GQ (Italy)

PIONIERI SI NASCE

- Testo di CRISTINA D‘ANTONIO

Ha meritato il titolo di King of Ibiza sul campo. La techno è stata la sua vita. E ha una passione sfrenata per la velocità. All’alba di una nuova era, CARL COX immagina il clubbing ai tempi del distanziam­ento sociale, parla delle donne in una cerchia occupata da sempre dai maschi e conclude in derapata sulle corse in auto. Perché tra una partita a golf e una Ferrari non c’è gara

Veterano dell’acid house, campione della techno, re di Ibiza, pioniere della techno: tra tante definizion­i, qual è la preferita, signor Carl Cox?

Direi ambasciato­re della musica dance: sono una persona che si è presa a cuore la vita dentro il cerchio magico della musica.

Ha preso parte a Reconnect, una maratona musicale di 24 ore per fare festa restando a casa propria. Con quali emozioni ne è uscito?

Felicità e tristezza. La condivisio­ne è sempre stata il motore delle mie azioni, ma certo non è la vibrazione che arriva quando la gente balla davanti a te.

Come crede che cambierà il clubbing con il distanziam­ento sociale?

Lo farà drasticame­nte, perché non si torna indietro. Fino a ieri eravamo liberi di muoverci nella noncuranza. Ho lavorato per 40 anni in questo modo, tra clubbing, concerti, festival. Be’: addio. Dovremo ripensare l’intero sistema perché fra altri 10 si possa riprendere qualcosa di quelle abitudini. Potere all’immaginazi­one: come si potrebbe modificare la realtà?

Per ora penso a cosa fare come artista: per esempio, posso aprire un dialogo con i miei simili in Giappone o in Turchia e discutere del futuro. Avremo bisogno di nuovi talenti: mi chiedo come verranno riconosciu­ti, dato che non saranno più fisicament­e tra noi. Forse dovremo guardarci alle spalle per ritrovare la spinta pionierist­ica degli inizi. Intanto ogni finestra è diventata un palco: userebbe mai quei canti come

campioname­nto per un pezzo techno? Mi viene in mente una cosa. Ricorda Stomp!, la canzone dei The Brothers Johnson? Ci ha fatto muovere per anni: ci dava la carica, ci faceva volare e poi atterrare, battendo i piedi per terra. Stomp! Ecco quello era un suono universale, che ha unito una generazion­e: trovare quello del 2020 e renderlo altrettant­o riconoscib­ile in una traccia, sì, sarebbe il disco del secolo. Tornando al mondo noto fino a sei mesi fa: si era in pieno revival della cultura rave degli Anni 90. Lei c’era.

E chi invece non c’era, non può immaginare cosa significhi andare in un cabina telefonica per sapere da un nastro registrato dov’è la festa. Bisognava essere tra gli eletti: tutto quel darsi da fare era la nostra

risposta a chi dettava legge e ci metteva un limite. I rave andavano avanti fino all’alba. Il dj aveva un compito: accompagna­rci attraverso un viaggio e poi lasciarci andare, con la certezza di aver capito che era successo qualcosa. Cose che non succedono se ti muovi con le mappe sul cellulare e l’app di Uber.

Era una chiamata alla libertà?

Era un desiderio di mistero: allora non sapevamo chi sarebbe stato il dj o quale impianto audio avrebbe usato. Attesa e aspettativ­a. Quando arrivava il momento, andavamo fuori di testa perché sapevamo che era un momento speciale. Oggi è già tutto noto prima che cominci: il pubblico arriva con un’opinione precotta e se spingi un disco troppo avanti rischi di ricevere un rifiuto. Dev’essersi divertito. Specie a Ibiza, come dj dello Space per 16 anni. Partivamo senza pregiudizi ed era quella la magia: Ibiza ci lasciava liberi, su tutto. Ci sono tornato ogni anno, dal 1984, e ho visto come si è trasformat­a l’atmosfera: ora si va e si torna da un giorno con l’altro, solo per fare serata. Siamo passati dal desiderio di avventura al consumismo al cubo.

E nel frattempo la techno è passata dai numeri dei locali a quelli dei festival. Per me non è una sorpresa: la techno ha sempre avuto le carte in regola per dominare la scena, anche quella allargata che prima era della EDM. Non è successo dall’oggi al domani, ma ormai parla anche alle 20 mila persone dei grandi eventi. Ma c’è ancora spazio per chi vuole ascoltarla in posti più piccoli, dove il suono è più definito.

Il vostro è ancora un club per ragazzi o c’è più posto per le donne?

È vero che resta ancora un club di maschi: all’inizio il rapporto era di 100 a 1, ma le cose stanno cambiando. Le dj sono fantastich­e: le ho sempre chiamate al mio fianco, in tutti questi anni. È bello vedere come alcune di loro suonino meglio dei ragazzi. Quindi meritano di stare dove stanno. E non sarò certo io a oppormi al cambiament­o.

C’è qualcosa per cui gli uomini dovrebbero combattere al fianco delle donne? Per ogni cosa, quando si offre l’occasione.

Perché alla fine di una giornata siamo esseri umani, non rappresent­anti di gender. Credo che ciascuno di noi abbia bisogno di essere sostenuto, ogni tanto. È una questione di equilibrio tra persone: non si va avanti se non ci si aiuta a vicenda.

Ha cambiato la sua relazione con la musica dopo una vita assieme?

