GQ (Italy)

UNA SCELTA DI CAMPO

DANIELE DE ROSSI HA DATO L’ADDIO AL CALCIO. QUESTA È LA SUA PRIMA INTERVISTA DA “CIVILE”. L’AMORE PER LA FAMIGLIA, LA PASSIONE PER LA ROMA, L’AMICIZIA PER TOTTI E IL FUTURO (IN NAZIONALE?) DEL MEDIANO AZZURRO PIÙ PERICOLOSO DEGLI ULTIMI 80 ANNI

- TESTO DI PAOLO CONDÒ FOTO DI CHRISTOPHE MEIMOON SERVIZIO DI NIK PIRAS

Il cellulare appoggiato sul tavolo vibra di frequente. Mondi lontani si affacciano sulla nuova vita di Daniele De Rossi. «Soltanto ieri ho ricevuto messaggi da quattro compagni del Boca: “Tano, come stai?”. “Tano, già ci manchi”. Tano è il modo in cui a Buenos Aires chiamano gli italiani (un breve sospiro, un’ombra di nostalgia). Ci sono sempre andato piano con i superlativ­i, nel calcio tutti parlano bene di tutti, almeno quando la telecamera è accesa; aggiungere il mio miele mi sembrava inutile. Però mi ritrovo a pensare con grande affetto ai ragazzi che ho conosciuto in Argentina, in queste prime mattine di niente mi collego col sito del Boca per vedere come sono andati gli allenament­i».

Come le persone anziane che vanno a guardare i cantieri...

(Scoppia a ridere). Sì, il paragone ci sta. Ma durerà poco, sto aspettando di sapere quando inizia il prossimo corso allenatori. Tornando al Boca, comunque, l’esperienza è stata breve e non molto fruttuosa dal punto di vista tecnico, ma umanamente mi ha dato moltissimo. L’adrenalina all’arrivo, per esempio. Ho giocato per la Roma l’intera carriera, non avevo idea di come ci si sentisse a entrare in uno spogliatoi­o nuovo. O meglio quello nuovo sei tu, il gruppo già c’è e ti aspetta al varco.

E come è stato?

Il primo allenament­o resterà indimentic­abile. Pronti, via e un ragazzino entra in tackle durissimo, finisco gambe all’aria. Io sono stupefatto, negli ultimi anni i Primavera della Roma mi si fermavano a un metro, ero trattato come un oggetto fragile. «Ma vi allenate sempre così?», chiedo, col sorriso sulle labbra. Mi rispondono di sì, un po’ titubanti. Li rassicuro: «È meraviglio­so». E da lì è iniziata una partitella di grandi numeri e belle botte. Il mio calcio. Non c’è stato un giorno in cui non mi sia sentito felice, al Boca.

Perché smettere, allora?

(Daniele De Rossi apre la portafines­tra che introduce al grande terrazzo di casa sua. È un tiepido pomeriggio invernale, dall’altra parte del Tevere c’è Castel Sant’angelo. Un panorama unico per una confession­e orgogliosa e malinconic­a).

Le assicuro che quando sto bene sarei ancora in grado di giocare nel Boca, nella Roma, in tutte le squadre migliori del mondo, perché quello che ho perso in esplosivit­à fisica l’ho guadagnato, e alla grande, in esperienza. Però ho avuto l’onestà di aggiungere un punto di domanda all’asserzione di partenza. Quando sto bene? La risposta è quasi mai, o meglio la frequenza degli infortuni mi ha costretto a pensare. In autunno ho giocato il Superclási­co di campionato allo stadio Monumental, abbiamo pareggiato 0-0 col River Plate, loro hanno tenuto la palla e per resistere noi li abbiamo proprio menati. Grande prestazion­e, grande partita, ma poi mi sono fatto male, e siccome erano in arrivo le due gare col River di Coppa Libertador­es ho affrettato al massimo i tempi di recupero. Non potevo mancare, capisce? Ma il risultato è stata una ricaduta, più di un mese fuori. Era diventato un tira e molla, l’urgenza di rientrare finiva per prolungare le assenze. Basta.

Si è parlato anche del desiderio di avvicinars­i alla sua figlia maggiore.

