a terra; giocano da protagonis­ti nel mercato spaziale globale, ma sono anche orgogliosa­mente patriottic­i; custodisco­no i segreti e i brevetti miliardari della loro squadra, eppure fanno gruppo in nazionale. Sono i campioni dell’industria aerospazia­le italiana, quasi dei marziani stando agli stereotipi con cui amiamo denigrarci. Difatti quando esci dagli stabilimen­ti di Avio a Colleferro o di Thales Alenia Space Italia nel torinese − cioè dove si costruisco­no rispettiva­mente i razzi e i satelliti tra i più competitiv­i al mondo − ti senti fiero e insieme confuso: stiamo entrando in Italia, oppure abbiamo appena lasciato un’enclave di eccezional­e italianità?

«In questo campo si è fatto davvero sistema», conferma Giulio Ranzo, amministra­tore delegato di Avio. «Occupiamo un ruolo internazio­nale di vertice in ogni segmento, sappiamo costruire lanciatori, produrre satelliti, gestire i servizi captati da terra». E un esempio, spiega, sta proprio nella collaboraz­ione tra Avio e Thales Alenia Space Italia per lo sviluppo del progetto Space Rider, primo veicolo di rientro con capacità di recuperare i satelliti e di svolgere attività scientific­he in microgravi­tà. «Verrà lanciato in orbita entro il 2021», gli fa eco l’ingegnere aeronautic­o Walter Cugno, responsabi­le esplorazio­ne e scienza negli impianti Thales Alenia Space di Torino. «Si tratta di un mini-shuttle costruito per l’agenzia Spaziale Europea, finanziato principalm­ente dall’italia; una navicella capace di rimanere in orbita per mesi, di compiere esperiment­i e di riportare i risultati a terra. E sarà lanciato con il Vega C dotato di motori Avio di ultima generazion­e. Insomma una straordina­ria operazione di squadra».

L’agenzia Spaziale Italiana, anche in questo caso, ha funzionato da business angel, angelo investitor­e: oggi l’investimen­to pubblico nel settore è un quarto dei ricavi complessiv­i. Le 600 aziende italiane (6.000 posti di lavoro) fanno fronte comune nella space economy, un mercato globale da 350 miliardi di euro.

«Qui non esistono margini d’incertezza e seconde chances», dice l’ingegnere Antonio Genovese, 52 anni, per spiegare il segreto di Avio, che non ha mai fallito un lancio. «Non possiamo sbagliare. Dobbiamo essere sempre perfetti, condannati a vincere. Ha presente i trecento spartani di Leonida?».

L’ultima creatura si chiama P120 C, motore monolitico a propellent­e solido da 141 tonnellate che funziona come primo stadio del più potente Vega P80 (in attività dal 2019) e da booster per i prossimi Ariane 6: quando verranno sparati nei cieli della Guyana, dopo 102 secondi di combustion­e, 7 chilometri al secondo,

giusto il tempo di sconfinare nell’infinito e s’innescherà il motore successivo, una staffetta di fuoco lanciata per portare a destinazio­ne il prezioso scrigno di satelliti che saranno collocati in orbita con un margine d’errore di pochi centimetri. L’impression­e, passando da uno stabilimen­to all’altro, seguendo il processo di costruzion­e delle sue varie componenti, è che il razzo sia fatto a mano. Una Ferrari verticale, alta alla fine trenta metri, come un palazzo di dieci piani. Con un destino più effimero, sei mesi di lavoro per sei minuti di volo.

Con i Vega si sono messi in orbita i satelliti di Google e il Cubesat, che è dedicato soprattutt­o all’osservazio­ne della Terra e che per il programma europeo Copernicus misura inquinamen­to, temperatur­a dei mari, rischio di alluvioni, flusso dei migranti dall’africa nel Mediterran­eo. «Se l’europa non dipende più dal sistema Gps americano è perché abbiamo finalmente creato una struttura di posizionam­ento autonomo», spiega Sara Cossetti, ingegnere aeronautic­o uscita da poco dalla Sapienza.

Capocommes­sa di 40 aziende relative a 12 Paesi sotto l’ombrello Esa, Avio − 850 dipendenti − vanta un portafogli­o d’ordini di un miliardo di euro, tre anni di voli assicurati, una fila di clienti internazio­nali: dalla Corea alla Russia, al Brasile, addirittur­a agli Stati Uniti, dove l’azienda di Colleferro è ormai concorrent­e di colossi come Spacex di Elon Musk. Perché lo Spazio è sempre più “democratic­o”, nel senso che più satelliti si possono lanciare con lo stesso razzo e più basso è alla fine il costo del “passaggio”. Sull’onda di un 2017 da record – quotazione in borsa, utile cresciuto di sette volte, 344 milioni di fatturato – Avio anche nel primo semestre 2018 registra una crescita a due cifre.

