DONALD TRUMP BARA A GOLF
Un libro di Rick Reilly lo sbugiarda con le prove
«Donald Trump ha il naso così lungo che potrebbe usarlo come ferro e metterci a segno uno swing». Lo sostiene Rick Reilly, 61 anni, giornalista sportivo americano e firma di
Sports Illustrated, che ha deciso di pubblicare un libro-denuncia per smascherare le bugie del presidente Usa. Secondo il Washington Post ne avrebbe pronunciate novemila solo nei primi settecento giorni di incarico, ma Commander
in Cheat (Hachette Books, 16,80 $ su Amazon) si concentra sul golf. Che, oltre a essere una delle più grandi passioni del presidente, è l’ambito in cui mente e bara, sostiene Reilly, con frequenza mai vista nella storia dello sport.
«Non sono offeso come elettore, ma come golfista», spiega. «In questo gioco non ci sono arbitri, ognuno è giudice di se stesso: se bari sul campo, lo fai in tutti gli ambiti della vita».
Perché tutti i presidenti giocano a golf? Non ci sono incroci né grattacieli, non passano auto e la visibilità è ottima. Per gli agenti di sicurezza sono luoghi facili da monitorare.
Dove ha imparato, Trump?
Nel campo di Cobbs Creak, a Filadelfia, una struttura pubblica frequentata da papponi, traffichini, malviventi di mezza tacca. È stato Trump stesso a raccontare d’aver imparato lì tutto ciò che sa riguardo agli affari, al gioco d’azzardo, e ovviamente al golf. Bara perché crede che sarai tu il primo a farlo. Ed è convinto che una truffa, se non scoperta, truffa non è.
Ha mai giocato con lui?
Sì, e per tutto il tempo non solo ha barato, ma ha anche detto bugie perfino su di me: «Questo è Rick, il presidente di Sports Illustrated», ripeteva a chiunque incontrassimo.
Gli ha chiesto spiegazioni?
Certo. «Suona meglio», mi ha risposto. Pensi che per anni ha costretto sua moglie Melania a dirsi austriaca e non slovena, solo perché a
suo avviso, appunto, “suonava meglio”.
Donald Trump sostiene di essere un vincente nato e di avere ben diciotto campionati in palmarès. Le risulta?
Sedici vittorie sono inventate, le altre due incomplete, su campi non ancora inaugurati. Il trucco è questo: acquista una struttura, organizza un’inaugurazione con partitella amichevole, e poi dichiara che si trattava della Club Championship ufficiale. Certe volte si spinge oltre: al Trump International di West Palm Beach, in Florida, c’è il suo nome sulla vittoria del 1999: peccato che in quell’anno non fosse neppure aperto. Una volta ha organizzato una gara per giocatori over cinquanta in California, finché s’è accorto che un avversario fortissimo, membro del club, avrebbe partecipato. Allora invece di presentarsi se ne è andato a giocare a Filadelfia con un amico: alla fine ha telefonato ai gestori, suoi dipendenti, per far apporre il suo nome in cima al tabellone.
Secondo Tiger Woods, che l’ha sfidato, Trump non sarebbe così male per l’età. Vero, ma non si accontenta d’essere un discreto giocatore di settant’anni, lui deve vincere. E ha ingannato anche Woods: per due volte ha lanciato la palla in un laghetto, facendosene passare poi un paio sostitutive dal caddy, che ne tiene sempre tre o quattro nascoste in tasca. Al terzo tentativo, ha centrato il prato.
L’hanno mai cacciato da un circolo? No. L’unico di cui è socio ma non proprietario è Winged Foot, nello Stato di New York: laggiù sono così abituati a vederlo dare calcetti alle palline per riposizionarle sul green, che l’hanno soprannominato Pelé.