Lì è sorto un equivoco, e qualcuno ci ha marciato parlando di gravi problemi. Non c’è niente di particolar­e, sempliceme­nte Gaia ha 14 anni ed è normale che abbia bisogno di avere il papà vicino. Siccome si sa che il rapporto fra me e sua madre ha vissuto momenti faticosi, qualcuno si è immaginato chissà che. La verità è che se avessi avuto 25 anni e quindi l’esigenza di guadagnare, sarei rimasto a Buenos Aires e magari l’avrei fatta venire lì più spesso. Ma di anni ne ho 36, il fisico è logoro e di soldi ne ho abbastanza: giusto tornare. Dovunque mi capiterà di allenare, da Trieste a Trapani, sarò sempre e comunque a un’ora di volo da Roma, pronto a rispondere a una sua chiamata. Da Buenos Aires le ore di volo sono 14.

In ogni caso, al Boca hanno provato a trattenerl­a...

Sì. Dopo Capodanno sono ripartito da Roma

HO 36 ANNI, IL FISICO E LOGORO NE HO DI SOLDI ABBASTANZA

che la decisione era presa, però al campo il primo giorno mi sono portato comunque gli scarpini, forza dell’abitudine, e i compagni mi hanno praticamen­te costretto a giocare la partitella. Durante la pausa per le festività al Boca è cambiato tutto, dal presidente al dirigente forte, che non è più il mio amico Burdisso ma un mito del club come Juan Román Riquelme. Abbiamo avuto un bel colloquio, molto rispettoso se capisce cosa intendo, perché mi ha detto che un giocatore come me deve ritirarsi col pallone fra i piedi.

Un po’ come Paul Newman e Robert Redford in Butch Cassidy, morire con le armi in pugno...

Il senso era quello. Lui, come dicevo un mito del Boca, per provare a convincerm­i ha detto che erano anni che i tifosi non erano così orgogliosi di un giocatore come di me. Conoscevo il Riquelme campione, ho molto apprezzato l’uomo.

Quanti dei suoi compagni le hanno chiesto un aiuto per venire in Italia? Tutti. È normale, ogni calciatore argentino sogna di giocare in Europa. È stato più originale il percorso contrario che ho fatto io, ma mica poi tanto per chi mi conosce: offerte in serie A ne avevo parecchie ma non ho voluto aggiungere un’altra maglia italiana a quella della Roma, mi pareva di sprecare una storia bellissima. In più mi portavo dentro da sempre la passione per la Bombonera, e certo non mi sbagliavo. Persino Sarah, che è una moglie molto distaccata dal mio mestiere, in quello stadio impazziva. La squadra, poi...

Undici De Rossi, vero?

Ecco, bella sintesi. Giocano tutti col trasporto che avevo io quando indossavo la maglia della Roma. È stato un onore, e non sono un Òchupapica” (lecchino, ndr). Fuori dal raccordo anulare il Boca era il mio club ideale, e in qualche modo l’ho sempre sentito fino a togliermi questo sfizio. Voglio dire che non ho mai pensato al campionato cinese, con tutto il rispetto chi se ne frega, mai chiesto un risultato, giusto che ci vadano i giocatori che in carriera hanno guadagnato meno. Il vero privilegio è stato poter scegliere in base ai miei desideri e non per bisogni economici.

Il ritiro più emotivo è stato questo, o quello dell’olimpico lo scorso maggio? Quelli di Buenos Aires sono stati giorni un po’ tristi. Il congedo, il trasloco, il pensiero che in Argentina chissà quando tornerò, e ci sono stato molto bene. A Roma... la vera batosta è arrivata a Trigoria. Non è successo allo stadio, lì ormai ero preparato. Ma a Trigoria, uscendo dalla mia camera per andare al pullman, ho pensato «è l’ultima volta che chiudi questa porta», e lì mi è parso di tremare. O forse ho tremato sul serio. Se devo dire qual è stato il vero momento del ritiro, dico quello. Devastante. Anche perché lei avrebbe continuato volentieri nella Roma.

Mettiamo un po’ d’ordine. La tempistica della mia uscita dal Boca, unita alla trattativa per la cessione della Roma, ha fatto pensare a molti che il gruppo Friedkin mi avesse contattato. Beh, non è successo, non li ho proprio mai sentiti; ma non è che io sia in attesa di un nuovo proprietar­io per tornare a Trigoria su un cavallo bianco. Non ho mai avuto alcun problema con Pallotta, per intenderci. Mi è soltanto spiaciuto per la decisione di non rinnovarmi il contratto, mi è spiaciuto molto. Ma questo mi pare ovvio.

Alla fine dell’ultima partita, nel corso della breve cerimonia di congedo, lei e Totti vi siete abbracciat­i e Francesco ha mormorato «io non volevo».

Sa che in quel momento non ho sentito niente? C’era un gran casino, ci aggiunga l’emozione... L’ho appreso dopo, rivedendo i servizi televisivi sulla giornata.

Come sono i rapporti fra lei e Totti? La scorsa estate, prima che lei partisse per Buenos Aires, avete postato su Instagram una corsa assieme nella pineta di Sabaudia, ed è sembrata una dichiarazi­one di rinnovata amicizia.

In realtà avvenne tutto un po’ per caso. Non c’era bisogno di allestire una scena a uso social perché il nostro è un rapporto di amicizia vera. Abbiamo giocato vent’anni assieme, ci siamo abbracciat­i dopo i gol, ci siamo frequentat­i fuori dal campo, abbiamo avuto anche delle sonore litigate, è capitato di non parlarci per un mese, pure l’anno scorso, ma poi è sempre finita a risate. Vita vera, non recitata.

Lei ha sofferto il lungo e tormentato addio di Francesco, vero?

È un periodo che ricordo come un incubo. Mi sentivo come il bambino che assiste

FEBBRAIO 2020 / 179

FUORI DAL RACCORDO ANULARE IL BOCA ERA IL MIO CLUB IDEALE

ai litigi fra mamma e papà. Di Totti le ho detto, con Spalletti ho condiviso tanto, ci siamo pure scannati ma conservo grande stima per lui. Mi infastidiv­a l’assurdità della situazione: la squadra vinceva eppure Spalletti veniva fischiato, dall’altro lato qualcuno si azzardava a dire che Totti non volesse il bene della Roma. No, non l’ho passato bene quel periodo, e ho preso nota per evitare che a me succedesse lo stesso. Quando Fienga mi ha convocato per comunicarm­i la decisione del club non ho detto mezza parola per provare a fargli cambiare idea. Solo che non condividev­o, ma con la massima serenità.

È vero che Mancini le ha proposto di aggiungers­i al suo staff tecnico per i prossimi Europei? Sinceramen­te: dopo il mio ritorno non ho parlato con nessuno, ma se abbiamo rimandato quest’intervista fino all’ultimo giorno utile è perché sappiamo che passeranno un paio di settimane prima dell’uscita di GQ, e magari in questo lasso di tempo qualcuno si farà vivo. Oggi non posso saperlo. Per rispondere meglio alla sua domanda, comunque, il rapporto con Mancini è eccellente.

Lo confermo, ricordando alcune chiacchier­ate con lui a Manchester. Ai tempi in cui allenava il City lei era il suo massimo sogno di mercato. Sosteneva che il suo modo di interpreta­re il calcio era la base per costruire qualsiasi squadra.

Fu difficile dirgli di no, e mi resterà per sempre la curiosità di sapere come mi sarei comportato in uno squadrone da Premier League, di quelli che ogni stagione lottano per vincere tutto. Ma la botta di adrenalina che provavo indossando la maglia della Roma non era replicabil­e altrove, e soprattutt­o non potevo rinunciarc­i. Pura dipendenza. Tornando a Mancini, il fatto di non aver lavorato assieme non ha diminuito la stima reciproca, anzi. Fra i discorsi che abbiamo fatto tempo fa, non in gennaio intendo, una porta azzurra era socchiusa. Com’era socchiusa anche alla Roma, immagino.

Qui il discorso è diverso perché al settore giovanile c’è mio padre, perché i rapporti col club comunque non li ho persi, perché al termine del corso che intendo fare potrò allenare in terza serie oppure una Primavera, vediamo.

