LE MANS, 1966: LA SFIDA DEL SECOLO
«Mi chiedo se convenga davvero spendere tanti milioni in pubblicità quando il signor Ferrari si vede citato gratuitamente, tutti i lunedì mattina, da tutti i giornalisti del mondo». La frase è di Henry Ford II, nipote di Henry, l’uomo che aveva fondato la Ford Motor Company nel 1903. È una frase emblematica per raccontare la storia di una doppia, formidabile ambizione, di un contrasto inevitabile, di una feroce battaglia motoristica lungo gli Anni 60, qualcosa che fece epoca. E che fa epoca ancora oggi.
Per comprendere ciò che accadde serve dare conto della scena. Sullo sfondo ci sono le automobili per tutti, sempre più lanciate dalle automobile per pochi. Corse come vetrina, come laboratorio tecnologico, come ingrediente chiave per alimentare la fantasia, il desiderio. Competizioni riservate ad auto dalle ruote coperte, dalle carrozzerie spregiudicate ma in qualche modo molto più vicine alla strada rispetto alle monoposto di Formula 1. Vetture Sport, Gran Turismo, Prototipi in gara nel Campionato Mondiale Marche, vale a dire un ciclo di corse destinato a premiare i costruttori. E competizioni di durate estenuanti, esaltanti, pericolose. Negli Stati Uniti a Daytona, a Sebring, ma soprattutto a Le Mans, Circuit de la Sarthe, dove dal 1923 si celebra uno straordinario rito agonistico: 24 ore filate tra azzardi e tragedie. Sangue, velocità e rumore per la vetrina più ambita del motorismo da affrontare con vetture guidate da coppie di piloti. Allora le immagini televisive erano scarne: ci si attaccava alla radio per capire, sapere. Sveglia all’alba con l’eccitazione e il timore di ricevere notizie sulla grande corsa, il cui esito dipendeva dalla capacità di sfuggire alle insidie tremende della notte. Oh, sì, un’epoca intera, indimenticabile, popolarissima. Morti ed eroi da immaginare e raccontare all’infinito.
Questo lo sfondo. Al quale vanno aggiunti alcuni dati statistici esaurienti, forniti dall’albo d’oro di Le Mans: 1960, Ferrari (piloti Gendebien e Frère); 1961, Ferrari (Gendebien e Phil Hill); 1962, Ferrari (Gendebien e Phil Hill); 1963, Ferrari (Scarfiotti e Bandini); 1964, Ferrari (Guichet e Vaccarella); 1965, Ferrari (Rindt e Gregory). Sono sei successi filati, un monopolio rosso. Un po’ troppo per Henry Ford II, che su quella corsa voleva mettere le mani dopo aver compreso quanto quella corsa valesse in termini di immagine, di mercato. Ipotesi percorribili: due. Costruire auto da corsa in grado di battere quel maledetto Cavallino oppure far proprio il Cavallino. Un’idea, quest’ultima, che prese il sopravvento grazie
alla spinta di Lee Iacocca, leggendario manager di origini italiane, un vero genio del marketing (ideatore tra l’altro della celebre campagna 56 for 56, che offriva le vetture del 1956 a rate di 56 dollari al mese).
La trattativa per un accordo con Enzo Ferrari scattò il 10 aprile1963: l’incontro decisivo data 20 maggio dello stesso anno. L’intesa prevedeva la costituzione di due società, la prima con lo scopo di realizzare vetture da corsa; la seconda di costruire automobili Gran Turismo destinate al mercato europeo. Un’intesa saltata in pochi minuti, come raccontò lo stesso Ferrari: «La mia sorpresa, direi la mia ira, esplose. Perché il presupposto fondamentale di tutta la trattativa era sempre stato… che io avrei dovuto essere assolutamente libero e indipendente nel mio settore: libero di stabilire programmi economicamente ampi, libero nella scelta dei mezzi e degli uomini». Enzo Ferrari, ecco. Disposto a collaborare sul piano industriale, ma non a chiedere il permesso quando si trattava di pensare alle auto da corsa. Guai.
Ford non poteva trovare un’alleanza con Maranello, non restava che tentare di batterlo in pista. La trattativa, d’altro canto, sarebbe servita come lezione alla Fiat che avrebbe trovato un’intesa con Ferrari sei anni più tardi, grazie alla sensibilità e all’abilità di Gianni Agnelli.
