INVITO A TEATRO
Al Bvlgari di Tokyo va in scena il crossover italogiapponese di Luca Fantin
Stravaganza e metodicità. Confronto e rispetto. Creatività e tecnica. Da una parte l’italia, dall’altra il Giappone. «Se si riuscisse a trovare un Paese con queste qualità sarebbe il luogo perfetto». Luca Fantin, executive chef del Bvlgari Ginza Tower a Tokyo (dal 2015 ha cambiato il nome in Bvlgari - Il Ristorante - Luca Fantin), dopo dieci anni si può dire che sia il volto della cucina italiana in Giappone. «All’inizio mi facevo arrivare parecchi ingredienti, nel tempo, invece, ho imparato ad apprezzare le materie prime locali che nulla hanno da invidiare alle nostre», spiega lo chef 40enne di origini venete, che a Tokyo vive con la moglie e i tre figli. Uniche eccezioni: il Carnaroli, l’extravergine e il Grana. «Non è stato difficile adattarmi perché la stagionalità è molto simile alla nostra: novembre è il mese dei tuberi, delle castagne, dei cachi, delle cipolle nuove». Ciò che cambia è però il gusto. «Sta a noi giocare con gli ingredienti abbinandoli alle nostre erbe aromatiche e all’insostituibile olio Evo». Non solo. Al raviolo ripieno di burrata e mozzarella giapponesi (!), «ho manipolato il ripieno aggiungendo un tocco di acidità con l’aceto balsamico, il pane, i broccoli e le alici». In Giappone tutto è molto più dolce. Persino i ricci con cui Fantin prepara uno spaghetto da urlo. «È tra i preferiti dei nostri clienti, se manca me lo chiedono». Per questo è uno dei piatti inclusi nel menù Epocale, realizzato in occasione dell’anniversario della sua attività al ristorante di Bvlgari, il risultato di dieci anni di creazioni. «È una selezione di 10 piatti tra i 400 realizzati nell’ultima decade; una scelta non facile ma alla fine ci ha dato ragione». Tra i must l’essenza di carota («difficilissima da cucinare perché troppo dolce di suo»), il trancio bianco, rosso e verde con il caviale («qui ho imparato la tecnica ikejime, un metodo di macellazione che consente di mantenere inalterata la qualità della carne del pesce»), e il minestrone che resterà in menù anche dopo novembre, un vero e proprio spettacolo anche nella presentazione. Da buon veneto però Fantin non nasconde una certa nostalgia di casa: «No, non di Treviso ma del radicchio e degli asparagi! Li coltivano anche qui ma manca una parte fondamentale: l’amaro che li rende così speciali e fantastici da cucinare». Il piatto più esperienziale del menù? «Non ne esiste uno perché quello che proponiamo è un invito a teatro, uno spettacolo che comincia dall’ingresso del cliente nel ristorante per chiudersi con l’ultima portata e, si spera, con il suo appagamento all’uscita». Quello che Fantin definisce il vero lusso in cucina, ossia «un’esperienza a 360° non relegata al solo atto del mangiare ma di un ricordo che, se positivo, resterà indelebile». Sayonara? «Noi preferiamo “arrivederci”, al ristorante tutti parlano italiano, i giapponesi imparano in fretta».