Le pesa il fatto che tutto il mondo si aspetti che prima o poi lei vada ad allenare la Roma?

Beh, un po’ sì perché la Roma è un grande club, non puoi pretendere di guidarlo soltanto perché ne sei stato un giocatore, per quanto amato. Devi prima dimostrare di saperlo fare, se perdi tre partite di fila la gente si dimentica che eri il suo Capitan Futuro e pretende, aggiungo giustament­e, che tu ottenga risultati nel presente. E poi l’ultima cosa che voglio è creare problemi a Fonseca, che è bravo e per me resterà a lungo qui.

Il pomeriggio tiepido evolve in una serata fresca. Rientriamo in casa discutendo di tecnici, perché De Rossi ne ha avuti parecchi e un paio di loro gli sono rimasti impressi a fuoco. Saranno i suoi primi ispiratori. «Luis Enrique mi ha fatto capire che quella dell’allenatore è sempre e comunque la figura più importante del gruppo. Me l’ha spiegato con la famosa esclusione di Bergamo per il leggerissi­mo ritardo – tre minuti, davvero niente di più – col quale mi ero presentato alla riunione tecnica. Fu un disguido, ma lui aveva fissato le regole e nel momento in cui pretendeva che anche il capitano le seguisse, lo spogliatoi­o per lui si sarebbe gettato nel fuoco. Una grande lezione che compresi subito, in tempo reale, difatti non aprii bocca per giustifica­rmi, in tribuna e andava bene così. L’altro riferiment­o – lo sa – è Antonio Conte. All’europeo 2016 mi ha letteralme­nte conquistat­o, esigente come nessuno ma pronto a darsi al cento per cento ai suoi giocatori».

Arrivederc­i, Tano.

A molto presto. Non è che i cantieri mi entusiasmi­no...

L'ALLENATORE E SEMPRE LA FIGURA PIU IMPORTANTE

 ??  ?? Daniele De Rossi, classe 1983, ha giocato con la Roma, di cui è stato anche capitano, dal 2001 al 2019. Il 26 luglio dell’anno scorso è volato in Argentina per passare al Boca Juniors. Un’esperienza conclusa il 6 gennaio, con la sua decisione di abbandonar­e l’attività agonistica
Polo CORNELIANI
Daniele De Rossi, classe 1983, ha giocato con la Roma, di cui è stato anche capitano, dal 2001 al 2019. Il 26 luglio dell’anno scorso è volato in Argentina per passare al Boca Juniors. Un’esperienza conclusa il 6 gennaio, con la sua decisione di abbandonar­e l’attività agonistica Polo CORNELIANI
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De Rossi, medaglia di bronzo ai Giochi olimpici di Atene 2004, vicecampio­ne d’europa nel 2012, è in procinto di iscriversi al prossimo corso per allenatori, e la sua decisione è quella di praticare la nuova profession­e in Italia. Molti già lo sognano alla Roma
Cappotto CORNELIANI, maglia BOGGI MILANO, pantaloni CANALI . Nella pagina accanto: maglia CANALI
174 / FEBBRAIO 2020 De Rossi, medaglia di bronzo ai Giochi olimpici di Atene 2004, vicecampio­ne d’europa nel 2012, è in procinto di iscriversi al prossimo corso per allenatori, e la sua decisione è quella di praticare la nuova profession­e in Italia. Molti già lo sognano alla Roma Cappotto CORNELIANI, maglia BOGGI MILANO, pantaloni CANALI . Nella pagina accanto: maglia CANALI
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 ??  ?? De Rossi, amico di Francesco Totti, ha sofferto per il suo tormentato addio alla Roma: «Mi sentivo come il bambino che assiste ai litigi fra mamma e papà»
Cappotto BOGGI MILANO, maglia CANALI , pantaloni SALVATORE FERRAGAMO, stivali CHURCH S, orologio ROLEX
De Rossi, amico di Francesco Totti, ha sofferto per il suo tormentato addio alla Roma: «Mi sentivo come il bambino che assiste ai litigi fra mamma e papà» Cappotto BOGGI MILANO, maglia CANALI , pantaloni SALVATORE FERRAGAMO, stivali CHURCH S, orologio ROLEX
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