NON È SEMPRE LO STESSO DISCO
Dalle moto alla Formula 1: come nascono i sistemi frenanti (italiani) più apprezzati al mondo
A volte le storie più belle iniziano per uno scherzo del destino, come un camion che si ribalta “nel posto giusto”. È il 1964 e a Paladina, in provincia di Bergamo, sta transitando un autocarro proveniente dall’inghilterra che trasporta dischi-freno per l’alfa Romeo, finché l’autista perde il controllo e il mezzo si capovolge. Il carico potrebbe essersi danneggiato, e l’azienda automobilistica non può permettersi errori su un componente così importante. Quindi chiede alla vicina Brembo – che all’epoca è una piccola officina fondata solo tre anni prima da Emilio Bombassei e Italo Breda – di verificare i dischi uno per uno e certificarne la conformità. Da quel giorno, l’azienda bergamasca che progetta e vende freni a prezzi competitivi ha accesso alle collaborazioni importanti. La sfida più stimolante arriva a metà degli Anni 70, con l’impegno in Formula 1 e l’inizio della partnership con la Scuderia Ferrari per la fornitura dei dischi-freno in ghisa. Nel 1984 è la volta del carbonio (da cui deriverà il carbonio-ceramico per le applicazioni stradali) e, nel frattempo, la produzione di sistemi frenanti si estende anche al mondo motociclistico. Il palcoscenico principale, però, rimane la F1, dove Brembo totalizza più di 400 vittorie in oltre 750 Gran Premi disputati, 24 titoli piloti e 28 titoli costruttori. Oggi, insieme ad AP Racing che è parte del Gruppo, l’azienda italiana fornisce la quasi totalità di scuderie impegnate nel Campionato. Ma il business va ben oltre le piste di tutto il mondo, con più di 10.000 collabo
ratori che lavorano in stabilimenti sparsi in tutto il mondo: Polonia, Inghilterra, Repubblica Ceca, Germania, Brasile, Stati Uniti, Messico, Cina e India oltre che – ovviamente – in Italia, fulcro non solo della produzione ma anche dei settori ricerca e sviluppo.
È qui che il know-how si fonde con l’eccellenza. I freni per i team di Formula 1 nascono da un complesso processo di lavorazione dei ritagli in fibra di carbonio, che vengono sovrapposti in una precisa sequenza e cuciti tra loro creando una sorta di ciambella chiamata “preforma”. Quindi inizia la fase di cottura in forni particolari, nei quali i dischi raggiungono i parametri richiesti in un periodo di circa sei mesi. Infine, i componenti vengono portati alla sede storica di Curno – dove si trova anche lo stabilimento dedicato alle corse – per la lavorazione finale: un macchinario pratica fori minuscoli su ogni singolo disco, da un minimo di 800 a un massimo di 1.480 per le versioni very high
cooling, che i team di F1 di solito utilizzano in circuiti molto stressanti per l’impianto frenante, come Montréal, Singapore, Bahrain e Abu Dhabi. Lo spessore massimo dei dischi frenanti è di 32 mm per l’anteriore, e da 28 a 32 per il posteriore. Il diametro è fissato per regolamento a un massimo di 278 mm per l’anteriore, mentre al posteriore si può scendere fino a 260. Gli altri componenti fondamentali dell’impianto sono le campane in titanio e le pastiglie in carbonio, che si frappongono tra il disco stesso e le pinze monoblocco a 6 pistoni, ricavate dal pieno in lega d’alluminio e successivamente nichelate, per resistere a temperature che superano i 350 °C. In F1, nel corso di una stagione, ogni team consuma dai 150 ai 300 dischi, fino a 600 pastiglie e dai 10 ai 15 set di pinze.