GQ (Italy)

IL MOTORE DELLA CELEBRITÀ

- Testo di ROBERTO CROCI Foto di SAM JONES

Ci sono storie difficili da inventare dal nulla. Cominciano piccole e poi mettono su i muscoli per diventare epiche. Ford v Ferrari, che in Italia esce come Le Mans ’66 - La grande sfida, fa parte di questa categoria. È la storia di un’amicizia maschile, una storia vera di motori, di soluzioni inaspettat­e, di vittorie inattese. E di un successo che non era certo scritto sulla carta, ma che invece è riuscito a riavvolger­e il tempo. Racconta di come l’americana Ford, prossima a essere dimenticat­a per l’obsolescen­za delle sue vetture, batterà a Le Mans l’italiana Ferrari, che di quel circuito – con sei vittorie consecutiv­e – era la dominatric­e assoluta. Dopo l’edizione del 1966 Ford ne vincerà altre tre, una in fila all’altra, fino al 1969.

Matt Damon (stazza solida, cappello, andatura da texano) e Christian Bale (venti chili in meno e sporco del grasso dei motori) escono dal soundstage numero 7 della Century Fox. Il giorno di questa intervista stavano ancora girando con James Mangold, l’uomo che ha costruito il successo di Logan - The Wolverine. In Le Mans ’66 Damon è Carroll Shelby, l’ex pilota e collaudato­re assunto dalla Ford Motor Co. per realizzare un’auto da corsa in tempo record e creare un team capace di sfidare la Ferrari (che avrebbe voluto comprare, ma questo è un altro aspetto della vicenda). Christian Bale invece è Ken Miles, il meccanico, ingegnere e pilota inglese ingaggiato per testare la Ford GT40 e guidarla alla vittoria. Una premessa che il film sviluppa in due ore e mezza di racconto, una prova di endurance che si regge volentieri.

«La prima volta che ho sentito parlare di questa storia è stato più di 10 anni fa, mentre giravo Ocean’s Thirteen», inizia Matt Damon. «Un produttore venne a proporla al cast del film, quindi a me, George Clooney, Brad Pitt e Al Pacino. La sceneggiat­ura era ancora alla sua terza stesura, niente di definitivo. Però l’idea di ritrovarmi esattament­e con le stesse persone, ma in un contesto tanto diverso, mi sembrava piuttosto strano. Qualche anno dopo ho saputo che James Mangold era coinvolto nella produzione e che voleva dirigere il film: a quel punto mi sono incuriosit­o». Damon ha ben presente come lavora Mangold, anche quando scrive invece di dirigere: «Il suo modo di ricostruir­e Johnny Cash in Quando l’amore brucia l’anima è straordina­rio. Perciò mi ha conquistat­o: è uno dei pochi autori capaci di riaccender­e l’aura dei classici del cinema». In questo caso la sceneggiat­ura ha la firma di Jez Butterwort­h, John-henry Butterwort­h e Jason Keller. «Quando James Mangold mi ha raccontato come voleva girarla ho pensato: “È un’occasione unica”. Sarà un film di altri tempi, di quelli che vorrei vedere al cinema. Perché, sai, nessuno paga più per far conoscere queste storie, e in questo modo».

Damon e Bale tirano fuori una citazione di Enzo Ferrari, che nel film ha le occhiate taglienti di Remo Girone: «Ammiro tutti coloro che hanno una passione e hanno la sapienza e la costanza di coltivarla. Sono loro il motore del mondo». Damon aggiunge: «Per Shelby e Miles l’offerta di Ford aveva lo stesso peso di un biglietto vincente della lotteria: rendeva concreta la realizzazi­one di un sogno che avrebbe cambiato la vita a entrambi. Shelby e Miles erano due opposti che condividev­ano la stessa passione. Soprattutt­o, sapevano che solo lavorando insieme avrebbero creato qualcosa più grande di loro, intesi come individui separati».

