TERRA DI CONQUISTA
Una settimana nell’artico russo, tra distese di ghiaccio e oligarchi dalle mire espansionistiche
’ L avventura è di tutto rispetto: una spedizione nell’artico russo – un tempo territorio di esploratori e pionieri e in futuro probabile meta del turismo di massa – in tre contesti diversissimi, a nord del 66° parallelo. Per una settimana, abbiamo viaggiato sulla nave mercantile Nadezhda attraverso ghiacci sempre più spessi, lungo la rotta del Mare del Nord, da Murmansk – sulla baia di Kola nella Russia europea – fino a Dudinka, un porto sull’estuario del fiume Enisej, in Siberia. Il viaggio, per un totale di 2.640 chilometri, è stato possibile grazie a Norilsk Nickel (Nornickel), il primo produttore a livello mondiale di palladio e di nichel raffinato.
La Russia ha intenzione di potenziare questa rotta lungo il litorale artico, che oggi rappresenta la via più breve tra Europa e Asia (oltre 14.500 chilometri): il presidente Vladimir Putin si troverebbe così a controllare un’autostrada marittima in grado di favorire lo sviluppo della Siberia, e sostituire la rotta di circa 23.000 chilometri attraverso il canale di Suez e l’oceano Indiano. Ma le difficoltà sono tantissime: qui gli interessi economici sono dispersi in vaste aree con scarse infrastrutture e una densità abitativa molto bassa, in un ambiente unico ma anche molto vulnerabile. Per sfruttare tutte le ricchezze che riaffiorano poco alla volta dai ghiacci a causa del riscaldamento globale occorrono ingenti investimenti, e ai litigiosi paesi costieri (Russia, Unione Europea, Canada, Danimarca e Norvegia) si sommano le ambizioni di nuovi pretendenti, tra cui la Cina. Le tensioni latenti alimentano anche il processo di militarizzazione di un’area che – in situazioni estreme – rappresenterebbe anche la traiettoria missilistica più breve tra gli Usa e la Russia. Per una settimana condividiamo dunque la vita con l’equipaggio della Nadezhda che, sotto la direzione del comandante Sergey Pozniakov, ci fa avanzare frantumando ampie distese di ghiaccio grazie a un potente sistema di eliche e al peso della nave stessa. Le temperature sono clementi, vale a dire tra lo zero ei -8 ° C di giorno.
L’elemento di maggior fascino è senza dubbio il ghiaccio: lo avvistiamo per la prima volta durante il terzo giorno di navigazione, prima come sottili lamine, poi come sagome simili a grossi dischi per poi diventare distese sconfinate, ammassi aggrappati alla costa, barriere e creste prodotte dallo scontro di queste distese solide. La risolutezza della Nadezhda ci fa arrivare senza problemi fino al mare di Kara. Lì i lastroni e i blocchi cominciano a sbattere con schiocchi secchi contro le fiancate dell’imbarcazione, che se non può avanzare di prora,procede di poppa dopo brusche virate per avere la meglio sulla resistenza della banchisa. La nave si apre un varco attraverso il ghiaccio alto un metro e mezzo, anche se a volte è costretta a fermarsi. Le foto sullo stato della rotta arrivano solo due volte al giorno e, in caso di tempo instabile, non sempre sono nitide. In simili frangenti il pilota cerca di orientarsi a occhio, mentre di notte deve ricorrere ai fanali di navigazione. Con l’oscurità il ghiaccio, con le sue insidiose densità e forme incredibili, ha tutta l’aria di un esercito in agguato in una vastità color ermellino.
Senza le rompighiaccio, la rotta del Mare del Nord sarebbe navigabile solo per un mese o due all’anno. Il tratto orientale della rotta
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è molto più insidioso rispetto a quello occidentale, perché il ghiaccio diventa più spesso e il clima sempre più estremo.
Sul territorio artico hanno sede le grandi imprese russe degli idrocarburi, come le compagnie statali Gazprom e Rosneft – che detengono il monopolio dello sfruttamento della piattaforma continentale – e compagnie private come la Lukoil e Novatek. Grazie alle licenze concesse da Mosca, i ricchi, moderni uomini d’affari gestiscono i propri latifondi di ghiaccio in un processo che interferisce con l’ambiente e con lo stile di vita tradizionale dei popoli indigeni.
Il mare, cristallino in superficie, non lascia intuire le preoccupazioni degli esperti. Nell’artico russo vengono infatti riversate centinaia di migliaia di tonnellate di prodotti petroliferi, e la concentrazione di sostanze inquinanti in alcune zone dei mari di Barents, Bianco e Kara (ma anche nel mare di Laptev) risulta doppia e persino tripla rispetto ai livelli consentiti. Almeno così sostiene Boris Ivchenko, capo del laboratorio russo responsabile della strategia di sviluppo e sicurezza della zona artica. Di recente lo scienziato ha affermato anche che lungo le coste artiche si trovano fino a quattro milioni di tonnellate di rifiuti industriali e tra le quattro e le dodici tonnellate di rottami in ferro. Le sue stime parlano di un livello critico di contaminazione sul 15% del territorio artico russo. Poi c’è la contaminazione radioattiva, eredità dei reattori nucleari sovietici affondati nel mare di Kara e in quello di Barents, senza dimenticare tutti gli esperimenti atomici sovietici avvenuti nell’arcipelago di Novaja Zemlja. La Russia ha utilizzato finanziamenti internazionali per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi e si è impegnata nella raccolta e smaltimento dei rottami di ferro. Nonostante questo, si continua a pescare, navigare e cercare petrolio in zone artiche dove sono tuttora presenti scorie nucleari.
Nel 2014 Putin ha ordinato la creazione di un comando strategico unico per l’artico, il cui ambito di controllo si estende fino al Polo Nord. E ora ha in programma nuove navi da guerra, sottomarini di ultima generazione, aeroporti, missili balistici, voli transatlantici... L’obiettivo è «garantire lo sviluppo socio economico della Russia nella zona artica», che a detta dell’ammiraglio Vladimir Korolev, capo della Marina Militare russa, garantisce al Paese l’11% delle entrate e il 22% delle esportazioni.
Il Cremlino mira al trasporto di 80 milioni di tonnellate di materiali attraverso la rotta del Mare del Nord per il 2024. E prevede anche di utilizzare centrali nucleari galleggianti per il rifornimento energetico dei nuovi impianti di sfruttamento isolati, in modo da garantir