LA SALVEZZA DELL’ARTE
Grandi capolavori in formato digitale
IL DATABASE BLOCKCHAIN PUÒ CERTIFICARE IL “PEDIGREE” DI UN’OPERA
Quello che sta accadendo ha il profumo della rivoluzione. Il futuro dell’arte passerà attraverso il digitale? Probabilmente sì. Dopo aver già contaminato e progressivamente stravolto il mondo dei libri, del cinema, della musica, il digitale e le sue più concrete applicazioni si sono infatti rivolti al mondo delle arti visive. Sono già decine le start up che si stanno affacciando sul mercato con importanti soluzioni, sia a livello di servizio che di prodotti. Con un meccanismo simile a quello che ha cambiato le vite dei consumatori: come pochi anni fa eravamo soliti pagare con le banconote e oggi viaggiamo invece con dei bit in tasca (le carte di credito, i bancomat), le possibilità dell’archiviazione in cloud e la condivisione di contenuti ora sono soluzioni facilmente applicabili anche al mondo dell’arte. Globalmente si tratta di un settore molto appetibile, che vale ben 67 miliardi di dollari l’anno, e che muove beni worldwide coinvolgendo alcune decine di migliaia di persone impiegate in gallerie, fiere, biennali, musei, fondazioni.
È facile intuire come molte aziende e ricercatori stiano trovando soluzioni innovative per entrare nel mercato.
Per cominciare, molti player stanno prendendo in considerazione la tecnologia della Blockchain, per sfruttarne i vantaggi nelle archiviazioni e nelle compravendite di opere. Ora, la Blockchain (letteralmente “catena di blocchi”) è un database condiviso e immutabile. Il suo contenuto, una volta scritto, non è più modificabile né eliminabile grazie all’uso di tecniche crittografiche. Questa tecnologia, applicata al mercato dell’arte, potrebbe consentire per esempio agli artisti di autenticare le proprie opere facendo valere il diritto d’autore e riducendo il rischio di duplicazioni e falsi, contribuendo a tutelare anche investitori e collezionisti, oltre ad accrescere il livello di fiducia dei potenziali acquirenti. In questo contesto, è in fase di lancio Art Rights: fondata dal gallerista sardo Andrea Concas, è la prima piattaforma italiana a valenza legale che supporta la gestione e la certificazione delle opere d’arte a tutela di
UN ARCHIVIO DIGITALE E DINAMICO DELLE OPERE NON È RIMANDABILE
artisti, collezionisti e professionisti del mondo dell’arte. Perché la “qualità” comprovata delle opere è un punto cruciale per chi compra e per chi vende arte: la tecnologia Blockchain può essere di fondamentale aiuto per certificare il “pedigree” di un dipinto, una scultura, una videoinstallazione.
A proposito di autenticazione e tutela di capolavori: c’è un brevetto di ultimissima generazione che sta facendo parlare di sé in tutto il mondo. Si tratta di Save The Artistic Heritage, start up culturale che mette il digitale a servizio del nostro patrimonio artistico. L’obiettivo è quello di salvare le opere dei musei italiani attraverso i Daw (Digital Art Works). Si tratta di serie limitate in scala 1:1 dei più grandi capolavori della storia dell’arte, certificate e non riproducibili. Copie digitali, in pratica, autenticate dai musei che ne custodiscono l’originale, la cui vendita (per il 50% al netto dei costi) va a sostenere immediatamente il museo proprietario.
Si tratta di un sistema di business innovativo per rendere i musei indipendenti. A capo del progetto ci sono due imprenditori con alle spalle una lunga esperienza del mondo digital nella Silicon Valley: il danese John Blem e l’italiano Franco Losi, mentre presidente onorario dell’associazione è Mario Cristiani, uno dei tre fondatori della nota galleria di arte contemporanea Continua di San Gimignano. All’iniziativa hanno già aderito le Gallerie degli Uffizi di Firenze, il Complesso Monumentale della Pilotta di Parma, la Pinacoteca di Brera, la Veneranda Biblioteca Ambrosiana a Milano e molti altri. Proprio in questi giorni è possibile ammirare il Daw della Canestra di frutta del Caravaggio alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano (fino al 3 giugno) in sostituzione dell’originale in prestito. Quella in mostra è l’edizione 3 di 9 (il massimo riproducibile, proprio come con le sculture) ed è destinata, non appena la mostra terminerà, al mercato dei collezionisti. Il valore stimato di queste edizioni digitali è concordato con il museo che detiene l’originale, ed è proporzionale a quello del capolavoro. L’alto contenuto tecnologico (reso possibile dall’azienda Cinello, che ha depositato il brevetto) rende i Daw assolutamente non riproducibili e ne garantisce l’unicità. Queste riproduzioni digitali offrono infine ai musei italiani e internazionali la straordinaria possibilità di allestire vere e proprie mostre impossibili, quando non è possibile spostare gli originali. Per questo sono già stati richiesti Daw per importanti mostre internazionali: in giugno una selezione di capolavori di Leonardo sarà esposta in Arabia Saudita a Jedda, mentre in autunno sarà il turno di esposizioni in Cina.
Tra i vari problemi che il digitale può già risolvere c’è anche quello, spinoso, delle archiviazioni. È noto come uno dei maggiori problemi di musei, fondazioni o semplici collezioni private sia la corretta archiviazione delle opere. Disporre di una catalogazione digitale aggiornata e dinamica è un’esigenza non rimandabile. Un’opera non archiviata o priva di documentazione aggiornata è, semplicemente, senza valore. Da questa domanda è nato Artshell: ideato da Bernabò Visconti, prevede un innovativo software per la gestione completa e integrata delle opere di una collezione. Il servizio è pensato in modo specifico per le gallerie, le fondazioni, i musei. La piattaforma è in grado di gestire una collezione già digitalizzata, oppure può occuparsi anche della catalogazione attraverso un team di conciergerie dedicato. Anche il problema dello spazio, in questo caso, è risolto perché Artshell non ha bisogno di essere installato e dispone di un cloud illimitato.
Infine, la promozione: come può il digitale aiutare la diffusione dell’arte e del design? Attraverso il web ovviamente. Il mondo del design si è affacciato già da molti anni a internet, grandi piattaforme aiutano aziende nazionali e internazionali a diffondere e vendere i propri prodotti. Designitaly.com ha fatto però un passo in più: ideato da Roberto Ferrari, ex direttore generale di Chebanca! ed esperto di Fintech, è un marketplace digitale per la valorizzazione del design italiano delle piccole marche. Un modello di “piattaforma boutique” per far emergere eccellenze poco conosciute nell’ambito del design, un settore nel quale l’italia è molto forte. Su designitaly.com si possono trovare pezzi di arredamento e home decor, ma anche accessori, pelletteria e gioielli: tutti accomunati dall’italian touch. Appena lanciata, la nuova piattaforma si occuperà di tutte le fasi di vendita, dalla gestione del catalogo e degli ordini fino alla logistica e ai pagamenti.