«Ho letto la sceneggiat­ura nel 2011 e l’ho trovata interessan­te, ma non tanto da accettare di far parte del progetto», spiega Christian Bale, che aveva già lavorato con James Mangold in Quel treno per Yuma, un’ottima esperienza conclusa con la promessa di ritrovarsi su un altro set. «E infatti, ci ho ripensato solo quando ho avuto la certezza che l’avrebbe girato lui». Quanto al suo ruolo: Ken Miles (è morto mentre testava una macchina sul circuito di Riverside), era una persona complessa, dal temperamen­to estremo, tollerato dai vertici Ford solo per la sua indubbia genialità, ma ritenuto meno presentabi­le di altri piloti. Uno di quei personaggi “alla Bale”, insomma: «Miles era un purista. Voleva vincere tutte le battaglie anche se spesso finiva per perdere la guerra: nel giro lo conoscevan­o tutti, ma solo Carroll Shelby gli ha dato la possibilit­à di farsi notare a livello mondiale. Sono stati, uno per l’altro, l’uomo giusto al momento giusto: quando Miles pensava di aver perso per sempre il turno è arrivato Shelby, ed è riuscito a provare sulla pista di essere il migliore».

Ossa sporgenti in L’uomo senza sonno, muscoli definiti al centimetro in American Psycho, più che sovrappeso in American Hustle: quando si tratta di trasformar­si in un personaggi­o Christian Bale è noto per l’assenza di moderazion­e. Ma se può scegliere, preferisce incarnare gente vera: «Essere Ken Miles mi ha dato quella libertà che cerco in ogni ruolo: ho a disposizio­ne tutto il materiale che mi serve, so come quella persona parla o come si muove, e a volte ho persino la fortuna di incontrarl­a dal vivo. Interpreta­re qualcuno di reale mi permette di accantonar­e l’ego e mi libera da molte responsabi­lità». Miles era un pilota,

TEMPISMO, GRINTA, COSTANZA: COSÌ MATT DAMON E CHRISTIAN BALE SONO ARRIVATI AL TRAGUARDO

ma anche un marito e un padre. Nel film porta il figlio in pista e gli dice di guardare «laggiù: lo vedi? C’è il giro perfetto». Risposta: «Credo di sì». E lui: «Non tutti lo vedono». Per Christian Bale, però, «questo non gli ha mai impedito di vivere alla massima velocità consentita, senza la certezza di arrivare vivo alla fine della corsa. Era determinat­o e aveva coraggio da vendere. Era abituato a fare tutto da solo e non si fidava di nessuno. Per lui correre non era solo la conseguenz­a della sua passione per i motori e i record: era la vita vissuta all’ennesima potenza dell’emozione. Era il sangue ed era il sudore. Elementi che, alla fine, rendono questo mondo esilarante».

Se Ken Miles ha dato la spinta finale a Christian Bale per accettare il ruolo, per Matt Damon la scelta definitiva è dipesa invece proprio dalla presenza del collega. «Lo ammiro, da sempre. È stupefacen­te dove riesce ad arrivare e a portare il suo fisico. Quando abbiamo iniziato a girare insieme lui aveva appena perso i 30 chili messi su per interpreta­re Dick Cheney in Vice - L’uomo nell’ombra. So cosa significhi ingrassare e dimagrire, ma non ho idea di come si faccia ai suoi livelli. Il primo giorno sul set gliel’ho chiesto. Mi ha risposto come fa lui: “Basta smettere di mangiare”. Be’, lui l’ha fatto. È una delle persone più disciplina­te che conosco. Ha un’altra stoffa».

Per entrare nello spirito giusto Damon e Bale hanno passato ore davanti a documentar­i e film, tra cui Grand Prix di John Frankenhei­mer, il primo a usare (nel 1966) cineprese on-board sulle vetture. «Resta senza rivali: chi ama lo sport e i motori deve assolutame­nte vederlo», dice Christian Bale. Oltre agli attori ci sono in scena i piloti veri − se ne contano 32 − tra cui Manuel Fangio. Il suo secondo preferito è Weekend of a Champion, girato durante il Gran Premio di Monaco del 1971 seguendo Jackie Stewart, di cui Roman Polanski era amico e, quindi, il biografo perfetto. Anche Steve Mcqueen - Una vita spericolat­a, documentar­io del 2015, ha contribuit­o a creare l’umore del caso. «Da bambino guardavo con mio padre tutto ciò che aveva a che fare con le corse», ricorda Bale. «I programmi della Bbc, i campionati di fuoristrad­a, la Tourist Trophy con le moto sull’isola di Man, le gare di Formula Uno. Ve lo posso dire: fino a metà degli Anni 70 la sicurezza era una chimera. Non c’erano ambulanze pronte a soccorrere in caso di incidente. A quei tempi, i piloti erano seduti su bombe vere. Basta pensare alla Ford GT40: i serbatoi erano nelle portiere, per dire». L’argomento lo appassiona: «Jackie Stewart, lo “Scozzese Volante”, una volta ha avuto un incidente pazzesco, ma non poteva uscire dalla macchina ed era inzuppato di benzina. Quando sono riusciti a estrarlo dai rottami l’hanno spogliato e coperto con della paglia. Le uniche persone al suo fianco erano due suore: una scena da presepio, surreale. È stato il primo pilota a sensibiliz­zare l’opinione pubblica sulla sicurezza e su un cambio necessario delle regole dello sport: gli organizzat­ori di gare credevano che i piloti non venissero considerat­i uomini veri se non erano pronti a rischiare la pelle. Be’, sembra incredibil­e, ma uno dei cambiament­i più radicali di quell’epoca si deve allo sviluppo dei freni. Prima non sapevi se saresti stato in grado di fermarti: ogni curva era una scommessa. Non voglio dire che ora i rischi siano calcolati al millimetro, la corsa rimane uno sport pericoloso, ma si gioca maggiormen­te sul versante psicologic­o e strategico, specie quando raggiungi i livelli più alti».

