SIGNORI MASCHI, ORA TOCCA A VOI
La mascolinità è in crisi? Nell’ultimo decennio se lo sono chiesti a più riprese i media, il cinema, la moda, le donne. La domanda però è mal posta, perché costringe a una risposta binaria che non rispetta la complessità del reale. E degli uomini. A essere in crisi, infatti, non è la mascolinità tout court, ma un certo tipo di immaginario egemonico, stereotipato, codificato nella nostra cultura e persino nella politica, nella struttura della società e dei rapporti: l’idea statica di un maschio, per lo più bianco e della classe media, ovviamente eterosessuale, erede contemporaneo del cowboy e portatore della sua presunta virilità. Questa figura è figlia di una narrazione inventata, che non è (mai stata) specchio della realtà. Eppure facciamo fatica a liberarcene: in tempi tumultuosi, caratterizzati dalla precarietà e dal costante cambiamento, aggrapparsi a un ideale ereditato dai secoli scorsi dà l’illusione di poter recuperare stabilità. È un errore, naturalmente, e persino i maschi hanno dovuto imparare − e stanno ancora faticosamente imparando − a emanciparsi da quell’immaginario egemonico. Un immaginario tossico, che li misura sulla base di performance e prestazioni in campi predeterminati: lo sport, la carriera, la durata a letto. Come se non ci fossero altri tipi di successo. E come se la mascolinità fosse un blocco unico, invece di una pluralità di cose. Come se − infine − in ogni persona non ci fossero molte identità, a volte contraddittorie, e sempre complesse.
Ho iniziato a pensare a questi temi circa tre anni fa, quando mi sono messa al lavoro sulla mostra Masculinities:
Liberation through Photography, di cui sono curatrice, che inaugurerà a febbraio alla Barbican Art Gallery di Londra. La mostra attraversa l’idea della mascolinità dagli Anni 60 a oggi, toccando aspetti diversi: dalla marginalizzazione di coloro che non rientrano nell’immaginario comune al patriarcato, passando per le relazioni di potere che deterALONA PARDO Laureata alla Goldsmith University e curatrice alla Barbican Art Gallery di Londra, per la quale ha seguito la mostra Masculinities: Liberation through Photography (dal 20/2), è co-autrice di diversi libri, tra cui Another Kind of Life: Photography on the Margins e Dorothea Lange: Politics of Seeing
mina; dalla famiglia, con un’analisi della figura paterna, alle donne e alle strategie che hanno dovuto mettere in campo per difendersi dagli stereotipi. Lavorando a lungo su questo progetto mi è apparso sempre più chiaro che ci sono molti modi di abitare la mascolinità, contrapposti al tentativo di costruire e codificare una sola ideologia. La questione del genere non può essere affrontata con una dualità radicale, ma dovrebbe essere invece rappresentata con un continuum, uno spettro di opportunità: deve essere inclusiva e abbracciare le diversità. Curiosamente, pur essendo stati la parte “forte” della società, persino gli uomini hanno fatto le spese di questa dualità: molti non hanno potuto esplorare un percorso di libertà, e anche quelli che si riconoscono nello stereotipo della mascolinità hanno subito inconsapevolmente limitazioni. Ognuno di loro, infatti, è stato storicamente giudicato e misurato sulla propria capacità di rispettare le aspettative associate all’immaginario egemonico, contribuendo involontariamente a rafforzare una costruzione sociale che è pericolosa per la società stessa.
Non è un caso se in questa epoca di grandi cambiamenti, e di altrettanto grande instabilità socio-politica, proprio dalla politica arrivino tentativi di riproporre e rafforzare l’idea della mascolinità statica e immutabile, sceneggiando in ogni occasione la propria forza, il valore di un certo machismo. Pensiamo alle immagini di Vladimir Putin che cavalca a petto nudo, all’esposizione costante del corpo di Matteo Salvini, a Boris Johnson e alle sue boutade. Gli artisti, a partire da molti di coloro che esponiamo in mostra al Barbican, hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nello smontare questa sceneggiata. Hanno illuminato realtà, idee ed esperienze che dimostrano come l’idea del genere sia una costruzione fittizia. Hanno consentito a noi tutti di scoprire cose che non conoscevamo, e sono stati fondamentali per provare a smontare un sistema di valori che toglieva diritti a molti. Il loro contributo è andato di pari passo a quello della carta stampata e dei magazine, che spesso vengono accusati di mostrare un solo modello. In realtà, grazie alle immagini circolate negli anni, a partire da quelle della comunità queer e dei riot di Stonewall, nel 1969, tante riviste hanno contribuito a renderci molto più partecipi, rispettosi e riconoscenti delle differenze all’interno della società. Intorno alla mascolinità si sono combattute molte importanti battaglie politiche, ma molte ancora restano da combattere. E da vincere. (testimonianza raccolta da Gea Scancarello)
NON È UN CASO SE IN QUESTA EPOCA DI GRANDI CAMBIAMENTI DALLA POLITICA ARRIVI IL TENTATIVO DI RIPROPORRE L’IDEA DI UNA MASCOLINITÀ STATICA