FUGA PER LA VITTORIA
Un gruppo piu giovane, una barca che vola, una tensione costante. GQ ha visitato la base di Luna Rossa Prada Pirelli Team che si prepara all'America's Cup 2021. Un solo obiettivo: portare la sfida in Italia
CÕè una parola che tutti i membri della spedizione del Luna Rossa Prada Pirelli Team usano spesso, per spiegare la lunga sfida alla Coppa America che stanno preparando dal 2017 nella base dell’ex Terminal crociere di Cagliari: limiti. «È fondamentale trovare il limite della barca, il limite dell’attrezzatura, il limite umano», spiega Max Sirena, skipper e Team Director. Questa è la sua settima partecipazione. La prima fu con Luna Rossa nella gloriosa edizione del 2000 quando vinse la Louis Vuitton Cup, con gli italiani attaccati alla tv la notte intera. Poi due vittorie, con Oracle e Team New Zealand, prima del ritorno a casa. È a Sirena che il team principal Patrizio Bertelli ha affidato il compito di mettere a segno un’impresa storica: vincere a Auckland nel 2021 e portare l’america’s Cup in Italia. C’è un solo modo per farlo: passare gli ultimi anni a braccare i propri limiti, superarli, trovarne di nuovi, superare anche quelli. Un loop continuo fino al momento in cui le barche saranno in regata in Nuova Zelanda.
«Prepari le tue carte per quattro anni e poi in poche settimane devi mettere tutta quell’energia sul tavolo e giocarti ogni cosa». Sono parole di Horacio Carabelli, un altro che sa cosa c’è in ballo quando gli uomini sfidano il mare: uruguaiano di passaporto brasiliano, istruito alla nautica nei cantieri navali dove lavorava il padre, ha partecipato a tre Volvo Ocean Race, la massacrante regata intorno al mondo, e ne ha vinta una, nel 2009. Ingegnere meccanico e velista di lunga esperienza, nella squadra di Luna Rossa Prada Pirelli è il coordinatore dei designer, la testa che sta progettando la barca, ed è da qui che partiamo per raccontare il viaggio di Luna Rossa. «Più che barche, queste sono macchine volanti», dice Carabelli scandendo ogni sillaba, per sottolineare la portata del con
cetto. Ed eccola la barca, custodita in uno dei due tendoni nella base di Cagliari. Luna Rossa sembra un grande cetaceo nero, un’orca circondata da umani al lavoro che misurano, testano, aggiustano, riparano, aggiungono. Sul ponte, un membro del design team, Stefano Beltrando, sta facendo un’ecografia allo scafo per valutare i danni del primo incidente di percorso della missione. A fine gennaio c’è stato un disalberamento in mare, che per la squadra è stato un primo confronto con la materia di cui sono fatti i limiti tecnici e umani su barche che nessuno aveva mai progettato prima. Nessuno si è fatto male, l’albero non si è spezzato e la barca è tornata in porto. Dal punto di vista progettuale, è stata soprattutto un’occasione per imparare. Ma poi c’è l’impatto umano: per questa spedizione in terra sconosciuta, Luna Rossa Prada Pirelli ha scelto la strategia del ricambio generazionale, con un equipaggio dall’età media decisamente bassa, messo insieme con un progetto di selezione dei talenti italiani battezzato New Generation. Il risultato è che il 40% dell’equipaggio di Luna Rossa ha meno di trent’anni. «Ero uno dei più giovani del team e di colpo mi sono trovato a essere uno dei più vecchi», dice Sirena (49 anni), parlando della sua squadra, ma anche dell’impatto di quell’incidente. «Molti non sono consapevoli del rischio che stanno correndo, non hanno la fotografia generale dell’oggetto che hanno sotto il sedere. È un’esperienza eccitante perché va quasi sempre tutto bene, ma sono sicuro che quel momento ha aperto gli occhi al gruppo».
Il sailing team è un mix di veterani (Sirena, James Spithill unico straniero ,
– – Francesco Bruni) e ragazzi con l’entusiasmo elettrico della prima campagna. Alcuni non vengono nemmeno dal mondo della vela: Davide Cannata è un nuotatore di gran fondo, Nicholas Brezzi e Romano Battisti sono canottieri, quest’ultimo anche argento olimpico a Londra 2012.
Perché inserire in squadra velisti che provengono da altri sport? Tutto è da ricondurre, come sempre, all’imbarcazione e alla sua complessità. Lo spiega Sirena, uno che di scafi, vele ed equipaggi ne ha visti parecchi in trent’anni di regate: «Questa barca è un oggetto completamente nuovo, ogni volta che salgo a bordo rimango impressionato». Come Challenger of the Records, cioè primo sfidante, Luna Rossa Prada Pirelli ha scritto le regole della nuova classe insieme al campione in carica, il defender Team New Zealand. Il risultato è L’AC75, un monoscafo con le ali. Molti principi e altrettanti sistemi di controllo sono di derivazione aeronautica. «Concettualmente questa barca funziona come un aeroplano, dal timone ai flap», spiega divertito Sirena. «L’evoluzione della competizione è questa: dieci anni fa nel team c’erano sette architetti navali, oggi uno solo, ma abbiamo due ingegneri aerospaziali».