Per avviare un arrembaggio agonistico strepitoso, la Ford tentò inizialmente una collaborazione con il telaista inglese Lola per realizzare la prima vettura del progetto Ford GT40 (GT per Gran Turismo; 40 a indicare in pollici l’altezza della vettura al parabrezza, pari a un metro e due centimetri). Presentata a New York nel 1964, questa prima Ford non ottenne nulla di quanto sperato in corsa, i tre esemplari inviati a Le Mans collezionarono altrettanti ritiri per limiti aerodinamici e strutturali. Serviva altro, serviva un capo progetto più abile e affidabile. Serviva Carroll Shelby, classe 1923, vincitore proprio a Le Mans nel 1959 con una Aston Martin. Un malanno cardiaco l’aveva costretto a interrompere la brillante carriera di pilota, non a portare avanti i propri progetti come costruttore. La sua azienda, Shelby-american, aveva prodotto nel 1961 una Gran Turismo bellissima e vincente, la Cobra, motorizzata Ford, destinata a raccogliere una quantità di successi. Shelby era l’uomo giusto per dare concretezza alle aspirazioni di Mr. Ford. E lo fece con il supporto di un vecchio amico,
Ken Miles, nato in Inghilterra nel 1918, cresciuto negli Usa, pilota esperto e sensibile, con tanto di laurea in ingegneria, veloce ma molto affidabile nei collaudi. Shelby e Miles si occuparono della riprogettazione della Ford GT40, motorizzata con un otto cilindri a V di 4,7 litri. I risultati? Immediati: vittoria a Daytona nel 1965 con l’idea di proseguire lo sviluppo subito con l’adozione di un supermotore di 7 litri per oltre 480 cavalli.
Mk II: questa la denominazione della Ford GT40 destinata alla 24 Ore di Le Mans 1966, considerata dall’intero stato maggiore Ford come la scena madre dell’assalto alla ribalta motoristica internazionale. Vennero iscritte quindici GT40, seguendo il modello praticato proprio dalla Ferrari che era solita mandare in corsa sia macchine ufficiali, gestite direttamente dalla Casa; sia vetture affidate a scuderie indipendenti, per incrementare le probabilità di affermazione. Di queste Ford, sei esemplari furono preparati direttamente da Shelby, tre dei quali assistiti direttamente, guidati dalle coppie Miles-hulme, Mclaren-amon e Gurney-grant. La pattuglia Ferrari era comandata dalle 330 P3 assegnate a Surtees-scarfiotti, Bandini-guichet e Rodríford
guez-ginther. Non un momento felice per le rosse. Il lavoro di preparazione era stato rallentato da uno sciopero e il rapporto tra Ferrari e John Surtees (campione del mondo con la rossa nel 1964) saltò poche ore prima della corsa. Al suo posto venne chiamato Mike Parkes.
Partenza alle 16 del 18 luglio. L’immagine: una meraviglia che verrà cancellata alla fine del decennio per motivi di sicurezza. Tutte le auto schierate a lisca di pesce lungo il rettilineo, i piloti allineati sull’altro lato della pista, pronti a scattare correndo al segnale dello starter. Henry Ford II, presente con l’intero stato maggiore dell’azienda per assistere al proprio trionfo. Pioggia ovviamente, per dare un ulteriore tocco di tensione alla grande corsa. Una corsa che la Ford dominò letteralmente. Tre macchine ai primi tre posti dopo l’ultima sosta ai box, velocità di punta sul rettilineo di Mulsanne superiori ai 350 orari. Un kolossal più che un film. C’era Ken Miles al volante della GT40 in testa alla 24 Ore. Gli venne chiesto di attendere Bruce Mclaren, sulla Ford in seconda posizione, per un arrivo in volata. Miles accettò controvoglia. E la sua mossa si trasformò in un rimpianto perenne perché nel conteggio per la classifica finale, alla Ford di Mclaren e Amon venne assegnato il primo posto assoluto considerando – a parità di chilometri percorsi – la posizione arretrata sulla griglia di partenza. Terza un’altra Ford, quella di Bucknum-hutcherson. Prima Ferrari sul traguardo: la 275 di Courage-pike. In ottava posizione.
Fu quello l’inizio di un altro monopolio. Ford, questa volta. Alla vittoria del 1966 ne seguirono altre tre. L’ultima, leggendaria, ottenuta da Jacky Ickx in coppia con Jackie Oliver con la GT40 azzurra e arancio, i colori dello sponsor Gulf. Il destino fu ben più amaro con alcuni protagonisti di quella storica vittoria del 1966. Ken Miles non ebbe la sua rivincita, morì in prova a Riverside pochi mesi dopo, il 17 agosto; Bruce Mclaren sarebbe morto testando una vettura di sua realizzazione, a Goodwood, il 2 giugno1970. La Ferrari, da quel 1965, non ha più vinto a Le Mans.