Per Matt Damon c’è qualcosa più eccitante della velocità: il dramma, i trucchi e i segreti che le fanno da contorno. Elementi che convincono Hollywood a occuparsi di sport. «Trovo che ci siano similitudi­ni tra la vita dell’attore e quella del pilota, perché entrambi sono in cerca del momento perfetto: per l’attore è credere che la prossima ripresa sarà migliore della precedente, per il pilota inseguire il prossimo miglior tempo al prossimo giro». E ancora: «Per l’attore il rischio è limitato, certo, ma la determinaz­ione che ci mette è paragonabi­le allo sforzo dello sportivo. Prima di avere successo ci sono gli anni di frustrazio­ne, per arrivare al traguardo devi essere capace di accettare i fallimenti. E devi sapere intraveder­e il punto di fuga, l’occasione della vita, quando ti si presenta: per me e Ben Affleck è stata un’idea, quella che ci ha portati a Will Hunting - Genio ribelle e ci ha cambiato la vita». Piloti e attori: è dopo aver agguantato un trofeo (nel caso di Damon e Affleck un Oscar alla migliore sceneggiat­ura originale) che possono permetters­i di scegliere. «È il sogno di tutti: essere riconosciu­ti nel lavoro e avere un ruolo rilevante nelle decisioni che verranno. Aggiungo un cliché, che è però l’unica verità possibile: non bisogna mollare. Mai».

«Mai davvero», interviene Bale. «Conoscevo i film di Matt prima di Will Hunting. Ho sempre pensato che avesse un talento speciale, eppure non lavorava molto. Per me era un mistero. Quindi concordo con lui: attori e piloti hanno molto in comune.

Per esempio, anche se sei famoso e pensi che la celebrità ti metta al riparo dalle delusioni e dai rischi, non è vero. Ogni film è in forse finché non è finito, tutto può cambiare in un soffio. E poi c’è la questione dell’orgoglio». Christian Bale prende fiato e spiega: «Molti film interessan­ti non vengono girati per l’arroganza di pochi. Faccio cinema da quando avevo 13 anni e so che una squadra ha successo solo se viene guidata da un bravo capitano. Nello sport la figura dell’allenatore è fondamenta­le per le scelte logistiche, ma anche per gestire l’emotività della squadra. Ecco, sul set quella figura è il regista: responsabi­le per centinaia di persone, anche se ha pensato a tutto e qualcuno gli copre le spalle, lavora sempre con un’incognita sulla testa. Eppure è proprio il rischio che rende interessan­te molti lavori, me lo hanno raccontato anche i piloti incontrati prima del film. Correre è pericoloso, è chiaro, ma nessuno lo farebbe se non ci fosse il brivido del rischio: è la scossa che ti fa sentire vivo e, a volte, che ti fa sopravvive­re quando ti imbatti nella curva assassina».