Orgoglio italiano ed europeo si fondono anche nella cosiddetta Tiburtina Space Valley, alla periferia di Roma, dove si concentran­o molte aziende dell’aerospazia­le e dove Thales Alenia Space – 2.300 dipendenti in Italia, 2,6 miliardi di fatturato consolidat­o l’anno scorso nel mondo – ha il suo storico quartier generale. Joint venture tra la francese Thales e l’italiana Leonardo, insieme a Telespazio forma la partnershi­p Space Alliance, in grado d’offrire servizi per governi, gruppi industrial­i, aziende private, a uso civile e militare. Sulla Tiburtina sono stati prodotti oltre duecento satelliti per le telecomuni­cazioni, per la scienza, per l’esplorazio­ne e per il telerileva­mento. Una catena di montaggio unica al mondo nel settore: si producono anche fino a cinque satelliti al mese, con un sistema di 16 isole tecnologic­he autosuffic­ienti, inclusa la fase di collaudo in condizioni operative di temperatur­a e stress di lancio.

«Siamo un attore imprescind­ibile dell’avventura spaziale», dice l’ad di Thales Italia Donato Amoroso, «e un volano per tutta la filiera di aziende di media e piccola dimensione che opera con istituzion­i, centri di ricerca e università. La storia e il successo di molti programmi, primo fra tutti la costellazi­one Cosmo-skymed, oggi alla seconda generazion­e, è la dimostrazi­one della capacità di lavorare in modo sinergico e inclusivo».

Ma è nel compound Thales di Torino che si entra in un’altra dimensione e si tocca con mano il peso dell’italia nella space-politics globale. Indossiamo un camice bianco e scopriamo dove nascono le navicelle automatich­e Cygnus che portano i rifornimen­ti alla Stazione Spaziale Internazio­nale Iss, 3.500 chilogramm­i di strumenti, vivande, vestiti e quel che serve nella quotidiani­tà cosmica. Qui si sono prodotti tanti moduli per l’iss, realizzati per la Nasa, tanto che oggi il 40 per cento degli abitacoli della stazione è stato realizzato a Torino. Città ormai gemellata con Marte, perché l’agenzia Spaziale Italiana ha garantito il 40 per cento delle risorse per l’esplorazio­ne del pianeta rosso con l’invio, nel 2020, dell’esa Exomars, il rover made in Italy (la trivella è prodotta interament­e da Leonardo) che andrà a campionare il suolo marziano in cerca di prove definitive sulla presenza di vita. Quindi la Luna: «Guideremo per conto dell’esa gli studi per due elementi europei della Lunar Orbital Platform-gateway», annuncia l’ingegnere Walter Cugno. «Si tratta della nuova infrastrut­tura cis-lunare che sarà dotata di un sistema di alimentazi­one elettrico e propulsivo, di moduli abitabili con capacità di attracco per altri veicoli, di camere di compensazi­one sia a uso di esperiment­i scientific­i che per attività extraveico­lari».

Ora s’affacciano anche i cinesi, che si sono rivolti a Thales per potenziare la loro stazione. «Io chiamo Torino “la nostra Houston”», dice l’ingegnere piemontese. E poi elenca una lunga serie di aziende che hanno formato un distretto dell’industria spaziale italiana, dai prodotti ai servizi. Come Altec, centro che controller­à da terra le operazioni del rover su Marte. «I nostri migliori ingegneri provengono dal Politecnic­o di Torino, ormai lo Spazio qui è un asset per il pubblico e per il privato, la combinazio­ne di tecnologia e indotto fa sì che questa città sia ormai più attrattiva per l’aerospazia­le che per l’auto, ogni euro investito nel nuovo settore ne genera otto di profitto. I nostri ragazzi sono dei campioni, invidiati anche in Francia e Germania, dove però gli investimen­ti pubblici nella space economy sono quasi quattro volte quelli dell’italia. Uno scompenso che si riflette anche sugli stipendi».

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Qui, COVER un tecnico STORY testa alcuni materiali nello stabilimen­to Avio di Colleferro (Roma). Nell’altra pagina: ingegneri della Thales Alenia Space di Torino al lavoro sul modulo di servizio Avm-euclid, all’interno della clean room per satelliti scientific­i
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