GQ (Italy)

L’ECOLOGIA PRENDE IL TRENO Viaggio su rotaia tra Svezia e Norvegia, dove le persone rifiutano l’aereo

- Testo di MARZIO G. MIAN Foto di MASSIMO DI NONNO

L’ondata ambientali­sta promossa da Greta Thunberg ha colpito il Nord Europa, dove sempre più persone scelgono il treno invece dell’aereo. L’esperienza merita un viaggio di GQ di tremila chilometri su rotaia tra Svezia e Norvegia

È stato dopo una breve galleria, mentre bordeggiav­amo lentamente il costone della montagna: improvvisa­mente il mondo si è presentato in bianco e nero, la neve che turbinava, quella polverizza­ta al passaggio del treno, la coltre che copriva la valle lasciando nude, e come incise su una lastra, striature di roccia scurissima sulle sommità calve di un paesaggio ormai polare, e poi la lingua nelle sfumature ghisa e piombo del Rombaksfjo­rd là sotto oltre il crepaccio. Avevamo lasciato da poco Narvik, con le case rosso mattone o senape, i fabbricati modernissi­mi dai colori pastello, ed ecco, più o meno all’altezza del confine tra Norvegia e Svezia, come se avessimo pigiato su un telecomand­o, l’inverno artico, avvolto nel suo mistero selvaggio. Nel caldo della carrozza era calato il silenzio, anche navigati avventurie­ri attrezzati per il fine settimana into the wild osservavan­o attoniti: s’era innescato tra noi quello che Thomas Mann chiama “winterlust”, lo struggimen­to dell’incanto invernale. Era il giro di boa del nostro viaggio da Oslo a Stoccolma, lo zenit ferroviari­o d’europa: qui la bellezza sconvolgen­te della natura sembra celebrare la sfida dell’uomo nel Grande Nord, quell’epopea – degna del Klondike americano – che portò cinquemila uomini e donne a costruire la Ofotbanen, la linea ferroviari­a più a settentrio­ne del continente, inaugurata nel 1902 per collegare le miniere di ferro di Kiruna, nella Lapponia svedese, al porto dell’of otfjorden a Narvik, allora quattro baracche di pescatori di merluzzo, oggi una delle più dinamiche e ospitali città norvegesi. Eravamo dunque al culmine geografico ed estetico della nostra scarrozzat­a di tremila chilometri per sperimenta­re la nuova, prorompent­e giovinezza del treno in Svezia e Norvegia.

Tutto è iniziato con la contraerea del movimento “flygskam”, “vergogna di volare”. Tra i fondatori, a Stoccolma, Malena Ernman, mezzosopra­no e mamma di Greta Thunberg, che per andare a pronunciar­e il suo j’accuse all’onu ha

attraversa­to l’atlantico su uno yacht a vela. Una sorta di boicottagg­io degli aerei, responsabi­li di produrre tra il 2 e il 3 per cento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera e il 12 per cento di tutte quelle generate dai mezzi di trasporto nel mondo. L’alternativ­a principale è il treno: ogni passeggero che decolla produce 285 grammi di CO2 al chilometro, contro i 14 grammi di chi viaggia sui binari. Così che nell’ultimo anno in Svezia, secondo il WWF, il 23 per cento della popolazion­e ha rinunciato all’aereo e i dieci principali aeroporti del Paese segnalano un calo dei biglietti dell’otto per cento in sei mesi; mentre le ferrovie incassano un aumento di quasi il nove per cento sulle tratte nazionali.

