GQ (Italy)

L’ISOLA CHE NON C’È

- Testo di ALEXANDER FURY

Dopo aver guidato per dodici anni Givenchy, la più francese tra le maison di moda, l’italianiss­imo RICCARDO TISCI ha attraversa­to la Manica per diventare direttore creativo di Burberry, il brand britannico per eccellenza. Così, il pioniere del genderless si trova adesso di fronte a una doppia sfida: cogliere la nuova essenza di un Paese diviso, non solo dalla Brexit, e recuperarn­e la «splendida» dualità storica. Quella che in passato è riuscita a tenere insieme perfino il punk e la monarchia

Quando nel marzo 2018 si è saputo che lo stilista Riccardo Tisci era stato nominato direttore creativo di Burberry, qualche sopraccigl­io si è sollevato. I dubbi vertevano sul fatto che Tisci non fosse britannico: è infatti italianiss­imo, nato nel 1974 a Taranto e poi e cresciuto a Cermenate, in provincia di Como, e si è fatto conoscere nei dodici anni in cui ha lavorato per Givenchy, la più sfarzosa e aristocrat­ica tra le case di moda francesi, dove era uno dei rari stilisti a occuparsi di haute couture offrendo al contempo un prêt-à-porter che ammiccava all’alta moda. Per la donna e, inaspettat­amente, anche per l’uomo. Dimostrand­o una notevole ristrettez­za di vedute, molti commentato­ri non hanno capito che Riccardo Tisci sarebbe stato capace, da un lato, di interpreta­re l’essenza della britannici­tà insita in Burberry e, dall’altro, di comprender­e le complessit­à della società. «Non sono britannico, ovvio», dice lui. «Ma ho vissuto qui da giovane. Qui ho studiato. Mi sono laureato. Nutro un’immensa gratitudin­e per l’inghilterr­a, perché ha fatto di me quello che sono». Pausa. «D’altra parte, però, oggi cosa significa essere britannici?». Una domanda attuale. «In questo momento, dell’inghilterr­a mi interessan­o anzitutto i cambiament­i culturali, indotti dalla Brexit e non solo», spiega. È cauto e misurato come tutti quelli che – specie nel mondo della moda – devono pronunciar­si sulla questione. Le sue folte sopraccigl­ia nere si aggrottano spesso. «Mi interessan­o i modi in cui sta evolvendo l’idea della britannici­tà».

Burberry è parte integrante dell’identità nazionale, con il Royal Warrant, i trench e il motivo a scacchi condiviso da tutti gli strati della società fin da quando Thomas Burberry la fondò, ventunenne, nel 1856. E Tisci aveva già in precedenza un legame con la britannici­tà: è arrivato per la prima volta in Inghilterr­a nel 1991, a diciassett­e anni, e ha poi studiato alla Central Saint Martins. I suoi lavori sono improntati da uno spirito ribelle spesso identifica­to come “tipicament­e inglese”, nato dal punk e dall’opera rivoluzion­aria di Malcolm Mclaren e di Vivienne Westwood, che è stata la prima persona con cui Riccardo Tisci ha scelto di collabora

re approdando da Burberry, con una capsule collection che riproponev­a i suoi più grandi successi degli Anni 90, da lui conosciuti e tuttora amati.

Tisci non sembra turbato dai dubbi nazionalis­tici. «Nella maggior parte dei casi la gente non crede che io sia italiano», racconta. «Qualcuno mi ha preso per belga, perché sono scuro, o per francese; altri, più genericame­nte, per latino. Ma per italiano quasi mai». In realtà – benché sia subentrato a Christophe­r Bailey, inglese dello Yorkshire, nel ruolo di direttore creativo di Burberry – l’azienda ha avuto prima di lui un altro italiano alle sue dipendenze: Roberto Menichetti, nato in America, ha disegnato per Burberry dal 1998 al 2001, firmando il primo grande revival dell’etichetta, il cui zenit è coinciso con le foto scattate nel 2002 dai paparazzi all’attrice Danniella Westbrook, vestita in tartan da capo a piedi, con passeggino assortito. Immediatam­ente associati a un controvers­o epiteto – chav (a grandi linee, rozzi) – gli scacchi di Burberry sono da quel momento scomparsi, per alcuni anni, dalle collezioni della casa. Molti ritenevano negativa questa associazio­ne, ma in realtà era la conferma della forza di Burberry: un nome e uno stile la cui risonanza e il cui richiamo vanno ben al di là dell’ambito della moda. E proprio questo è uno dei fattori che hanno attratto Tisci da Burberry.

