GQ (Italy)

L’aquaman di Jason Momoa, il primo album di Alice Merton, la mostra di Robert Mapplethor­pe

Hollywood ha il suo nuovo guerriero. Dal deserto di Khal Drogo agli oceani di Aquaman

- Testo di CRIST I A N A A L L I EV I

Dagli artisti agli imprendito­ri agli sfaccendat­i: ci sono facce che a Bologna fanno parte del paesaggio. Jacopo Benassi ne ha fotografat­e 100: sono i Bologna Portraits che inaugurano un nuovo spazio espositivo all’interno di Palazzo Bentivogli­o (via del Borgo di San Pietro 1), che apre in occasione di Artefiera 2019 (1-4/2, artefiera.it) ma prosegue fino a fine marzo. Il Palazzo si “accenderà” durante l’anno per eventi specifici: le immagini di Benassi sono solo l’inizio, ma pirotecnic­o al 100%.

«Al liceo ho studiato biologia marina, sono molto collegato al mare, e so per esperienza che nella vita i cerchi vanno chiusi». Jason Momoa ha una voce molto suadente mentre racconta il suo legame speciale con gli oceani. Lui è una montagna d’uomo con molti segni particolar­i, a cominciare dalla cicatrice sul sopraccigl­io sinistro e dall’abitudine di viaggiare sempre con cinque chitarre appresso. Non vuole tagliarsi i capelli, lunghi e scoloriti dal sole della California, neanche per motivi di copione. Ambientali­sta, vive nella sua proprietà a Topanga Canyon (Los Angeles) assieme alla moglie Lisa Bonet e ai loro due bambini, con cui appare spesso impegnato in ogni genere di sport sul suo profilo Instagram.

Per il ruolo della svolta, quello di Khal Drogo nel Trono di Spade, si è addirittur­a scatenato in una danza Maori davanti ai produttori. Il suo film preferito è però Lo scafandro e la farfalla di Julian Schnabel che, guarda caso, è anche un pittore, proprio come suo padre. Poi c’è l’acqua, una specie di destino.

Nato a Honolulu 39 anni fa da madre americana e padre hawaiano, Jason Momoa faceva il modello quando gli hanno offerto una parte nella serie tv Baywatch. Dopo una piccola presenza in Batman v Superman: Dawn of Justice nei panni di Aquaman (e dopo aver interpreta­to lo stesso personaggi­o in Justice League), ora è di nuovo l’eroe mezzo uomo e mezzo atlantideo della DC Comics, ma stavolta da vero protagonis­ta. Aquaman , uscito l’1 gennaio, è il primo film che si regge sulle sue spalle, dopo 17 anni di carriera.

«Non ho dovuto fare molta strada per immedesima­rmi, perché ho un Aquaman dentro di me. È un solitario, nasconde la tristezza dietro la rabbia e ha un senso dell’umorismo unico, che però non gli consente di aprirsi agli altri. Non conosce ancora i propri poteri ma è destinato a diventare re, quindi deve tornare in contatto con se stesso».

Un hawaiano cresciuto nel Midwest, in Iowa. Si è sentito un diverso, escluso? Adoro il Midwest ma non c’entrava niente con me, da bambino ero completame­nte disorienta­to. Poi però sono tornato alle Hawaii e mi sono sentito un emarginato

anche lì. Conosco la solitudine, la sensazione di non ap- partenere a nessun luogo.

Figlio di genitori separati da migliaia di chilometri. L’ha cresciuta sua madre. Ha influito? È una fotografa, una donna molto artistica che mi ha insegnato a stare in contatto con le mie emozioni. Se sono capace di esprimermi lo devo a lei e a mia nonna, che viveva con noi. Essere stato forgiato dalle donne è stato un bene, soprattutt­o per quelle che sarebbero entrate nella mia vita: mia moglie Lisa e mia figlia Lola Iolani.

Su Instagram ci sono molte foto di lei e dei suoi due figli sullo skateboard, sulla mountain bike, a fare trekking, tiro con l’arco… Ci piace molto anche il surf, i ragazzi ne vanno matti.

Li porta spesso con sé quando lavora? Non teme di diventare un mito inarrivabi­le per loro? Mi impegno per tenerli lontano dai riflettori. Quanto al mito: spero di esserlo per quello che insegno e l’esempio che cerco di dare. Non per il lavoro.

Avere un fisico come il suo può essere un limite? Amo tutto quello che ho fatto fino a oggi, e anche se è vero che non mi cercano mai per interpreta­re un medico o un avvocato, spero di misurarmi presto in un film di cui possa innamorarm­i.

Lei ha una casa di produzione. Nel 2014 ha scritto, diretto e interpreta­to Road to Paloma. La più grande esperienza della mia vita: come farmi una famiglia. Quando ho iniziato a lavorare volevo scrivere, dirigere e produrre, non recitare, e tutti pensavano fossi matto. Ma dopo quel film hanno iniziato a guardarmi in modo diverso, e non è un caso.

Lo rifarebbe? Sto scrivendo il mio prossimo lavoro, di cui sarò anche interprete. Ci sono molte storie che voglio raccontare e intendo aiutare altri artisti a farlo.

Intanto sarà protagonis­ta della serie tv See, prodotta da Apple, scritta da Steven Knight. Baba Voss è un uomo meraviglio­so, divertente, affascinan­te. Ancora una volta, un guerriero.

Come è avere tante attenzioni da Hollywood? È stato un percorso lungo, ho lavorato sodo per costruirmi una carriera. Ora che tutto è decollato, per la prima volta faccio davvero quello che amo. Ma soprattutt­o mi prendo cura della mia famiglia: non c’è niente che mi faccia sentire più orgoglioso.

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Luigi Ontani: è uno dei Bologna Portraits di Jacopo Benassi (Palazzo Bentivogli­o, dal 29 gennaio al 31 marzo)
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JASON MOMOA
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