LSD SOTTO ESAME
La Silicon Valley prova le microdosi
Dannata Silicon Valley, s’è presa anche questo. Prima la tecnica, poi le idee, infine lo sballo. E non per viaggiare con la mente, amare il prossimo o smetterla con le guerre. Macché: per produrre di più. E meglio: senza costrizioni mentali, imbarazzi, vincoli all’immaginazione. Con una creatività liberata dalle catene della razionalità: psichedelica, insomma. Come quella che il prestigioso Imperial College di Londra, istituzione in campo medico e scientifico, sta studiando con centinaia di volontari di tutta Europa. Obiettivo: capire se è davvero l’lsd ad aumentare le capacità immaginifiche e cognitive di chi ne fa uso, o se concorre anche la suggestione. E in che misura.
Il protocollo è il microdosaggio, e cioè l’assunzione di quantità ridotte di sostanze psichedeliche, in modo continuativo e controllato, secondo procedure più o meno codificate. Chi si sottopone all’esperimento le rispetta alla lettera, ma chi deve inventarsi il prossimo smartphone si concede probabilmente dei margini di libertà: in ogni caso, si tratta di quantità compatibili con la vita sociale, il lavoro, la cura di sé e della famiglia. Capitoli dell’esistenza affrontati però con un’altra visione: multicolor, ipersensoriale e con una diversa consapevolezza delle proprie possibilità.
Sarà bene precisarlo: microdosare, come si dice in gergo, è ancora illegale. Lsd e parenti − come la psilocibina contenuta nei funghi allucinogeni – sono da tempo vietati. Ma è in corso, e sempre meno sottotraccia, un ritorno alle origini. Cioè alle convinzioni del padre dell’acido, il chimico Albert Hofmann, che lo sintetizzò nel 1938 all’interno dei laboratori della casa farmaceutica Sandoz (oggi un ramo di Novartis) quasi per errore. Nel 1943 l’assunse per la prima volta, in modo del tutto casuale, quando gliene cadde un po’ su una mano: l’inizio di un viaggio sorprendente. Nonché delle avventure di Timothy Leary, profeta dell’lsd ma prima rispettato psicologo che insegnava ad Harvard, da cui fu cacciato nel 1963 proprio per i suoi esperimenti con l’acido: lo prendeva insieme agli studenti dei suoi gruppi di ricerca. Benché allora la sostanza non fosse ancora fuori legge – lo sarebbe diventata solo nel 1968, in parte a causa della grande opera di divulgazione di Leary stesso – il suo enfatizzarne il potenziale per le cure psichiatriche e per espandere la coscienza divenne ben presto indigesto, ingestibile e infine intollerato dalle autorità americane. Non prima però che Cary Grant si facesse un centinaio di viaggi in acido alla ricerca di se stesso, annunciando infine di essere rinato: «Eccomi arrivato dove volevo essere».
Decenni dopo, la riscoperta delle proprietà dell’lsd attraversa comunità molto diverse, e con forme socialmente più rispettate di un tempo. Ai giovani techies dei giganti del web, rei secondo i più spirituali di aver messo la creatività indotta dall’acido lisergico al servizio dell’industria, si contrappongono nel Vecchio Continente gruppi ed esperimenti per cercare di fornire la prova scientifica del potere della sostanza,
ammettendo anche l’onere del dubbio. In estate saranno disponibili per esempio i dati raccolti dall’imperial College in partnership con la Beckley Foundation per verificare «se esista un effetto placebo del microdosaggio», spiega Balázs Szigeti, biologo e neuroscienziato, membro del team di ricerca. Altrimenti detto, se si diventa più creativi e ci si sente meglio perché si è convinti di aver assunto la droga, anche se così non è. «L’esperimento dura dieci settimane: ogni soggetto segue un protocollo, in cui si alterna un giorno in cui si prende realmente Lsd e altri due in cui si butta giù una capsula identica ma con dentro zucchero», racconta. «Ciascuno dei partecipanti è tenuto a rispondere a un questionario e a effettuare test cognitivi in media due volte a settimana, dopo l’assunzione, senza sapere che cosa ha ingerito. Con i risultati in mano, confermeremo per la prima volta scientificamente l’esistenza dell’effetto placebo, e l’importanza dell’autosuggestione».
La peculiarità dell’approccio è che nessuno dei volontari è fisicamente dentro al centro di ricerca: «Sarebbe troppo caro», precisa Szigeti, e richiederebbe una catena di permessi, anche solo per maneggiare grandi quantità di acido, molto difficile da avere: così, invece, anche le autorità possono chiudere un occhio. Le persone seguono dunque istruzioni dettagliatissime – il manuale distribuito ai partecipanti include il link ad Amazon per ottenere le capsule e le pinzette con cui prepararle – da casa propria, e si sottopongono al test mentre procedono con le loro vite. In cui, frequentemente, Lsd in microdosi era già presente.
Quanto questo mondo sia distante dallo stereotipo dei figli dei fiori sballati e contenti lo spiega con pacatezza Hein, 45enne, olandese, due figli, e la richiesta di non pubblicarne il cognome «perché faccio un lavoro in cui alcol e droghe sono proibite: non vorrei avere problemi».
Da anni, si è fatto carico di raccogliere le informazioni sul microdosaggio in un sito (microdosing.nl), che è anche il punto di incontro di una comunità molto variegata. «La gente che usa sostanze psichedeliche fa di tutto: ci sono avvocati, medici, operai, portuali e cassiere. Non siamo un gruppo di hippy», precisa anticipando le domande.
La sua ossessione è la ricerca scientifica e terapeutica: iniziò a prendere Lsd in piccole quantità insieme a un amico che soffriva di emicranie a grappolo, per cui l’acido era l’unico sollievo; una testimonianza tutt’altro che isolata in pazienti affetti dalla stessa patologia. Morto l’amico, Hein sta cercando di catalizzare sforzi e attenzioni per spingere le autorità a investire seriamente nella ricerca scientifica, liberandosi dai preconcetti sedimentati negli Anni 60 e 70. «Il 70% di chi assume Lsd in microdosi nella nostra comunità lo fa cercando percorsi di crescita e di trasformazione interiore», spiega. «Un altro 69%, e ovviamente in parte i risultati si sovrappongono, vuole aumentare la propria creatività: personalmente, dopo due mesi di assunzione i miei pensieri hanno iniziato a essere più fluidi, meno imbrigliati, anche nei giorni in cui non prendevo nulla. Vent’anni dopo, non ho ancora smesso di microdosare». Né, però, di lottare contro gli stereotipi, e i rischi legali. La speranza, per lui e per molti altri, anche in Italia, è che la giustizia segua lo stesso corso della Norvegia, dove un consumatore di Lsd finito nei guai ha perorato la propria causa fino alla Corte Suprema: i magistrati, dopo aver ascoltato e analizzato le ultime evidenze, hanno creduto agli effetti terapeutici dell’acido lisergico, e hanno ridotto la pena ai soli servizi sociali per chi ne viene trovato in possesso, anche in quantità significativa.
L’alternativa è confidare nella Silicon Valley: se alimentando la propria creatività i suoi adepti riusciranno a fare più soldi, è lecito aspettarsi a breve i lobbisti in Parlamento a perorare i viaggi psichedelici. Con buona pace della lotta al materialismo di Leary e compagni.
INTANTO, LA COMUNITÀ SCIENTIFICA FA NUOVI TEST SUI VOLONTARI