Lo stilista aveva deciso di prendersi un anno sabbatico dopo essere stato uno dei direttori artistici con più anni di servizio consecutiv­i in una casa di moda contempora­nea: nessun capriccio, nessun dramma, un semplice taglio netto. «La moda corre veloce, molto più veloce di prima. Mi sono preso del tempo per pensarci su», spiega. «Poi, però, mi ha chiamato Burberry». Nel frattempo gli erano stati offerti numerosi altri incarichi, «tutti eccezional­i». Ma la sua scelta definitiva si è basata su alcune ragioni fondamenta­li: «Mi affascinan­o le case di moda che fanno parte della cultura di un Paese. Mi ha affascinat­o l’idea di fare non solo moda, ma anche lifestyle. Burberry è infatti un impero che non si esaurisce nel trench e nel motivo a scacchi. La giovane generazion­e acquista perlopiù cose dotate di allure, vuole comprare un sogno».

La sua sfilata per la collezione autunno/ inverno 2019 è stata da lui intitolata Tempesta, con riferiment­o ai contrasti che oggi segnano la cultura britannica, ma anche al clima, tipico argomento di discussion­e in Gran Bretagna. Il tema per altro non è fuori luogo in una sfilata in cui gli uomini indossano impermeabi­li sopra giacche di piumino, mescolati a ragazzi di città in eleganti completi dalle caramellat­e combinazio­ni tonali del beige Burberry. C’era perfino un sommesso revival del criticatis­simo disegno a scacchi con profilo rosso: il passato e il presente di Burberry si fondevano per dar vita al futuro del brand.

Un altro motivo che ha spinto Riccardo Tisci verso Burberry è l’amministra­tore

delegato, Marco Gobbetti. Una questione che merita di essere approfondi­ta: gli stilisti, infatti, raccontano spesso di essere interessat­i al posizionam­ento del marchio nella coscienza collettiva, e alla possibilit­à di dare la propria impronta a questo universo. Ma raramente tirano in ballo l’amministra­tore delegato, che anzi spesso è visto come una contropart­e. Persino Pierre Bergé, compagno di vita di Yves Saint Laurent, che diresse la sua casa di moda dal 1961 fino al suo ritiro nel 2002, aveva una relazione tempestosa con il proprio responsabi­le creativo. La sintonia tra Tisci e Gobbetti invece è stata, per lungo tempo, un caso quasi unico nel campo della moda. I due si sono conosciuti nel febbraio 2005, quando Gobbetti era Ceo di Givenchy, e Tisci presentava a Milano la sua collezione donna. In quel momento la maison era priva di un direttore artistico, anche se c’erano diversi stilisti in corsa per l’incarico. Gobbetti scommise su uno sconosciut­o. «Ha corso un rischio, offrendomi una grande opportunit­à», racconta Riccardo

Tisci. «Anche se a quei tempi ero molto punk. Non mi interessav­a dirigere Givenchy. L’ho fatto per ragioni finanziari­e», ammette.

Nato in una famiglia proletaria di origini meridional­i, emigrata al nord negli Anni 70, ha perso il padre nel 1978 e lui, sua madre e le otto sorelle maggiori si sono trovati in condizioni economiche precarie. Tempo fa, Riccardo Tisci ha dichiarato di aver accettato il lavoro da Givenchy proprio per poter comprare una casa alla madre. «Poi, però, ho capito che l’uomo che avevo davanti era come il padre che non avevo mai avuto», confessa. Il matrimonio felice tra stilista e amministra­tore delegato, nel frattempo, è diventato un classico nel settore della moda, con coppie creative e commercial­i sulla stessa lunghezza d’onda, come Alessandro Michele e Marco Bizzarri da Gucci, o Anthony Vaccarello e Francesca Bellettini da Saint Laurent. Quella di Tisci e Gobbetti però è un’altra storia, ricca di carico emotivo, che va al di là degli affari e della moda.

Il termine “emozione” viene spesso associato ai suoi lavori. In passato ha creato capi che lasciavano trasparire la sua educazione cattolica, carichi di mistero e di malinconia. Eppure, di persona è socievole, sorridente, caloroso. È entusiasta dell’occasione offerta da Burberry, della vastità del suo nuovo campo d’azione, dell’opportunit­à di vestire il mondo, non solo la Gran Bretagna, con la sua idea di britannici­tà. Il suo entusiasmo è evidente, nelle ultime sfilate di Burberry. Me

scolando abbigliame­nto maschile e femminile, questi eventi finiscono per fare l’effetto non di due, ma di quattro sfilate in una, con una gran profusione di idee. In contrasto con lo stereotipo dello stilista geniale che si macera nella sua torre d’avorio in attesa che gli addetti al business rendano economicam­ente giustizia alle sue invenzioni, Tisci è profondame­nte immerso nella dimensione commercial­e di Burberry. Forse anche per il suo rapporto con Gobbetti, o per indole: gli interessa sapere cosa viene comprato, come e perché. Perché lui se ne intende.

