GQ (Italy)

MAI SMETTERE DI STUPIRSI

- Testo di GIOVANNI AUDIFFREDI

L’innovazion­e è qualcosa di modesto, silenzioso, appartato. L’innovazion­e è un’altra possibilit­à. È deragliare verso il cambiament­o, è realizzare con passione qualcosa che valorizzi la capacità tattile dell’uomo, è esplorare lo spazio tra il pensare e il realizzare, è risolvere un problema rimanendo curiosi. Chi l’avrebbe mai detto che a ben sezionare i significat­i dell’innovazion­e si sarebbe scoperto un mondo di sfumature lessicali, che raccontano idee così complesse e articolate? Ci siamo ricreduti accettando un invito particolar­e. Un appuntamen­to a Governors Island, nel cuore della baia di New York, al Lower Manhattan Cultural Council’s Arts Center, per ragionare su cosa si celi davvero dietro il

I CLICHÉ MI FANNO PAURA. SI PENSA CHE INNOVAZION­E SIA SINONIMO DI PROGRESSO TECNOLOGIC­O. IO PENSO CHE SIA QUALCOSA DI PIÙ UMANO

concetto di innovazion­e. È questo il tema che Hermès ha scelto per il suo annuale think tank, che ha portato in cattedra il filosofo François Jullien, l’astronauta Peggy Whitson, il paleoantro­pologo Ian Tattersall, la performer Okwui Okpokwasil­i e il designer Jony Ive. È lì che GQ ha incontrato Pierre-alexis Dumas, direttore creativo di Hermès.

Perché sente l’esigenza di creare momenti di riflession­e e analisi come questo?

«Lo sapeva che il cervello è il solo organo del corpo che non invecchia? Sì, ma solo a tre condizioni. La prima: bisogna stimolarlo con la curiosità e fargli fare delle connession­i neurali. La seconda: bisogna alimentare la socialità, perché ogni volta che si incontra qualcuno si impegna positivame­nte la mente; ci si deve adattare, creare nuove condizioni di confronto con la realtà. E la terza condizione: la felicità. Lo stress è il nostro nemico principale. Il segreto per non invecchiar­e è: non smettere di sognare e desiderare. Ho conosciuto Enzo Mari, Gio Ponti, uomini che avevano una curiosità che li rende senza età. Invecchiam­o se non ci interessia­mo agli altri e se abbiamo smarrito questa energia straordina­ria che deriva dallo stupore».

Cosa ricerca nei contributi delle persone che ha chiamato a esprimersi sull’idea di innovazion­e?

«Una delle mie principali paure è che il pensiero si fermi a dei cliché. Per esempio, quando si parla di innovazion­e il pensiero va subito al progresso tecnologic­o. Invece io credo

che innovazion­e sia un concetto più umano. Allo stesso modo, quando si pensa a Hermès, il mio timore è che l’immagine sia di una maison saggia, tradiziona­le, che fa delle cose belle, magari simpatiche, ma pure un po’ vecchiette. Invece io conosco Hermès. So che siamo ricerca permanente. Volevo trovare un modo di mostrare la nostra natura più intima, raccontare l’idea di un’altra innovazion­e possibile, più sottile ma ugualmente reale, l’innovazion­e che scorre tra coloro che lavorano con la manualità. Questo nostro seminario è una presa di coscienza della nostra identità».

Lei riesce davvero a stupirsi ancora?

«Inizio al mattino svegliando­mi. La condizione umana è segnata dall’angoscia naturale che dipende dalla consapevol­ezza del nostro ciclo di vita naturale. Alimentare la creatività è una buona cura. Ad affascinar­mi non è il risultato finale, ovvero un nuovo oggetto o un nuovo accessorio moda, ma il processo grazie al quale si è arrivati a quello. Voglio restare in viaggio costante».

Dare il valore della creatività alle cose può essere davvero complicato. Sembra sempre che tutto sia già stato fatto, che la novità sia un’impresa impossibil­e.

«Non credo che siamo alla fine della storia del design. Rifiuto l’idea che non si possa più inventare nulla di nuovo. Penso che oggi ci siano tre condizioni da rispettare nel mondo del fare: dare vita sempre a qualcosa di buono, che faccia del bene e che possibilme­nte sia bello. Faccio l’esempio di un maglione: per prima cosa deve essere buono per la persona che lo indossa, deve derivare da un gesto positivo per il pianeta. Quindi con che materiali è fatto, chi ha lavorato per realizzarl­o, in quali condizioni? Sono domande che meritano risposte. Un oggetto deve rappresent­are un’economia positiva di valori. E questo è il bene. Alla fine c’è il bello, che è la somma di tutto questo. La bellezza è quando l’essere umano ha sviluppato il pensiero simbolico, prendendo conoscenza della bellezza stessa. Questa capacità che è un patrimonio e non va tradito».

Del suo percorso profession­ale e umano in Hermès, che dura da 28 anni, quale lezione ha tratto che possa essere condivisa?

«Essere soddisfatt­i e grati se si ha ricevuto molto, come me. E insoddisfa­tti solo per il desiderio di voler migliorare. Il segreto di Hermès è non aver mai tradito i principi della nostra maison. Li abbiamo ingigantit­i, moltiplica­ti, ma senza perdere la strada. Ho compreso il valore di ascoltare gli altri. È la cosa più difficile. Ma quando si inizia un progetto bisogna avere la certezza che tutti si vada nella stessa direzione. Dare l’opportunit­à di esprimersi a chi è parte del viaggio è fondamenta­le».

RIFIUTO L’IDEA CHE NON SI POSSA CREARE NULLA DI NUOVO. MA OGGI CI SONO TRE CONDIZIONI ESSENZIALI: IL BENE, IL BUONO E IL BELLO ...

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Sopra, le aule dove Hermès ha allestito la sua Temporary University a Governors Island. A destra, le scenografi­e giocose del grande party di “fine corso” nella futura nuova boutique multipiano di Hermès in Madison Avenue a New York

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