Alenia Spazio
Reportage: quanto vale e quanto conta l’industria stellare italiana
Seicento aziende e seimila posti di lavoro. È l’eccellenza della
S PAC E E CONOMY italiana. Reportage dal distretto dove vengono a fare shopping Usa e Cina. Quando vogliono decollare
Hanno la testa oltre le nuvole e i piedi ben piantati a terra; giocano da protagonisti nel mercato spaziale globale, ma sono anche orgogliosamente patriottici; custodiscono i segreti e i brevetti miliardari della loro squadra, eppure fanno gruppo in nazionale. Sono i campioni dell’industria aerospaziale italiana, quasi dei marziani stando agli stereotipi con cui amiamo denigrarci. Difatti quando esci dagli stabilimenti di Avio a Colleferro o di Thales Alenia Space Italia nel torinese − cioè dove si costruiscono rispettivamente i razzi e i satelliti tra i più competitivi al mondo − ti senti fiero e insieme confuso: stiamo entrando in Italia, oppure abbiamo appena lasciato un’enclave di eccezionale italianità?
«In questo campo si è fatto davvero sistema», conferma Giulio Ranzo, amministratore delegato di Avio. «Occupiamo un ruolo internazionale di vertice in ogni segmento, sappiamo costruire lanciatori, produrre satelliti, gestire i servizi captati da terra». E un esempio, spiega, sta proprio nella collaborazione tra Avio e Thales Alenia Space Italia per lo sviluppo del progetto Space Rider, primo veicolo di rientro con capacità di recuperare i satelliti e di svolgere attività scientifiche in microgravità. «Verrà lanciato in orbita entro il 2021», gli fa eco l’ingegnere aeronautico Walter Cugno, responsabile esplorazione e scienza negli impianti Thales Alenia Space di Torino. «Si tratta di un mini-shuttle costruito per l’agenzia Spaziale Europea, finanziato principalmente dall’italia; una navicella capace di rimanere in orbita per mesi, di compiere esperimenti e di riportare i risultati a terra. E sarà lanciato con il Vega C dotato di motori Avio di ultima generazione. Insomma una straordinaria operazione di squadra».
L’agenzia Spaziale Italiana, anche in questo caso, ha funzionato da business angel, angelo investitore: oggi l’investimento pubblico nel settore è un quarto dei ricavi complessivi. Le 600 aziende italiane (6.000 posti di lavoro) fanno fronte comune nella space economy, un mercato globale da 350 miliardi di euro.
«Qui non esistono margini d’incertezza e seconde chances», dice l’ingegnere Antonio Genovese, 52 anni, per spiegare il segreto di Avio, che non ha mai fallito un lancio. «Non possiamo sbagliare. Dobbiamo essere sempre perfetti, condannati a vincere. Ha presente i trecento spartani di Leonida?».
L’ultima creatura si chiama P120 C, motore monolitico a propellente solido da 141 tonnellate che funziona come primo stadio del più potente Vega P80 (in attività dal 2019) e da booster per i prossimi Ariane 6: quando verranno sparati nei cieli della Guyana, dopo 102 secondi di combustione, 7 chilometri al secondo,
giusto il tempo di sconfinare nell’infinito e s’innescherà il motore successivo, una staffetta di fuoco lanciata per portare a destinazione il prezioso scrigno di satelliti che saranno collocati in orbita con un margine d’errore di pochi centimetri. L’impressione, passando da uno stabilimento all’altro, seguendo il processo di costruzione delle sue varie componenti, è che il razzo sia fatto a mano. Una Ferrari verticale, alta alla fine trenta metri, come un palazzo di dieci piani. Con un destino più effimero, sei mesi di lavoro per sei minuti di volo.
Con i Vega si sono messi in orbita i satelliti di Google e il Cubesat, che è dedicato soprattutto all’osservazione della Terra e che per il programma europeo Copernicus misura inquinamento, temperatura dei mari, rischio di alluvioni, flusso dei migranti dall’africa nel Mediterraneo. «Se l’europa non dipende più dal sistema Gps americano è perché abbiamo finalmente creato una struttura di posizionamento autonomo», spiega Sara Cossetti, ingegnere aeronautico uscita da poco dalla Sapienza.