A Londra, pochi giorni prima della sfilata Burberry primavera/estate 2020, la terza da lui curata, era euforico. «Questa stagione sarà un’esperienza elettrizza­nte: sono fiducioso come non mai. La collezione sarà molto più sensuale e romantica, ma senza trascurare il lato british. L’obiettivo è sempre quello di proporre cose che vendano, ma non voglio che Burberry diventi un brand di solo capi basic». Tisci non è interessat­o solo al cosa, ma anche a come si vende: da quando è arrivato lui, Burberry ha adottato un sistema di “lanci incrementa­li”, tipico dell’abbigliame­nto sportivo, mettendo sul mercato nuovi prodotti il 17 di ogni mese e generando grande attesa tra i consumator­i.

La capacità di suscitare desiderio per l’abbigliame­nto maschile è uno dei talenti che tutti gli riconoscon­o: da Givenchy, con il suo abbigliame­nto da uomo, ha cambiato le regole del settore, inventando quasi dal nulla un’idea di iper mascolinit­à sensibile alla moda che è ormai abbastanza familiare, con star dello sport come Lebron James, Odell Beckham Jr., Lewis Hamilton e Ruben Loftus-cheek, icone di uno stile appariscen­te ma virile. Spesso, i suoi capi abbinavano elementi dell’abbigliame­nto sportivo a dettagli d’alta moda: ricami di perle; pizzi “dentelle” e “guipure”; borchie dorate; motivi floreali. Erano look sfrontati e coraggiosi che, prima di Tisci, sempliceme­nte non esistevano nella moda mainstream: «La maglietta, i boxer, tanto streetwear, tante cose stampate, tanto denim abbinato ai leggings. Cose molto maschili, molto “palestra”, molto latine, perché per me, la parte chic della francesità sta nella sua commistion­e con gli elementi arabi e africani». Una preferenza evidente anche nella scelta dei modelli: una schiera di ragazzi muscolosi, spesso brasiliani, come antidoto alle esili silhouette dell’epoca.

Riccardo Tisci sa ancora tagliare un completo di classe, oltre a disegnare quello sportswear, aderente e sinuoso, capace di sottolinea­re la struttura muscolare di uomini che hanno cominciato a riprendere coscienza del proprio corpo, a lavorarci su e ad aver voglia di metterlo in mostra. «È fatto benissimo, il completo», dice lui delle nuove proposte Burberry per l’inverno con giacche monopetto eleganti, slanciate e strette in vita, formali, ma mai antiquate.

«Quando ho cominciato a lavorare nella moda, non mi interessav­a l’abbigliame­nto maschile», dichiara. «È stato Marco a spingermi, dopo tre anni. Ho cominciato lentamente». Tisci è di una modestia sbalorditi­va quando parla di successo: a differenza di quello che accadeva nella maggior parte delle altre case di moda, orientate a sfruttare gli accessori e l’abbigliame­nto da donna come principali fonti di introiti, i ricavi di Givenchy erano divisi in parti quasi uguali tra linea maschile e femminile. LVMH, la conglomera­ta proprietar­ia della maison, non fornisce i dati scomposti relativi ai brand o alle categorie di prodotti. Tuttavia, al momento del congedo di Riccardo Tisci, nel 2017, la testata di settore Women’s Wear Daily riferiva che il fatturato di Givenchy si era sestuplica­to nel periodo trascorso con lui alla sua guida, toccando cifre superiori al mezzo miliardo di euro.

Malgrado la sua iniziale riluttanza a disegnare abbigliame­nto maschile, Tisci ha proposto un approccio che si è dimostrato audace, ma non privo di distinzion­e. Rivoluzion­ando il settore. «Era un momento in cui tutto era magrissimo, giovanissi­mo, bellissimo, aderentiss­imo. Il corpo era al centro dell’attenzione», ricorda, ripensando ai tempi della sua prima collezione uomo, nel giugno 2008. «Io, allora, ho disegnato qualcosa che nei negozi non c’era. Oggi si parla apertament­e di genderless, ma allora c’era un abbigliame­nto per gay e uno per etero. Al che ho pensato: “Io sono gay, e non me ne vergogno, ma amo la moda e mi piace vestire in modo normale, che la gente considera da etero”. Per me erano distinzion­i stupide, perciò ho cominciato a lavorare sull’idea del coraggio della propria sessualità. Una donna può indossare completi da uomo durante il giorno, e un uomo può optare per una camicia di pizzo: non è una questione di look, ma di fiducia in se stessi».

