MÉXICO GOLOSO
È riuscito a innalzare lo status dello street food messicano a cibo d’alta cucina senza tradirne le origini povere: la sfida vinta di Pablo Salas
Il titolo della sua lectio magistralis durante l’annuale conferenza sul Progetto Mesoamerica, per lo sviluppo dei Paesi dell’america Latina, è stato “Honorable Puerco”, onorevole porco, in segno di rispetto e riconoscenza verso il protagonista della nuova cucina messicana di cui Pablo Salas, assieme a un altro manipolo di giovani chef, è alfiere. Non per celebrarne le “chuletas”, le costolette, ma per onorarne zampetti e orecchie, grugno e interiora, polmoni e lingua. Fin da quando, a 16 anni, ha cominciato a studiare da cuoco, e poi nel primo ristorante aperto a Toluca coi genitori, Pablo aveva in mente che la vera sfida fosse inaugurare il salto di status dei piatti di strada messicani inserendoli nel menu di un locale “de mantel largo”, di alto profilo. Perché «un piatto di trippa di lattonzolo vale più di una portata di foie gras se il cuoco sa dominare la preparazione». Mission impossible fino a una decina di anni fa, benché il Messico sia provvisto di un ecosistema straordinario. Perché per rendere superlativi prodotti di scarto bisogna adottare le tecniche che l’alta cucina riserva ai tagli pregiati, uso delle tecnologie all’avanguardia, marinature, lunghe cotture alternate ad altre precise al secondo. E concludere con una presentazione creativa e impeccabile. Senza contare la difficoltà di avvicinare una clientela ancora sedotta dalla béchamel a ingredienti borderline, tra cui la rana-toro (servita in salsa verde) o gli insetti (in ragù). Eppure Amaranta, 54 posti, moderno e senza fronzoli, cucina a vista, gestione familiare, è in corsa per la classifica dei 50 Best dell’america Latina, a Toluca, il discusso capoluogo dello Stato federato del Messico, incrocio di traffici temibili. Il menu offre carpacci di zampetti di maiale; zuppa di midollo; tamal (grossi involtini) di fagioli in salsa di peperoncino guajillo e cavolo. E il best seller mextlapique, pesce di stagno stufato in foglie di mais. C’è chi malignamente sostiene
che parte del successo di Pablo Salas sia merito del suo aspetto trasgressivo, essendo il solo cuoco di alto profilo la cui divisa scopre, in modo civettuolo, le braccia possenti, incoraggiando la lettura del diario su pelle della sua vita. Diario iniziato da adolescente e tuttora in progress. Una tappezzeria di tatuaggi che si estende ai bicipiti, al torace, alla schiena, in un intreccio di Madonne, santi, ex voto, funghi peyote, visioni oniriche; con l’aggiunta di abbondanti piercing. Dentro ci sono i viaggi, la fatica, l’assuefazione e la liberazione dalla droga, l’amore per i genitori, per i figli, e l’attaccamento alle sue radici di ragazzo povero e disagiato. Tanto che, adesso che poteva permetterselo, ha aperto Público Comedor, a Città del Messico, nella centralissima Polanco. È un’interpretazione della fonda messicana, la mensa degli operai a mezzogiorno, dove gli urban rider contemporanei, dalla mattina alla sera, trovano una pausa con una cucina semplice nobilitata da una griffe creativa: tacos di gamberi, ceviche insoliti, panini insaporiti con maionese al cilantro ( publi.co). Anche in versione takeaway, con spettacolo a sorpresa del tatuatissimo chef in trasferta. Da provare.