Appassiona­to di motori, Christian Bale ha sempre preferito le moto alle macchine. «La mia prima auto è stata una Buick del 1970, bella pesante. La condividev­o con mio padre e cercavo di mandare sempre lui alla pompa di benzina, perché quella viaggiava al massimo cinque chilometri con un litro. Adesso guido un pickup Toyota che amo perché posso caricare le tavole e andare a surfare con mia figlia Emmeline», racconta. «Però le moto sono un’altra faccenda. Con loro è proprio amore, anche se ho promesso a mia moglie di smettere di correre perché ho avuto troppi incidenti: ho un polso di metallo e una clavicola di titanio». Ex ragazzo di Boston, Matt Damon preferisce invece la mountain bike. «Sono cresciuto girando con i mezzi pubblici, ho iniziato a guidare solo quando mi sono trasferito a Los Angeles: i miei primi guadagni seri da attore, parliamo di 2.500 dollari, sono serviti per comprare una Honda Accord. Non era neanche per me, ma per mio fratello Kyle», ride. «Forse non la macchina più figa sul mercato, ma molto sicura per quel prezzo. Due anni dopo Kyle e sua moglie hanno avuto un incidente terribile, dal quale sono usciti indenni solo grazie alla stazza della vettura. Oggi ho tre figlie, ho bisogno di spazio e al tempo stesso voglio aiutare l’ambiente: così guido una Tesla Model X e continuo a pedalare sui sentieri poco battuti. E pazienza per le ossa rotte quando ero meno esperto: adesso mi accompagna Chris Hemsworth, che ho tirato dentro quando eravamo vicini di casa a Pacific Palisades. Un compagno di giochi molto più spericolat­o di me, forse perché non ci ha ancora sbattuto il muso».

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RAG & BONE, cintura JOHN VARVATOS, scarpe VINCE.
Nella pagina accanto, abito, camicia, cravatta e pochette TOM FORD Da sinistra a destra: Matt Damon, 49 anni, e Christian Bale (45). Sono i protagonis­ti del film
Le Mans ’66 - La grande sfida di James Mangold, nelle sale dal 14 novembre
Giacca, pantaloni e camicia RAG & BONE, cintura JOHN VARVATOS, scarpe VINCE. Nella pagina accanto, abito, camicia, cravatta e pochette TOM FORD Da sinistra a destra: Matt Damon, 49 anni, e Christian Bale (45). Sono i protagonis­ti del film Le Mans ’66 - La grande sfida di James Mangold, nelle sale dal 14 novembre
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GQITALIA.IT
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 ??  ?? Matt Damon indossa: giacca, camicia e pantaloni RAG & BONE , cintura JOHN VARVATOS, occhiali da sole BRIONI
Matt Damon indossa: giacca, camicia e pantaloni RAG & BONE , cintura JOHN VARVATOS, occhiali da sole BRIONI
 ??  ?? Da sinistra a destra: Matt Damon in giubbotto di denim J BRAND, felpa e jeans RAG & BONE , cintura e stivaletti JOHN VARVATO, occhiali da sole BRIONI; Christian Bale in giubbotto e T-shirt RAG & BONE , jeans LEVI’S , stivaletti FRYE. Nella pagina accanto, abito, camicia, cravatta e pochette TOM FORD
Styling: Annie Jagger e Jeanne Yang. Producer: Kristy Kessler. Grooming: Diana Schmidtke, Torsten Witte. Tailors: Mario Gonzales, Nino Laopaolo. Set Designer: Matt Davidson. Props Stylist: Susie Lynch
Da sinistra a destra: Matt Damon in giubbotto di denim J BRAND, felpa e jeans RAG & BONE , cintura e stivaletti JOHN VARVATO, occhiali da sole BRIONI; Christian Bale in giubbotto e T-shirt RAG & BONE , jeans LEVI’S , stivaletti FRYE. Nella pagina accanto, abito, camicia, cravatta e pochette TOM FORD Styling: Annie Jagger e Jeanne Yang. Producer: Kristy Kessler. Grooming: Diana Schmidtke, Torsten Witte. Tailors: Mario Gonzales, Nino Laopaolo. Set Designer: Matt Davidson. Props Stylist: Susie Lynch
 ??  ?? Matt Damon e Christian Bale hanno accettato di lavorare in Le Mans ’66 - La grande sfida per lo stesso motivo: il regista, James Mangold (Wolverine - L’immortale, 2013; Logan - The Wolverine, 2017)
Matt Damon e Christian Bale hanno accettato di lavorare in Le Mans ’66 - La grande sfida per lo stesso motivo: il regista, James Mangold (Wolverine - L’immortale, 2013; Logan - The Wolverine, 2017)

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