La regata perfetta della classe AC75 è un dry lap, il giro asciutto: dalla partenza all’arrivo lo scafo non tocca mai l’acqua, l’unica parte immersa sono le ali. Ed è in questo orizzonte di innovazione totale che il neo-velista diventa prezioso. «È meglio prendere persone da formare da zero in base alla necessità della barca. Più che esperienza, servono atletismo e approccio mentale. Poi, a farli diventare velisti ci pensiamo noi». Il team ha ricevuto quattrocento candidature per il progetto New Generation. «Se uno può
stare su una barca lo capisci dal rumore che fa la prima volta che sale a bordo, se è elefante o ballerina. Per il resto, i requisiti sono: non avere paura di andare a 50 nodi e non soffrire il mal di mare. Il resto lo stiamo creando qui».
Gilberto Nobili è un altro dei veterani della squadra, di America’s Cup ne ha vinte tre (due con Oracle e una con New Zealand) e in questa campagna ha anche il ruolo di Operations Manager. La sua storia è simile a quella dei novizi della New Generation: praticava infatti canoa fluviale, prima di entrare in Luna Rossa nel 2003 come grinder. Da allora, Nobili ha visto tutta l’evoluzione della competizione: «Quando ho iniziato c’erano 35 velisti e una ventina di designer, oggi i velisti sono 18 e i designer 40. La parte tecnologica della coppa è cresciuta tantissimo». Uno degli effetti di questa furibonda innovazione e delle “macchine volanti” che ha prodotto è che i tempi di reazione di chi è a bordo si sono ridotti ai minimi termini.
«Nel 2003 potevi eseguire una manovra in 6, 7 secondi, ora hai un secondo e mezzo, non c’è più tempo per dare i comandi, tutti devono sapere già cosa fare. È scomparsa
la figura del navigatore, quello che dettava agli altri i dati degli strumenti. Ogni membro del sailing team ha un dispositivo che gli dice esattamente quello che deve sapere e le sequenze dei gesti sono molto codificate». Con la sua lunga esperienza Nobili, che tutti chiamano Gillo, è anche uno dei mentori del gruppo, un po’ maestro jedi e un po’ fratello maggiore. C’è una cosa che ripete spesso ai ragazzi: «Chi dice che oggi è dura non ha ancora visto niente. La parte dura deve ancora arrivare».
La Coppa America è una competizione strana. È il trofeo più antico dello sport contemporaneo, ma ha un livello di tecnologia e innovazione che può essere paragonato solo a quello della Formula 1. Le sue regole di funzionamento hanno un sapore da duello cavalleresco, in un equilibrio di precisione assoluta e manualità.
Fabrizio Lisco è uno dei quattro rigger che creano e modellano a mano le 80 cime impiegate sulla barca, tutte misurate al millimetro in base al carico che devono reggere in navigazione. È un velista con sapienza da artigiano. Il suo lavoro è la perfetta illustrazione del concetto-base che sintetizza Carabelli, il capo dei designer. «Il risultato finale sarà una somma di tanti piccoli dettagli».
Le squadre in gara sono quattro: Team New Zealand, Luna Rossa Prada Pirelli, American Magic e Ineos Team Uk. Il protocollo della 36esima edizione è molto aperto, lascia ampia libertà di progettazione, e anche il
reckoning, lo “spionaggio” tra le squadre, è regolato, perché è fondamentale studiare come stanno lavorando gli altri team. Una testata neozelandese ha di recente titolato con una certa preoccupazione: «Luna Rossa ha spinto sul design meglio di New Zealand?». Ci vorrà ancora più di un anno per saperlo, ma il primo momento di confronto, in cui le barche saranno in acqua e potranno misurare il lavoro fatto fino a oggi con quello dei rivali, sta arrivando: le World Series di Cagliari, dal 23 al 26 aprile. Seguiranno altre due competizioni preparatorie, a giugno a Portsmouth e a dicembre a Auckland. Il 2021 sarà l’anno delle carte sul tavolo: la Prada Cup (erede della Louis Vuitton Cup) tra gennaio e febbraio selezionerà chi contenderà a New Zealand l’america’s Cup, dal 6 al 21 marzo 2021.
Horacio Carabelli conferma le sensazioni positive: «Siamo in una posizione buona, oggi non cambieremmo niente di quello che abbiamo noi con quello che hanno gli altri». Nel cantiere di Cagliari si è creato spontaneamente in questi anni un piccolo rituale, concludere le frasi con «For the Cup». «È la cosa che dico sempre ai ragazzi», spiega Sirena. «Non fatelo per voi, non fatelo per me e non fatelo per nessun altro, fatelo solo per la Coppa. Non mi sono mai trovato in una squadra con uno spirito così positivo. Abbiamo scartato tanti bravi velisti, quando abbiamo costruito il team, perché sono venuti pensando di essere delle rockstar. Il fattore umano è tutto. Qui lavoriamo per vincere e per fare la storia».