AVVICINARSI A ZERO
L’etichetta Globe di Herno è l’indicatore di un’impronta ambientale davvero minima. Prove tecniche di sostenibilità con nylon riciclato e bucce di cipolla
C’è un dato certo che ci dice quanto un capo consuma, si chiama PEF e misura l’impronta ambientale legata alla sua confezione: dalla nascita del filo alla tessitura, fino al trasporto. Portare questo numero vicino allo zero è la sfida di Claudio Marenzi, presidente di Herno che dal 2010 ha avviato un processo di conversione aziendale verso un modello di business il più possibile green. «I nostri stabilimenti sono a impatto zero perché l’energia (rinnovabile, perché ricavata con impianti fotovoltaici) che produciamo è sufficiente al fabbisogno dell’azienda: non utilizziamo energia derivante da centrali a carbone». Dal 2014 l’azienda è tra le pioniere europee della mappatura della PEF. «In qualche modo abbiamo contribuito a stilare i protocolli europei, adesso siamo in grado di sapere che un capo ha prodotto una certa quantità di CO2 e consumato tot litri d’acqua: questo ci dà la possibilità di avere un numero fisso, un parametro da migliorare. Una volta iniziato questo percorso la domanda se quello che si sta facendo è sostenibile o meno diventa imprescindibile». Chi si impegna in maniera seria a convertire la propria filiera è ben cosciente che non sia possibile, oggi come oggi, avere una collezione 100% sostenibile: per questo Herno ha lanciato l’etichetta Globe su alcuni dei suoi prodotti. Per la Primaveraestate 2020 sono due per l’uomo e tre per la donna, realizzati con tessuti composti per l’84% da nylon riciclato (anche zip e bottoni), imbottiture ricavate da piume di recupero e tinture al 50% di origine vegetale: cipolle, uva, carbone di bambù, olive e foglie di indaco sono gli ingredienti principali delle colorazioni. «L’obiettivo in realtà è che un’etichetta come Globe in futuro sparisca, perché non ci sarà più necessità di evidenziare solo alcuni prodotti come green, ma lo sarà l’intera collezione. Siamo in una fase di evoluzione positiva: in Italia si sta investendo molto in questo senso, anche in settori per l’abbigliamento fondamentali come la chimica». E se oggi il riscontro in termini di consumatori finali non è ancora altissimo, il futuro promette bene: «A livello dei buyer internazionali c’è molta attenzione, certificazioni come la PEF sono rilevanti».