DANIELE SILVESTRI
Con il suo nono album ritorna a cantare il proprio tempo
Questa intervista a Daniele Silvestri durerà esattamente il tempo della sua sigaretta rollata a mano, quella che il cantautore accende e lascia spegnere diverse volte per quasi un’ora, un gioco che lo aiuta a concentrarsi (o a distrarsi): «Anche la sigaretta ha i suoi tempi, è il bello di farsele a mano». Il tempo è un’idea che torna, nelle sue risposte: quello che gli concede l’età anagrafica, i pensieri su come sia più o meno giusto comportarsi dopo aver passato la curva dei cinquant’anni, oppure il tempo presente, che lo attira anche a dispetto dei tentativi di starne alla larga.
Il tre maggio è uscito La terra sotto i piedi, nono album in carriera, anticipato da tre 45 giri tematici e da Argentovivo, la canzone sulle adolescenze guaste che aveva portato con il rapper Rancore all’ultimo Festival di Sanremo (aggiudicandosi il premio della critica e della sala stampa radio-tv).
Daniele Silvestri ha i modi dell’uomo timido a cui piace parlare, alle sue condizioni e con i suoi tempi, appunto. Dunque, se la terra è sotto i piedi, prima dove stava?
Acrobati, il mio disco precedente, partiva dal fatto che mi sembrava sempre meno giustificato, a causa dell’età, quel mio costante tentativo di interpretare l’attualità, la politica, il sociale. Mi era venuto il pensiero che ci fossero altri, più giovani, che avevano più diritto di farlo rispetto a me.
E poi?
Mi è venuto il bisogno di tornare a occuparmene. In particolare le nuove tecnologie, e il fatto che nessuno ha un manuale di istruzioni per tutta la libertà che ci viene offerta, mi sono sembrati temi interessanti. E la decisione di anticipare l’album con tre “anacronistici” 45 giri?
Dal punto di vista discografico sono nato col cd, ma non ne sono fiero, è una cosa di cui non sentirò la mancanza. Nell’era dello streaming, il vinile ti dà la gioia del possesso assoluto, che tu lo faccia suonare oppure no. Mi faceva piacere celebrarlo.
Com’è la sua collezione di vinili?
Grandicella, ma le collezioni grosse sono un’altra cosa. La vecchia casa di Renzo Arbore è strepitosa, un museo della musica. I miei vinili stanno in una libreria in muratura nella sala giochi nel seminterrato.
E com’è, la sua sala dei suoi giochi? Era un vecchio garage, al centro c’è una batteria, intorno un divano, comodo. Ogni tanto rimane qualcuno a dormire. Risalendo ci sono zona vinili e pianoforte, la grande scrivania di mia madre e un armadio pieno di altri dischi.
Fabi, Gazzè, Caparezza, solo per citarne alcuni: la sua carriera è la storia di tante amicizie.
Sono cresciuto con una dote o un difetto, non ho ancora deciso: sono sempre stato bene da solo, non ho mai avuto bisogno di nessuno. Sono andato verso gli altri per senso del dovere, perché non si può fare sempre da soli, e imponendomelo ne ho scoperto il piacere.
Che amico è lei?
Secondo me non sono il massimo. Di carattere non sono uno che tira fuori i problemi, che chiede attenzione dal punto di vista morale, psicologico, sentimentale, forse per questo nemmeno gli altri me lo chiedono. Non sono il primo che ti viene in mente, se hai da condividere qualcosa che ti angustia. Il suo ultimo compagno di strada è Manuel Agnelli. Cosa vi unisce? Manuel è uno che sa, che ha vissuto parecchio, con intensità, mai a caso. Ha avuto un approccio diverso al mio rispetto alla musica, ma quando ci troviamo di fronte un pianoforte diventa facilissimo capirsi. Più di quanto pensassimo entrambi. Capiterà ancora.
Farebbe un tour con lui?
Potrebbe essere. Ogni volta che ci incrociamo sul palco è notevole.
Con Argentovivo ha cantato le adolescenze virtuali, recluse. Poi capita un quindicenne antirazzista come il Simone a Torre Maura, ben dentro il mondo. Che effetto le fa?
Un moto di speranza. Come Greta, la ragazza svedese che si batte per il pianeta. Mi danno gioia questi ragazzi tosti e consapevoli che si occupano del futuro.
Lo ha trasmesso ai suoi figli?
Meno di quanto vorrei, ma ogni adolescente deve fare il suo percorso. Argentovivo era un modo di parlare a loro, nel dialogo tra padre e figlio sei condannato a perdere, io almeno ho le canzoni. L’ho scritta in un momento buio, ora come papà sono in una fase più luminosa.
Un anno fa lei fu travolto da una bufera per le critiche via tweet a Mattarella. Cosa ne ha ricavato?
Me la sono un po’ andata a cercare, perché stavo scrivendo una canzone sugli insulti social, Complimenti ignoranti. Per fortuna che in altre epoche non usavo Twitter, altrimen
«Non credo di essere il massimo, come AMICO . Non sono uno che tira fuori i problemi, che chiede attenzione. Quindi non sono il primo che ti viene in mente, se hai da condividere qualcosa che ti angustia»
ti sarebbero state epopee di insulti. Comunque me ne sono pentito, non per le reazioni, ma per aver dovuto sintetizzare, a causa del mezzo, ed essermi per questo spiegato male.
Si arrabbia ancora per la politica? Raramente. Le occasioni non mancano, ma rischi di farci l’abitudine. Poi qualche volta è troppo, sui porti chiusi è difficile non provare un po’ di vergogna a essere italiani. Ma vogliamo davvero parlare di politica?
Faccia lei.
Era facile prevedere come sarebbe andato a finire il governo, con uno dei due colori che mangia l’altro. Ho seguito la storia dei 5 stelle con tante aspettative, e anche ora vi riconosco qualcosa di unico e affascinante. Il colore giallo portava con sé belle speranze poi deteriorate. Lo dichiaro, io sono un veterocomunista, quindi vengo da un mondo che di arroganza in campo ne ha messa tanta, ma l’arroganza è poco giustificabile quando hai fatto della tua incompetenza in politica una bandiera. All’epoca del tweet aveva detto di aver votato Potere al Popolo...
Sì, così almeno ho tolto di mezzo ogni altra ipotesi.
Torniamo alla musica. In autunno parte il tour nei palasport: che rapporto ha col suo repertorio?
Da tempo immemore chiudo i concerti con Cohiba, ogni volta che arrivo a quel punto penso: ma si potrà mai cambiare questa cosa? Mi sembra sempre meno giusto cantare parole che appartengono alla veemenza della gioventù. Ma il fatto è che la cosa mi diverte ancora, quindi finché funziona continuo. Per il resto, ogni volta in scaletta provo a tenermi un po’ di spazio per l’ignoto.
Applica lo stesso principio anche nella vita?
Sono un uomo preciso, mi piace la ripetitività. Ma in generale, specie nei viaggi, mi piace programmare le cose. Compresi gli spazi vuoti, per mettermi nella condizione di non dover sempre sapere in anticipo cosa succederà.
«Mi sembra sempre meno giusto cantare parole che appartengono alla veemenza tipica della GIOVENTÙ . Ma la verità è che la cosa mi diverte ancora. Quindi continuo, finché funziona»