Non credo. Come ascoltator­e ho bisogno di capire chi c’è dietro a un disco che mi emoziona e subito dopo devo diffondere la mia scoperta. Come artista posso dire di non aver mai fatto un disco commercial­e sperando che vendesse.

E adesso è arrivato Pure (El Rancho Remix), due anni dopo l’ultimo disco. Non sapevo quale sarebbe stato il momento adatto finché è arrivato questo, con un suono che non appartiene a nulla di conosciuto: dentro ci sono techno, tech house e house. Ora: la gente ha sempre un’opinione, su tutto, ama o detesta, e lo farà anche con il mio pezzo, ma non mi importa. Io vado orgoglioso di quello che ho fatto.

«NEI RAVE ANDAVAMO FUORI DI TESTA PERCHÉ SAPEVAMO CHE ERA UN MOMENTO SPECIALE»

Se non piace un disco comprato con un tap sul telefono, si cancella e via. Quando andavo a comprare dischi, prendevo vinili. Magari di un album c’era solo una traccia su dieci che mi piaceva davvero, ma restavo ad ascoltare cosa aveva da dirmi. Spendevo i soldi per qualcosa che volevo e che sarebbe durato. Adesso sono in pista, sento qualcosa, chiedo a Shazam di riconoscer­e il pezzo, lo ascolto fino alla morte. Poi, lo cancello. E non resta nulla che mi riporti al perché ho fatto quella scelta. Perciò sono felice di appartener­e all’epoca dei vinili.

Ce lo dica: quanti dischi ha?

Ho iniziato a colleziona­rli partendo dalla raccolta di mio padre. L’ho fatto dal 1968 fino al 2007, quindi a spanne direi 150 mila. Che tutto sommato fa un sacco di dischi.

Che cos’è il beat per lei?

Quello che è, in partenza, per tutti: il battito del cuore. Se sto facendo qualcosa che amo, come correre o ballare, arriva a 144 pulsazioni al minuto. Boom boom boom boom.

Il beat della musica ha lo stesso ritmo. E questo spiega anche perché, quando sono in consolle, mi muovo costanteme­nte: perché il beat risuona con il battito.

Le è piaciuto legarsi a un cronografo, lo Zenith Defy 21 Carl Cox Edition? Ho sempre avuto la fissa per gli orologi, sono quel genere di uomo che ama sollevare il polso e vedere che ora è. L’altra mia passione è la velocità: corro in moto e in macchina, quindi il tempo è il mio rivale e voglio avere un alleato che sia preciso al milionesim­o di secondo.

Qual è la sua velocità preferita? Quando mi metto al volante mi piace sentirmi sfidato. Lo faccio sui circuiti, ovviamente, non sono mica pazzo a farlo sulle strade normali: mi metto alla prova, vedo fino a che velocità riesco ad arrivare. Perché diciamolo: giocare a golf?, sai che pizza. Ma se mi infilo in una Ferrari o in una Porsche, allora sì che ci capiamo. Quello sono io e quella è la mia velocità.

 ??  ?? Carl Cox, 58 anni il 29 luglio. Disc jockey e producer – tra i più pagati del pianeta – della techno e della musica house, collezioni­sta di motori – ultimo acquisto una F4 Claudio, sportiva prodotta da MV Agusta in 100 esemplari – e appassiona­to di orologi. Qui indossa il cronografo Zenith Defy 21 Carl Cox Edition, edizione limitata di 200 esemplari
Carl Cox, 58 anni il 29 luglio. Disc jockey e producer – tra i più pagati del pianeta – della techno e della musica house, collezioni­sta di motori – ultimo acquisto una F4 Claudio, sportiva prodotta da MV Agusta in 100 esemplari – e appassiona­to di orologi. Qui indossa il cronografo Zenith Defy 21 Carl Cox Edition, edizione limitata di 200 esemplari
 ??  ?? Lo Zenith Defy 21 Carl Cox Edition è un cronografo con precisione di lettura al 1/100 di secondo, dotato di una lunetta in fibra di carbonio e un cinturino con impunture che brillano al buio. Il quadrante aperto rimanda alla musica grazie a un disco girevole a forma di vinile a ore 9, che funge da indicatore dei secondi continui
Lo Zenith Defy 21 Carl Cox Edition è un cronografo con precisione di lettura al 1/100 di secondo, dotato di una lunetta in fibra di carbonio e un cinturino con impunture che brillano al buio. Il quadrante aperto rimanda alla musica grazie a un disco girevole a forma di vinile a ore 9, che funge da indicatore dei secondi continui
 ??  ?? Nel 1969 la manifattur­a Zenith ha realizzato il primo movimento cronografi­co meccanico automatico preciso al 1/10 di secondo, con una frequenza di 36.000 alternanze l’ora: da questo primato, il nome El Primero. Oggi Zenith migliora la precisione del cronografo al 1/100 di secondo, a 360.000 alternanze l’ora: lo fa con Defy 21, di cui ha dedicato un’edizione speciale a Carl Cox (19.200 €)
Nel 1969 la manifattur­a Zenith ha realizzato il primo movimento cronografi­co meccanico automatico preciso al 1/10 di secondo, con una frequenza di 36.000 alternanze l’ora: da questo primato, il nome El Primero. Oggi Zenith migliora la precisione del cronografo al 1/100 di secondo, a 360.000 alternanze l’ora: lo fa con Defy 21, di cui ha dedicato un’edizione speciale a Carl Cox (19.200 €)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy