L’arte di fotografare il meglio del viaggio
Scegliete life. Scegliete la vita. Scegliete i viaggi, gli aerei low cost, il fuori stagione. Scegliete il ritmo, il tempo, il movimento. Scegliete le differenze. Ma imparate le continuità. Persino quelle raccontate dai vestiti occidentali di scarsa qualità distribuiti sulle bancarelle di mezzo mondo. «Perché anche questa omologazione può sempre insegnare qualcosa: per esempio a smettere di cercare soltanto gli esotismi, concentrandosi invece sulle radici comuni». Mica degli abiti: delle culture.
Stefano Pensotti è uno della vecchia scuola. Vecchia parrocchia, anzi: la prima macchina fotografica gliela mise in mano, più di 40 anni fa, il sacerdote dell’oratorio. C’era da realizzare il giornalino e lui decise di interessarsi delle immagini: finì con l’innamorarsi della pellicola e della camera oscura. Quindici anni dopo, nel 1989, trentenne, era tra i giovani esposti alla Biennale Internazionale di Fotografia di Venezia. «Scattare, all’inizio, era la possibilità di viaggiare, il mezzo per conoscere nuove culture. E viaggiare era la ricerca della diversità: a quell’epoca – erano gli Anni 80 e 90 – non c’era ancora l’omologazione culturale di oggi, la gente si spostava di meno e anche i popoli che andavi a conoscere erano molto diversi, da noi e fra loro», racconta. «Oggi tutto è diventato più uniforme: persino in Africa, il continente che meno si è sviluppato, trovi panorami culturali abbastanza simili. Visitare i Paesi e decidere di fotografarli si è quindi trasformato nella ricerca di quello che ci accomuna nella diversità: la ricerca di quello che ci unisce, non che ci separa».
Per riuscirci bisogna rendere più profondo lo sguardo, scavare sotto la superficie. «Siamo diversi nel colore della pelle, nella religione, magari negli abiti. Ma quando sei in Eritrea e passi la notte nelle grotte a vedere la gente che
celebra il Natale copto ortodosso, con i pellegrini che hanno camminato per giorni e dormono sulla roccia nuda, quella che stai guardando è semplicemente la fede. Ed è la stessa che puoi trovare da noi». O tra i musulmani che baciano la pietra nera alla Mecca, tra i monaci buddisti in Nepal, tra gli induisti a Varanasi.
Non serve saper fotografare per affrontare questa ricerca: «Bisogna però saper guardare», spiega Pensotti, premiato nel 2018 come Travel Photographer of the Year, e abbastanza paziente da organizzare viaggi e workshop in giro per il mondo con chi vuole imparare l’arte dello sguardo e dello scatto. «Decenni fa, Life era una rivista che raccontava attraverso immagini quello che succedeva sul pianeta: le foto erano uno strumento di apprendimento. Lo sono ancora, ovviamente, anche se nel frattempo sono arrivati la televisione e i social network. La fotografia resta uno straordinario strumento di indagine, analitico. Però bisogna non avere fretta nel maneggiarla, bisogna darsi tempo. Leggerla, come se fosse un testo. Più volte: e ogni volta emergono messaggi più completi».
Affinare lo sguardo, insomma, è anche e soprattutto una questione di lentezza. Cioè dell’andare controcorrente, rifiutando di applicare le modalità dei social, i cuori distribuiti a pioggia su Instagram e le occhiate distratte con cui si assorbono porzioni di colori, di paesaggi, di storie. «Su Internet non si guarda più. Ci si limita a scansionare immagini, che spesso hanno poco da dire. Invece la fotografia ha un’altra funzione: deve essere un racconto».
Per ricominciare a viaggiare con la mente, per guardare e capire, bisogna insomma rovesciare il paradigma. Tornare indietro, che significa in questo caso anche fare un passo avanti. «Smetterla di andare a cercare soltanto quello che ci piace: bei colori, belle grafiche, quadretti ben allestiti ai quali distribuire like. È tempo di rimettersi a cercare le fotografie che raccontano. E poi prenderle in mano, con lentezza ritrovata, per leggere tutte le storie che sanno contenere».
Chi saprà guardare scoverà un’umanità più vicina e più simile. Troverà qualcosa che unisce, e non solo che stupisce.
«La fotografia resta uno straordinario strumento di indagine, analitico. Però bisogna non avere fretta nel maneggiarla, bisogna darsi tempo»