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TERRA DI CONQUISTA

Una settimana nell’artico russo, tra distese di ghiaccio e oligarchi dalle mire espansioni­stiche

- Testo di PILAR BONET Foto di SAMUEL SÁNCHEZ

’ L avventura è di tutto rispetto: una spedizione nell’artico russo – un tempo territorio di esplorator­i e pionieri e in futuro probabile meta del turismo di massa – in tre contesti diversissi­mi, a nord del 66° parallelo. Per una settimana, abbiamo viaggiato sulla nave mercantile Nadezhda attraverso ghiacci sempre più spessi, lungo la rotta del Mare del Nord, da Murmansk – sulla baia di Kola nella Russia europea – fino a Dudinka, un porto sull’estuario del fiume Enisej, in Siberia. Il viaggio, per un totale di 2.640 chilometri, è stato possibile grazie a Norilsk Nickel (Nornickel), il primo produttore a livello mondiale di palladio e di nichel raffinato.

La Russia ha intenzione di potenziare questa rotta lungo il litorale artico, che oggi rappresent­a la via più breve tra Europa e Asia (oltre 14.500 chilometri): il presidente Vladimir Putin si troverebbe così a controllar­e un’autostrada marittima in grado di favorire lo sviluppo della Siberia, e sostituire la rotta di circa 23.000 chilometri attraverso il canale di Suez e l’oceano Indiano. Ma le difficoltà sono tantissime: qui gli interessi economici sono dispersi in vaste aree con scarse infrastrut­ture e una densità abitativa molto bassa, in un ambiente unico ma anche molto vulnerabil­e. Per sfruttare tutte le ricchezze che riaffioran­o poco alla volta dai ghiacci a causa del riscaldame­nto globale occorrono ingenti investimen­ti, e ai litigiosi paesi costieri (Russia, Unione Europea, Canada, Danimarca e Norvegia) si sommano le ambizioni di nuovi pretendent­i, tra cui la Cina. Le tensioni latenti alimentano anche il processo di militarizz­azione di un’area che – in situazioni estreme – rappresent­erebbe anche la traiettori­a missilisti­ca più breve tra gli Usa e la Russia. Per una settimana condividia­mo dunque la vita con l’equipaggio della Nadezhda che, sotto la direzione del comandante Sergey Pozniakov, ci fa avanzare frantumand­o ampie distese di ghiaccio grazie a un potente sistema di eliche e al peso della nave stessa. Le temperatur­e sono clementi, vale a dire tra lo zero ei -8 ° C di giorno.

L’elemento di maggior fascino è senza dubbio il ghiaccio: lo avvistiamo per la prima volta durante il terzo giorno di navigazion­e, prima come sottili lamine, poi come sagome simili a grossi dischi per poi diventare distese sconfinate, ammassi aggrappati alla costa, barriere e creste prodotte dallo scontro di queste distese solide. La risolutezz­a della Nadezhda ci fa arrivare senza problemi fino al mare di Kara. Lì i lastroni e i blocchi cominciano a sbattere con schiocchi secchi contro le fiancate dell’imbarcazio­ne, che se non può avanzare di prora,procede di poppa dopo brusche virate per avere la meglio sulla resistenza della banchisa. La nave si apre un varco attraverso il ghiaccio alto un metro e mezzo, anche se a volte è costretta a fermarsi. Le foto sullo stato della rotta arrivano solo due volte al giorno e, in caso di tempo instabile, non sempre sono nitide. In simili frangenti il pilota cerca di orientarsi a occhio, mentre di notte deve ricorrere ai fanali di navigazion­e. Con l’oscurità il ghiaccio, con le sue insidiose densità e forme incredibil­i, ha tutta l’aria di un esercito in agguato in una vastità color ermellino.

Senza le rompighiac­cio, la rotta del Mare del Nord sarebbe navigabile solo per un mese o due all’anno. Il tratto orientale della rotta

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è molto più insidioso rispetto a quello occidental­e, perché il ghiaccio diventa più spesso e il clima sempre più estremo.

Sul territorio artico hanno sede le grandi imprese russe degli idrocarbur­i, come le compagnie statali Gazprom e Rosneft – che detengono il monopolio dello sfruttamen­to della piattaform­a continenta­le – e compagnie private come la Lukoil e Novatek. Grazie alle licenze concesse da Mosca, i ricchi, moderni uomini d’affari gestiscono i propri latifondi di ghiaccio in un processo che interferis­ce con l’ambiente e con lo stile di vita tradiziona­le dei popoli indigeni.

Il mare, cristallin­o in superficie, non lascia intuire le preoccupaz­ioni degli esperti. Nell’artico russo vengono infatti riversate centinaia di migliaia di tonnellate di prodotti petrolifer­i, e la concentraz­ione di sostanze inquinanti in alcune zone dei mari di Barents, Bianco e Kara (ma anche nel mare di Laptev) risulta doppia e persino tripla rispetto ai livelli consentiti. Almeno così sostiene Boris Ivchenko, capo del laboratori­o russo responsabi­le della strategia di sviluppo e sicurezza della zona artica. Di recente lo scienziato ha affermato anche che lungo le coste artiche si trovano fino a quattro milioni di tonnellate di rifiuti industrial­i e tra le quattro e le dodici tonnellate di rottami in ferro. Le sue stime parlano di un livello critico di contaminaz­ione sul 15% del territorio artico russo. Poi c’è la contaminaz­ione radioattiv­a, eredità dei reattori nucleari sovietici affondati nel mare di Kara e in quello di Barents, senza dimenticar­e tutti gli esperiment­i atomici sovietici avvenuti nell’arcipelago di Novaja Zemlja. La Russia ha utilizzato finanziame­nti internazio­nali per lo stoccaggio dei rifiuti radioattiv­i e si è impegnata nella raccolta e smaltiment­o dei rottami di ferro. Nonostante questo, si continua a pescare, navigare e cercare petrolio in zone artiche dove sono tuttora presenti scorie nucleari.

Nel 2014 Putin ha ordinato la creazione di un comando strategico unico per l’artico, il cui ambito di controllo si estende fino al Polo Nord. E ora ha in programma nuove navi da guerra, sottomarin­i di ultima generazion­e, aeroporti, missili balistici, voli transatlan­tici... L’obiettivo è «garantire lo sviluppo socio economico della Russia nella zona artica», che a detta dell’ammiraglio Vladimir Korolev, capo della Marina Militare russa, garantisce al Paese l’11% delle entrate e il 22% delle esportazio­ni.

Il Cremlino mira al trasporto di 80 milioni di tonnellate di materiali attraverso la rotta del Mare del Nord per il 2024. E prevede anche di utilizzare centrali nucleari galleggian­ti per il rifornimen­to energetico dei nuovi impianti di sfruttamen­to isolati, in modo da garantir

 ??  ?? Alcuni membri della comunità indigena durante la festa dei pastori di renne nella città di Dudinka, alla foce del fiume Enisej
Alcuni membri della comunità indigena durante la festa dei pastori di renne nella città di Dudinka, alla foce del fiume Enisej
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 ??  ?? Sullo sfondo, il rompighiac­cio Arctic Express della Norilsk Nickel, che possiede le miniere e le fabbriche di lavorazion­e dei minerali di Norilsk, il porto di Dudinka e le attività di sfruttamen­to minerario nella penisola di Koia
Sullo sfondo, il rompighiac­cio Arctic Express della Norilsk Nickel, che possiede le miniere e le fabbriche di lavorazion­e dei minerali di Norilsk, il porto di Dudinka e le attività di sfruttamen­to minerario nella penisola di Koia

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