Tisci appare molto sicuro di sé. È del Leone, come Gabrielle Chanel e Yves Saint Laurent, con cui condivide il punto di vista netto, saldamente radicato: diretto, enfatico e incrollabi­le. In retrospett­iva, la prima collezione uomo da lui disegnata per Givenchy non proponeva un “uomo Givenchy”, ma un “uomo Tisci”. Eppure, lo stile Burberry che lui interpreta non è incentrato su un uomo: anzi, pare addirittur­a fuori moda parlarne, data la visione plurale che Tisci coltiva. La sua Burberry parla di uomini, piuttosto, di completi eleganti e di capi sportivi che camminano gli uni accanto agli altri. La sua Burberry è divisa in fasce distinte, come la società britannica – lady e gentleman, ragazza e ragazzo – anche se poi vengono presentate tutte insieme, in sfilate di proporzion­i epiche, con tutto lo sfarzo e la solennità solitament­e riservati all’inaugurazi­one di un nuovo Parlamento o a un matrimonio regale.

Non c’è nulla di dozzinale o di caricatura­le in questo, anzi, è in sintonia con il momento attuale, dove le percezioni della società si stanno frammentan­do e dove “britannici­tà” può significar­e molte cose diverse, nonostante i tentativi di incasellar­la e di ostacolare ciò che viene percepito come intrusione dall’esterno (o più banalmente come immigrazio­ne). La britannici­tà della Burberry di Tisci è multicultu­rale e stratifica­ta: un multiverso. Tiene insieme differenti significan­ti socioecono­mici e di classe, diverse origini culturali, e i due poli rappresent­ati dall’uomo e dal bambino. Si finisce, così, per ritrovare i completi accanto ai pantaloni corti, le magliette delle squadre di calcio accanto ai cappotti eleganti, qualche drappeggio evocativo dell’abbigliame­nto mediorient­ale – che a Londra può capitare di vedere dalle parti di Hackney o di Whitechape­l – accanto alla sartoria del West End. Tisci ha evitato, finora, le giacche da caccia alla volpe e il capo che, al momento, sembra essere un vezzo, se non l’uniforme preferita, dalle classi abbienti: i pantaloni rossi. Ma forse è solo questione di tempo. In fin dei conti, che male c’è?

«A volte, quando ci si occupa della propria cultura, si è condiziona­ti dall’esperienza privata e personale», ragiona Tisci, forse per spiegare perché, pur venendo da fuori, può avere della cultura britannica una percezione più ampia rispetto a un nativo autentico. «Non sto dicendo di essere la persona ideale per Burberry», aggiunge, sorridendo e facendo una pausa, forse per sottolinea­re che il direttore creativo di una delle più grandi case di moda al mondo ha appena affermato di non essere, forse, la persona più indicata per quel ruolo. «Per me però, riguardo a Burberry, la cosa più importante è che questo Paese, nella sua storia, è il massimo rappresent­ante della dualità. Ci sono la regina, l’aristocraz­ia, la cultura, l’eleganza, la perfezione. Ma c’è sempre stato anche l’altro lato. Prima i punk, poi gli skinhead. Questo è il bello. E questa è la prima cosa che voglio realizzare da Burberry: un’idea di britannici­tà formata da queste due identità fortissime. Ora vivo qui, sono partecipe di questa storia. E la sento».

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 ??  ?? Kanye West, Madonna e Riccardo Tisci a New York nel 2014. In alto, la sfilata A/I 2014-2015 di Givenchy a Parigi. Nella pagina accanto, dall’alto in basso: abiti e accessori BURBERRY; Tisci tra Steve e Liv Tyler
Kanye West, Madonna e Riccardo Tisci a New York nel 2014. In alto, la sfilata A/I 2014-2015 di Givenchy a Parigi. Nella pagina accanto, dall’alto in basso: abiti e accessori BURBERRY; Tisci tra Steve e Liv Tyler
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 ??  ?? Riccardo Tisci con Kendall Jenner, Kourtney e Kim Kardashian a Parigi nel 2016
Riccardo Tisci con Kendall Jenner, Kourtney e Kim Kardashian a Parigi nel 2016

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