Capocommessa di 40 aziende relative a 12 Paesi sotto l’ombrello Esa, Avio − 850 dipendenti − vanta un portafoglio d’ordini di un miliardo di euro, tre anni di voli assicurati, una fila di clienti internazionali: dalla Corea alla Russia, al Brasile, addirittura agli Stati Uniti, dove l’azienda di Colleferro è ormai concorrente di colossi come Spacex di Elon Musk. Perché lo Spazio è sempre più “democratico”, nel senso che più satelliti si possono lanciare con lo stesso razzo e più basso è alla fine il costo del “passaggio”. Sull’onda di un 2017 da record – quotazione in borsa, utile cresciuto di sette volte, 344 milioni di fatturato – Avio anche nel primo semestre 2018 registra una crescita a due cifre.
Orgoglio italiano ed europeo si fondono anche nella cosiddetta Tiburtina Space Valley, alla periferia di Roma, dove si concentrano molte aziende dell’aerospaziale e dove Thales Alenia Space – 2.300 dipendenti in Italia, 2,6 miliardi di fatturato consolidato l’anno scorso nel mondo – ha il suo storico quartier generale. Joint venture tra la francese Thales e l’italiana Leonardo, insieme a Telespazio forma la partnership Space Alliance, in grado d’offrire servizi per governi, gruppi industriali, aziende private, a uso civile e militare. Sulla Tiburtina sono stati prodotti oltre duecento satelliti per le telecomunicazioni, per la scienza, per l’esplorazione e per il telerilevamento. Una catena di montaggio unica al mondo nel settore: si producono anche fino a cinque satelliti al mese, con un sistema di 16 isole tecnologiche autosufficienti, inclusa la fase di collaudo in condizioni operative di temperatura e stress di lancio.
«Siamo un attore imprescindibile dell’avventura spaziale», dice l’ad di Thales Italia Donato Amoroso, «e un volano per tutta la filiera di aziende di media e piccola dimensione che opera con istituzioni, centri di ricerca e università. La storia e il successo di molti programmi, primo fra tutti la costellazione Cosmo-skymed, oggi alla seconda generazione, è la dimostrazione della capacità di lavorare in modo sinergico e inclusivo».
Ma è nel compound Thales di Torino che si entra in un’altra dimensione e si tocca con mano il peso dell’italia nella space-politics globale. Indossiamo un camice bianco e scopriamo dove nascono le navicelle automatiche Cygnus che portano i rifornimenti alla Stazione Spaziale Internazionale Iss, 3.500 chilogrammi di strumenti, vivande, vestiti e quel che serve nella quotidianità cosmica. Qui si sono prodotti tanti moduli per l’iss, realizzati per la Nasa, tanto che oggi il 40 per cento degli abitacoli della stazione è stato realizzato a Torino. Città ormai gemellata con Marte, perché l’agenzia Spaziale Italiana ha garantito il 40 per cento delle risorse per l’esplorazione del pianeta rosso con l’invio, nel 2020, dell’esa Exomars, il rover made in Italy (la trivella è prodotta interamente da Leonardo) che andrà a campionare il suolo marziano in cerca di prove definitive sulla presenza di vita. Quindi la Luna: «Guideremo per conto dell’esa gli studi per due elementi europei della Lunar Orbital Platform-gateway», annuncia l’ingegnere Walter Cugno. «Si tratta della nuova infrastruttura cis-lunare che sarà dotata di un sistema di alimentazione elettrico e propulsivo, di moduli abitabili con capacità di attracco per altri veicoli, di camere di compensazione sia a uso di esperimenti scientifici che per attività extraveicolari».
Ora s’affacciano anche i cinesi, che si sono rivolti a Thales per potenziare la loro stazione. «Io chiamo Torino “la nostra Houston”», dice l’ingegnere piemontese. E poi elenca una lunga serie di aziende che hanno formato un distretto dell’industria spaziale italiana, dai prodotti ai servizi. Come Altec, centro che controllerà da terra le operazioni del rover su Marte. «I nostri migliori ingegneri provengono dal Politecnico di Torino, ormai lo Spazio qui è un asset per il pubblico e per il privato, la combinazione di tecnologia e indotto fa sì che questa città sia ormai più attrattiva per l’aerospaziale che per l’auto, ogni euro investito nel nuovo settore ne genera otto di profitto. I nostri ragazzi sono dei campioni, invidiati anche in Francia e Germania, dove però gli investimenti pubblici nella space economy sono quasi quattro volte quelli dell’italia. Uno scompenso che si riflette anche sugli stipendi».