UN INVITO INASPETTATO
Uno scrittore, una città unica e una guida che si rinnova: da leggere come lezione universale
Venezia è un pesce, 20 anni dopo, con l’edizione ampliata di un piccolo classico della letteratura di viaggio. Tiziano Scarpa, che cosa è cambiato?
In generale: Venezia è un’altra, ma diverso è ormai il modo di pensare le guide di viaggio. Nel particolare: allora avevo inventato un modo di vedere le cose e proponevo uno schema che non divideva una città in parti, ma considerava piuttosto le parti del corpo − partendo dai piedi − che di quella città fanno esperienza. A quell’edizione aggiungo nuove visioni e molte storie personali: da 15 anni sono infatti tornato a viverci.
Parlando di sé, quale parte è più coinvolta nell’esplorazione del luogo?
Qui tocco molte più cose: se altrove mi frena la patina di sporco misto a smog, a Venezia le mani cercano il contatto con le spallette dei ponti, l’avambraccio del gondoliere, le bitte alle quali si legano le barche.
In origine il libro era destinato ai ragazzi delle scuole superiori, poi ha fatto strada. Oggi, a chi lo consiglierebbe?
A tutti quelli che vivono con insoddisfazione, quasi con attrito, il posto in cui stanno: troveranno degli spunti per sperimentare la propria città andando oltre lo stato d’animo, perché un luogo non è fatto solo di storia o di panorama, ma di molto altro.
Scrive: abitare a Venezia oggi è una scelta esistenziale impegnativa.
Siamo in 50 mila, meno di un quartiere di Milano, e resistiamo in quello che è stato trasformato in un residence. Ma il 2020 potrebbe essere un anno zero, in termini di cambiamento. Le grandi navi, per esempio: non sono bastati il decreto governativo che ne impediva l’ingresso in laguna, o l’opposizione popolare; l’unica cosa che è riuscita a fermarle è stato un virus. C’è un video in time lapse che mostra come alcune di queste siano state smantellate: una felicità simile l’ho provata solo quando fecero brillare Punta Perotti a
Bari. Ci chiediamo: e ora, che tipo di turismo arriverà? È l’eterno dilemma: la cosa che nutre la città è spesso la stessa che la avvelena.
Quali sono i cliché da abbandonare la prossima volta che si verrà a Venezia?
È una città senza paragoni, ma invito tutti a farsi un giro liberandosi dell’idea che sia talmente esotica da non poterne importare alcune caratteristiche.
Per esempio?
Il modo di muoversi. Da noi è bastato un morto – un turista tedesco, nello scontro tra un vaporetto e una gondola – per ripensare i limiti e i divieti della navigazione interna urbana: perché non considerare tutte le città come altrettanto fragili, e pronte a rimettersi in discussione?