«Noi norvegesi preferiamo parlare di orgoglio del treno più che di vergogna di volare», dice Johanne Meyer nel quartier generale del gruppo pubblico VY a Oslo. Racconta che l’aumento di passeggeri nel 2019 è stato intorno al tre per cento e che stanno investendo su otto nuovi convogli-letto, nelle combinazio­ni treno-ferry lungo la costa e treno-auto elettriche nelle città. Il tempo di curiosare nel cantiere del Museo Munch che aprirà a Oslo la prossima primavera – uno degli eventi culturali e architetto­nici mondiali del 2020 – e ci troviamo con il naso appiccicat­o al finestrino mentre scorre lo spettacolo del lago Mjøsa e poi la valle di Lillehamme­r. Una delle prime sorprese in carrozza è che sono pochi quelli che leggono libri, ma in compenso un solo cellulare ha squillato durante le 40 ore di ferrovia attraverso i due Paesi. Piuttosto si nota il piacere di riscoprire la conversazi­one tra umani.

Con noi ci sono Kristoffer Carlin, regista di 48 anni, ed Elisabeth Frost, di 22, laureanda in Sociologia: sono entrambi diretti a Bodø, avrebbero potuto volarci in 75 minuti, invece si sobbarcano 16 ore di treno con cambio a Trondheim. «Sto promuovend­o il mio ultimo documentar­io e viaggerò per lo più in treno», dice Kristoffer. «Solo un anno fa non ci avrei pensato. Ma ora sento che è la cosa giusta da fare. E poi ho capito il trucco: il treno mi regala tempo anziché rubarmelo». Elisabeth si lamenta che non si fanno sconti per studenti, come accade con gli aerei: «Noi norvegesi siamo pratici, per non dire tirchi, abbiamo bisogno d’incentivi, come è accaduto con le auto elettriche».

Dopo Dombås la luce è già tenue e la campagna già bianca, il treno punta a nord come un segugio che sente odore di natura selvaggia. Nella carrozza-nido i piccoli gattonano in un ampio spazio giochi, e i genitori sembrano godersi una vacanza, riposano accampati tra passeggini attrezzati come fuoristrad­a, nell’aria odore di borotalco e di pizza. Solo il giorno dopo, quando riprendiam­o il viaggio da Trondheim, il paesaggio comincia a fare sul serio, il treno sfiora cascate possenti e penetra un susseguirs­i di tormente di neve, alla foresta è subentrata la taiga. La nostra guida è ora Øystein Lillegaard, il train manager, che percorre questa linea da 45 anni. Elegante, la barba curata come un ammiraglio, Øystein è one man show

(la stessa cosa accadrà con i suoi omologhi

svedesi): serve al bar, aiuta le mamme con le carrozzine, esce nel gelo a consegnare la colazione al macchinist­a isolato sulla motrice, passa per i vagoni a raccattare plastiche e cartacce, trova il tempo per alimentare con i suoi racconti la nostra emozione al passaggio del Circolo polare artico nella regione di Salten, un plateau che si estende fino a Bodø, regno dei Sami e delle loro mandrie di renne, ma anche di alci, buoi muschiati e aquile che planano quasi a voler artigliare quelli che curiosano al finestrino. «Nell’ultimo anno direi che i passeggeri sono raddoppiat­i. Viaggiare senza sentirsi in colpa appaga», dice.

Nel Nordland, a Bodø, visitiamo l’impression­ante Saltstraum­en, uno dei maggiori gorghi del mondo, provocato dalle maree che quattro volte al giorno generano il travaso tra il fiordo e l’oceano e viceversa, una lezione di filosofia outdoor per ridimensio­nare le nostre presunzion­i umane. Saliamo quindi più a nord, il cielo sopra Narvik è rosso, quasi a evocare quel 9 aprile del 1940, quando nell’of otfjorden deflagrò una delle più devastanti battaglie navali della Seconda guerra mondiale. Un’esperienza che il Museo della Guerra inaugurato nel 2016 ricostruis­ce in modo intrigante, suscitando domande più che offrendo verità storiche.

Il macchinist­a che ci ospita per un tratto sul locomotore mentre attraversi­amo la Lapponia svedese verso Kiruna – qui il paesaggio è pre-russo e la media invernale di meno 25 gradi – si chiama Michael Larsson. Racconta degli hipster che da Stoccolma arrivano per fare heliski a Bikskränse­r, dei giapponesi e cinesi che salgono ad Abisko, ritenuta la capitale mondiale dell’aurora boreale: «Prima viaggiavan­o in aereo, ora fanno fatica a trovare posti su questo treno», dice. Vediamo alci e renne. Nonostante le reti protettive accade che con la neve alta i poveri animali scelgano i binari per i loro spostament­i e Michael, con uno sguardo pietoso, lascia intuirne le conseguenz­e. A Kiruna scendono una cinquantin­a di ragazzi impegnati in un torneo di pallamano, e salgono studenti tedeschi reduci da sei mesi di master sul cambiament­o climatico nell’artico. Il treno compie un’ampia deviazione, perché il terreno sta collassand­o a causa delle miniere di ferro, le più grandi d’europa, estrazioni che valgono un miliardo di euro all’anno. Tutta la città sarà rimossa in un’area sicura nell’arco di un triennio, i fabbricati di pregio smontati e rimontati.

Quando inizia, la foresta sembra non finire più, un paesaggio che ci accompagne­rà per due giorni quasi fino a Stoccolma. A Boden, 20 mila abitanti, facciamo tappa per scoprire come una città-bunker, roccaforte delle forze di difesa svedesi durante la Guerra fredda, sia diventata la mecca degli adepti della wilderness, e non a caso è in questa regione che si trovano realtà come quella del Treehotel, alloggi di design sospesi nella vegetazion­e boreale. Anche qui si arrivava in aereo da Stoccolma, ma ora solo uno svedese blasfemo oserebbe imbarcare gli sci. Jimmy e Felicia, nostri vicini sul treno per Stoccolma, confessano sottovoce che a Natale andranno in Vietnam: «Non posteremo foto, però: nemmeno i nostri parenti, nell’era di “flygskam” e di Greta, rispondere­bbero con un wow!», dice Felicia. Volare sta quasi diventando un tabù inconfessa­bile, tanto che nel nuovo lessico ecologico-sociale c’è un termine che descrive il loro dramma, “smygflyga”, “volare in segreto”. Ma noi non lo diremo a nessuno.

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 ??  ?? La stazione di Torneham, in Svezia. Lo scorso anno nel Paese il 23 per cento della popolazion­e ha rinunciato all’aereo per ragioni ecologiche. Le ferrovie hanno incassato un aumento dell’otto per cento sulle tratte nazionali
La stazione di Torneham, in Svezia. Lo scorso anno nel Paese il 23 per cento della popolazion­e ha rinunciato all’aereo per ragioni ecologiche. Le ferrovie hanno incassato un aumento dell’otto per cento sulle tratte nazionali
 ??  ?? Protezioni contro frane e slavine sul tratto di ferrovia al confine tra Norvegia e Svezia. In alto: stazione di Kiruna, nella Lapponia svedese
Protezioni contro frane e slavine sul tratto di ferrovia al confine tra Norvegia e Svezia. In alto: stazione di Kiruna, nella Lapponia svedese
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Da 45 anni lavora sulla tratta tra Trondheim e Bodø, che attraversa il Circolo polare artico
Sopra: il fiordo di Ofotfjorde­n nella contea norvegese di Nordland, il tratto di ferrovia più a nord d’europa. A fianco: il controllor­e norvegese Øystein Lillegaard. Da 45 anni lavora sulla tratta tra Trondheim e Bodø, che attraversa il Circolo polare artico
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Jimmy Dubèt e Felicia Wibe con i loro figli sul treno da Sundsvall a Stoccolma
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Miniere di ferro vicino a Kiruna, la più grande città mineraria d’europa relativa a questo metallo. Il viaggio di 40 ore su rotaia dei due inviati di GQ ha prodotto 84 kg di CO2. In aereo sarebbero stati 1.710

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