NATE PARKER E IL RAZZISMO IN USA
L’ultima arrampicata di ALEX HONNOLD in compagnia di Jared Leto è finita con l’attore che si è fatto un bel volo, trovandosi a penzolare a 200 metri di altezza. Eppure lo scalatore più famoso del mondo ha aperto la via a una nuova ossessione globale. Che ha radici antiche
Di questi tempi, la gente fa follie di ogni genere, per cercare di stare meglio e recuperare una sorta di condizione originaria: ci iberniamo nei silos criogenici, ci arrostiamo lentamente nelle saune a infrarossi, ci immergiamo nelle vasche di deprivazione sensoriale. Mangiamo carbone ed erbe spontanee, porridge grigiastri fatti con antiche granaglie menzionate nella Bibbia. Raggiungiamo luoghi lontani per vomitare e avere allucinazioni nel corso di cerimonie rituali in Sudamerica. È come se, collettivamente traumatizzati dal mostruoso futuro pixelato che noi stessi abbiamo costruito, fossimo freneticamente in cerca dell’elemento primordiale. Di recente, qualcuno sembra ritrovarlo nella pratica dell’arrampicata.
«È qualcosa di innato», dice Alex Honnold, il più famoso climber del pianeta. «Siamo primati. Grandi scimmie. Siamo geneticamente preordinati per arrampicarci».
Se come Honnold rientrate nella fascia demografica tuttora prevalente tra gli arrampicatori – maschi bianchi compresi tra i 18 e i 35 anni (anche se in questo campo la parità di genere è ormai alle porte, e anche la diversità etnica è in crescita) –, può darsi che qualcuno di voi o qualche vostro amico sia stato contagiato dalla mania. Instagram gronda di affascinanti fotografie di attraenti millennial che condividono i loro problemi in parete, e tra i praticanti celebri figurano Frank Ocean, Jason Momoa, Brie Larson e Jared Leto.
Alla vigilia del debutto olimpico dell’arrampicata, ai Giochi di Tokyo di quest’anno, ci sono più competizioni e palestre che mai dedicate a questo sport. La mania può essere in parte spiegata dall’istinto primordiale, perché arrampicarsi, come correre e nuotare, è stato per millenni uno dei modi principali con cui l’animale umano ha affrontato il suo ambiente. Tuttavia, per i suoi valori fondamentali – ruvido individualismo, auto-realizzazione, efficienza performativa, risoluzione dei problemi mediante crowdsourcing – questo sport si propone anche come attività ricreativa con un fascino che si adatta alla perfezione a questa fase tardo-capitalistica super-tecnologica e incentrata sul permalancing (lavoro fisso a condizioni da freelance, ossia senza i benefit del lavoro fisso). L’avvento delle moderne palestre attrezzate con spazi per il co-working, postazioni REI [con attrezzatura ricreativa incorporata], sale riunioni, caffetterie e birra artigianale (per non parlare della comunità di menti affini che così si costituisce) ha trasformato l’arrampicata in uno stile di vita integrale: non si è mai obbligati ad abbandonarlo.
I fan di Honnold sanno già qual è la sua impresa più leggendaria: il 3 giugno 2017 è riuscito, primo al mondo, a scalare l’impervia parete del Capitan – celebre blocco di granito che sorge all’interno dello Yosemite National Park, in California – senza corde né altri sistemi di sicurezza, come racconta il documentario Free Solo, premiato con l’oscar nel 2019. Non era detto che l’impresa fosse realizzabile (di sicuro, non era consigliabile), e la troupe impegnata nelle riprese – di cui facevano parte molti arrampicatori esperti – ha dovuto mettere in conto l’atroce possibilità che il documentario si trasformasse in uno snuff movie. Honnold si è mosso prima dell’alba ed è arrivato in cima quando i buffet della prima colazione erano ancora aperti. La sua reazione (tipicamente modesta) alla storica impresa, dopo tre ore e cinquantasei minuti di arrampicata: «Sono contentissimo».
L’aggettivo inspiring è decisamente inflazionato, ormai, ma non c’è una parola più adatta: la scalata del Capitan da parte di Alex Honnold è stata davvero una paurosa fonte di ispirazione, un’impresa che trascende lo sport e forse persino la performance artistica. Con il suo gesto ha offerto una dimostrazione del confronto/scontro tra umanità ed eternità che noi, perlopiù, cerchiamo in ogni modo di evitare. Jimmy Chin, l’arrampicatore e filmmaker che, con la moglie Elizabeth Chai Vasarhelyi, ha