IL SOGNO DELL’UOMO
C’è una tuta (con 1.050 cavalli) che fa la storia
Librarsi nell’aria, assecondando i movimenti del corpo per impostare la traiettoria e guardare il mondo dall’alto. Il più antico desiderio dell’uomo è realtà: e non parliamo di aerei, paracaduti o altri marchingegni che la civiltà ha immaginato dai tempi di Leonardo da Vinci, ma di una tuta in grado di far volare chi la indossa. Si chiama Jet Suit, costa 381mila euro e l’uomo dietro il prodigio è Richard Browning, un ex marine con il fisico del caso, studi in ingegneria e pallino da inventore. Le analogie con il personaggio di Tony Stark del film Iron Man sono molte. «L’idea era di portare il volo a un livello superiore», racconta Browning dal laboratorio-officina di Gravity Industries, l’azienda che ha fondato nei pressi di Londra. «Qualcosa di diverso da tutto il resto, in cui il corpo umano fosse la chiave di volta dell’invenzione». La tuta, già immaginata nei fumetti, è uno dei tanti progetti che l’esercito americano avrebbe voluto trasformare in realtà: peccato che la Rocket Bell, così chiamata e sviluppata negli Anni 50, si rivelò troppo instabile e il prototipo venne abbandonato. «Tutte suggestioni che mi hanno comunque influenzato e che i miei studi in aeronautica e design hanno contribuito ad alimentare», continua Browning.
Nel 2016 l’intuizione si tramuta in realtà con la Jet Suit, che permette di volare grazie alla propulsione di turbine simili a quelle di un aereo. «Gli inizi sono stati disastrosi. Nei primi tentativi sembravo un pupazzo in balia della gravità. Caduta dopo caduta e fallimento dopo fallimento, la sfida di controllare il volo attraverso il corpo sembrava una chimera», ricorda. Ma era solo questione di tempo (e di resilienza): un anno dopo Browning riuscirà a sorvolare le acque del lago di Lagoona, a Reading, con un’andatura stabile di 52 chilometri orari. Un’impresa da record del mondo. Da quel momento, tutto ha funzionato secondo copione. «Abbiamo realizzato 65 dimostrazioni in 21 nazioni e volato di fronte a spettatori illustri come Richard Branson e Al Gore. Ogni volta che indosso la tuta mi ricordo della prima volta che sono rimasto in volo per 6 secondi ed è come tornare bambino», racconta emozionato mostrandomi i video su Youtube.
Si tratta di un gioiello di ingegneria aero
nautica, dotato di un motore da 1.050 cavalli che muove cinque microturbine alimentate a kerosene da un serbatoio posto dietro la schiena. I jet collocati dietro le spalle e le braccia assicurano un’autonomia di volo tra i 5 e i 10 minuti, a seconda della capacità del pilota. La Jet Suit può salire fino a 3,7 chilometri da terra; almeno in teoria, perché Browning non si è mai avventurato tanto in alto, rimanendo sotto la soglia di sicurezza dei 50 metri. Governare la tuta in azione non sembra una cosa da tutti: «Con il tempo ho imparato ad adattare il mio corpo alle necessità del volo: innanzitutto mi alleno fisicamente, dato che ogni performance richiede in pochi minuti un notevole dispendio di energie. Oltre a me, sanno come farlo altri cinque miei collaboratori. E le due persone che l’hanno comprata». Per portarsi a casa la Jet Suit bisogna seguire un corso per imparare a pilotarla (17.500 euro).
Nel futuro della tuta c’è la propulsione elettrica. «Siamo in fase di sperimentazione. Il problema maggiore è l’allocazione delle batterie», dice mostrando i disegni del progetto. «Vogliamo dotare la Jet Suit di ali: così si potrebbe volare con meno fatica e in modo più fluido. E magari riuscire a fare delle gare, per sviluppare l’aspetto ludico e competitivo». Davanti ai bozzetti della tuta alare gli si illuminano gli occhi e per un momento Browning, che ha 40 anni, sembra essere altrove. Forse sta immaginando il momento in cui sorvolerà New York facendo slalom tra i grattacieli, come farebbe un bambino sognando di essere un supereroe.