KANYE È L’UOMO, POETA COME ORESTE
DIALOGO SULLA NUOVA MASCOLINITÀ CON L’ARTISTA VANESSA BEECROFT
Quando mi è stato chiesto di presentare la mia visione dell’uomo contemporaneo, dapprima ho rifiutato perché non volevo parlare del genere maschile, come per un nemico. Poi, ho pensato a Kanye come a una figura simbolica dell’uomo di oggi, per diverse ragioni. La mia idea di Kanye è quella di poeta, nel senso classico. Il poeta che Alberto Moravia piangeva dopo la morte di Pier Paolo Pasolini, nell’orazione del suo funerale: “Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo ... Il poeta dovrebbe essere sacro”. La sacralità del poeta, un uomo che ha superpoteri nell’espressione verbale e musicale. Questo uomo può sbagliare, perché è vulnerabile. Per me questo è Kanye, a parte il suo grande successo pubblico. Questi sono i motivi che mi portano a sceglierlo come uomo simbolico di oggi. Penso alla figura di Re Ludwig come rappresentata da Michelangelo Antonioni: un re che non riesce a interessarsi alle guerre perché ama la musica e costruisce castelli. Un re che sogna. O anche il Principe di Homburg di Heinrich von Kleist, un principe che soffre di amnesia e che durante la battaglia si distrae pensando al suo amore. E perde la battaglia. È così che io interpreto il personaggio di Kanye, una figura complessa, controversa, che eccelle nella parola e nella musica. Io parlo dalla posizione di chi non ascolta la musica leggera, ma preferisce la filarmonica. Parlo perché vedo che quando Kanye compone scrive come un poeta, un poeta politico. Kanye ha una visione del mondo nuova a cui vorrebbe dare vita. Una visione che include cambiamenti sociali, culturali e di costume. Lui porta avanti questa missione rischiando di compromettere la sua vita. E confonde il pubblico ripetutamente.
Vanessa, ha incontrato per la prima volta Kanye in occasione del lancio del suo album 808s & Heartbreak, durante il quale ha offerto al pubblico una sua performance: VB63, 2008. Sebbene dal punto di vista di testi e musica contenga differenze significative rispetto ai lavori precedenti, l’album è diventato uno dei più importanti della sua produzione. I temi sono l’alienazione, la perdita, la sofferenza… In quel momento stavo attraversando un periodo di perdita anche io e vivevo un senso di alienazione. Avevo trascorso gli ultimi due anni viaggiando avanti e indietro dall’africa per visitare due gemelli neonati del Sud Sudan che avevo allattato dalla nascita in un orfanotrofio e da cui mi dovevo infine separare. Il congedo era stato rappresentato da un’immagine che mi ritraeva in vece di Madre bianca che nutriva i due gemelli neri (White Madonna with Twins, South Sudan, 2007). Seguivo mio marito da New York a Los Angeles, e lui lasciava il nucleo familiare. Avevo perduto nello stesso momento due amori. Per questo e per altri motivi, ho deciso di collaborare al listening party per l’album di Kanye. Era l’ottobre del 2008.
Quando lavorate ai progetti di Kanye, si percepisce che avete una forte empatia. Anche se il nostro incontro è stato casuale, con il passare del tempo si è stabilito un rapporto telepatico che non ha bisogno di molte parole per essere spiegato. Io cerco di dare forma alla visione di Kanye, mentre lui pone domande e soggetti che sono diventati rilevanti e parte del mio lavoro. Parlando con il poeta/attivista e musicista Saul Williams delle collaborazioni tra lei e Kanye e del suo punto di vista sull’uomo contemporaneo, Saul ha detto: «Non penso che possiamo affrontare la questione maschile, e in ultima analisi del potere, senza affrontare quella della vulnerabilità». Quando ho realizzato la performance con gli US Navy SEALS (VB39, 1999, Museum of Contemporary Art, San Diego, California), l’intento principale era quello di rappresentare l’anacronismo e la vulnerabilità della loro posizione. Sono giovani uomini provenienti dalle periferie americane, che interpretano un ruolo obsoleto pur emanando ancora valori sociali ed estetici. Anche gli uomini del Sud Sudan hanno suscitato in me un sentimento simile forse a causa della loro storia, radicata da secoli nel colonialismo e nella brutalità. Quando mi è stato offerto di presentare una performance presso il Padiglione di Arte Contemporanea a Milano, nel 2009, il soggetto era un gruppo di immigrati africani in smoking seduti a un tavolo come in un’ultima cena a mangiare carne con le mani. Li ho esposti in una performance (VB65, 2009) come oggetto d’arte attribuendo loro un potere contingente. Ho invertito la posizione del pubblico che, così come nelle performance con le ragazze, si è trovato a guardare il gruppo di uomini come un oggetto di valore assoluto: l’arte. Questa ambivalenza tra potere e vulnerabilità caratterizza tutto il tuo lavoro, anche quando mostra gli uomini anziché le ragazze. Perché l’album 808 & Heartbreak è importante in relazione a vulnerabilità e potere?
808s & Heartbreak esplora un aspetto spesso represso del genere maschile. Quello che espone uno stato di vulnerabilità emotiva. Il testo e la musica esprimono dolore, perdita, disperazione e malessere.
Ci parli dei tuoi viaggi in Sud Sudan, del periodo della tua vita in Africa? Tra il 2005 e il 2007, ho trascorso lunghi periodi in Sudan. Il mio primo viaggio era nato dall’impulso di documentare la guerra e il genocidio in Darfur. La spedizione guidata da un gruppo di frati Comboniani non mi portò in Darfur ma a Rumbek nel Sud Sudan. Stavo cercando di seguire le orme di Appunti per un’orestiade africana di Pasolini (1969). La mia idea era di andare a cercare un nuovo Oreste in Africa, che avesse creato un mondo nuovo sulle rovine del vecchio. Questo lavoro divenne parte di un progetto più ampio, una trilogia. La seconda parte è stata filmata in Sicilia sotto forma di documentario, e riguarda la migrazione degli africani verso l’italia e l’europa; ho girato al Cretto di Gibellina, a Lampedusa e in altre zone (2007). Nella terza parte volevo trovare un Oreste negli Stati Uniti, ma non è mai stata realizzata. È stato in quel periodo che Kanye ha chiesto di incontrarmi.
Alla fine Appunti per un’orestiade africana
conduce in America...
L’oreste di Pasolini è nero; il film termina con l’affermazione: “I nuovi re dell’africa saranno i re della musica afroamericani”. Quando ho incontrato Kanye ho pensato che potesse essere lui. Questo è successo più di undici anni fa. Da allora, ho lavorato con Kanye su progetti di teatralizzazione della sua musica, della moda e altro. Non ho concluso la mia trilogia, ma l’esperienza di lavoro con lui è così complessa e rivelatrice da diventare di per sé un’orestiade. Vanessa, tutta la sua carriera ruota attorno all’analisi della figura femminile. Quanto è importante il fatto che Kanye sia un uomo?
Ci sono cose che ci si aspetta da un uomo e in particolare da un uomo afroamericano. Kanye sovverte queste aspettative. Non è ortodosso. È un uomo femminista. Nel suo entourage e nella sua vita, le donne sono figure di potere. È un artista in senso totale, non solo un musicista. Parliamo di The Life of Pablo. In che modo quella performance al Madison Square Garden ha contribuito alla musica?
La presentazione della collezione Yeezy Season III è stata inaugurata durante la settimana della moda di New York contemporaneamente al listening party di The Life of Pablo. La messa in scena era una mia performance di più di mille afroamericani, uomini e donne. L’immagine si ispirava a un campo profughi in Rwanda. Come nelle mie performance tradizionali ho chiesto al gruppo di uomini e donne di non parlare, non muoversi, non ballare, non cantare... L’abbigliamento è stato recuperato presso dei thrift store e tinto in tre colori principali, per trattare l’immagine come fosse un quadro. L’effetto è stato politico e classico. L’evento è stato mandato in live streaming in 700 teatri di 23 Paesi e su Tidal, così che un pubblico molto vasto ha potuto assistere alla performance e ascoltare il concerto in diretta.
Qual è stato l’aspetto più rilevante di questa performance?
È stato importante che ci fossero così tanti afroamericani presenti nello stesso spazio. Evocavano un senso di inquietudine e di empatia. Uomini e donne con un passato comune. La loro presenza era monumentale.
Era come se una rivoluzioespande ne stesse per cominciare. Energia compressa che si è rilasciata alla fine quando il gruppo ha rotto le regole per seguire la musica di Kanye e ballare. ll gesto corale e spontaneo del pugno alzato ha chiuso l’evento. Saul Williams le ha chiesto se a distanza di tre annai da quell’evento pensa che il riferimento al campo profughi del Rwanda abbia acceso qualche interesse o consapevolezza sociale e politica. Lui stesso ha risposto: «Assolutamente no!». Ci sono state ripercussioni nel mondo della moda. Molte case hanno cambiato il modo di presentare le collezioni con gruppi di persone sull’attenti e ferme, i modelli sono diventati meno bianchi e meno stereotipati. Per ottenere un vero impatto politico, comunque, il cambiamento richiede tempo. Io non sono un’attivista politica e non posso essere un’artista che cerca di essere politica secondo il protocollo. Questo non lo posso fare. L’arte è diversa. L’arte non deve rendere conto sul momento ai media. Lo fa dopo. Ha una durata di vita più lunga. Io ho usato la piattaforma che avevo a disposizione, in un contesto non politico, per presentare ed evocare tematiche politiche, anche se non esplicitamente. Considero questo metodo dialettico. Come nel mio lavoro, quando presento formazioni di donne in istituzioni artistiche e musei, spesso nude, per provocare nel pubblico una reazione di vergogna e senso di colpa. C’è una relazione tra il tentativo di creare un gospel in The Life of Pablo al Madison Square Garden e l’attuale Sunday Service. Ci parli di cosa è il Sunday Service di Kanye West.
Il Sunday Service è una performance ispirata al gospel che avviene ogni domenica sulle colline di Calabasas, California, per la famiglia e la comunità attorno a Kanye. È una performance dal vivo di un vasto coro di voci che sperimentano un repertorio proveniente dalla tradizione nera, ma che si sotto la guida di avanguardia di Kanye.
Qual è il valore del Sunday Service secondo lei?
Il valore principale del Sunday Service risiede nel coro. Come nel coro classico è analogico, teatrale e tribale.
Per tornare alla nostra domanda iniziale, come definisce la sua figura maschile contemporanea ideale?
La mia idea di figura maschile contemporanea è quella di un uomo che non appartiene al sistema e che vive fuori dal credo capitalistico. Un uomo le cui azioni e sogni contengono il seme del cambiamento. E questo cambiamento deve essere radicale, nonviolento ma radicale.
— Sunday Service photo crew: Vanessa Beecroft, Josh White, Jonathan Drake. Un ringraziamento speciale a Saul Williams per le sue conversazioni con Vanessa. Grazie anche a Dwayne Johnson-cochran per il copy-editing della versione inglese.