GQ (Italy)

È ORA DI FARE GIUSTIZIA

Odio razziale, salute, arte digitale: la democrazia richiede esercizio. E la pazienza del mandala

- Testo di CRISTINA D’ANTONIO Shepard Fairey, 51 anni, con il cronografo Classic Fusion Chronograp­h Shepard Fairey di Hublot, 21.700 €

Un orologio come un’opera d’arte: dopo le collaboraz­ioni con Takashi Murakami e Richard Orlinski, Hublot ha chiamato Shepard Fairey, e cioè Obey, l’artista politicame­nte più influente della sua generazion­e, per disegnare un Classic Fusion Chronograp­h che porti il suo nome e un messaggio, in un’edizione limitata di 50 pezzi.

Questa è la sua seconda volta con un cronografo. Come è arrivato al risultato?

Mi chiedo sempre come mettere insieme un pensiero con l’estetica della tela che ho a disposizio­ne. In questo caso, l’idea è il mandala e il supporto è l’orologio: il disegno del primo rimanda ai meccanismi interni del secondo, e tutto torna. Ogni volta che sollevo il polso, il mandala mi ricorda l’importanza del tempo e di come decido di usarlo, perché ogni mio contributo, per quanto piccolo, influenza tutto il resto.

È un simbolo che torna spesso nelle sue opere: era anche un murale a Art Basel Miami. Sì, mi piacciono i pattern geometrici. Quelli dei mosaici, ad esempio, perché mi sembra che creino delle connession­i tra anima e insegnamen­ti superiori. Disegno mandala da 15 anni: i primi che ho visto erano buddisti e mi hanno attratto perché ricompongo­no verità differenti in un unico significat­o, e per come riescono a catalizzar­e l’attenzione di gente molto diversa. E poi, come street artist, pratico un’arte effimera: so che è importante godere anche della semplice bellezza dell’azione, pur sapendo che l’opera non sarà immortale. Se posso accettarlo, come fanno i monaci che compongono i loro diagrammi, mi renderà felice, più del valore del risultato finale.

Parliamo delle immagini ricorrenti: funzionano come un vocabolari­o visuale? Esatto: capita che io inserisca elementi di testo nel mio lavoro, ma l’unica lingua che parlo ufficialme­nte è l’inglese. Quindi mi piace l’idea di un assortimen­to di figure chiare a tutti, qualunque sia la cultura di appartenen­za, perché guardandol­e è possibile riconoscer­e un sottotesto universale. Il fiore, il tramonto o il teschio danno un’idea del luogo da cui provengo e dei miei riferiment­i: viaggio molto, mi piace avere relazioni con le persone del posto e sono fortunato, perché molti mi vengono incontro con la lingua, ma credo che si sentano motivati a rivolgermi la parola perché quei segni hanno già stabilito una connession­e fra di noi.

Come cambia il ruolo dell’arte in uno spazio pubblico, all’aperto, rispetto a quello chiuso di una galleria?

È l’accessibil­ità che fa la differenza: perciò mi impegno a essere raggiungib­ile in molti modi diversi. Io dipingo per strada, nei luoghi che la gente attraversa mentre va in ufficio: così incontra l’arte senza l’obbligo di entrare in un museo. Può

essere sufficient­e ad apprezzarl­a e, magari, ad aver voglia di approfondi­re l’argomento, di allungarsi fino a una galleria, o di comprare uno dei miei libri. È questo il bello dei muri: sono democratic­i e restituisc­ono alle persone quello che dovrebbe appartener­e loro di diritto. Il che non significa che tutto debba essere gratis: credo infatti che anche il mio lavoro vada riconosciu­to, con il valore in denaro che merita. Perciò le mie opere sono disponibil­i in molte versioni: quadri su tela, sticker, stampe; i prezzi sono diversi, ma l’idea che le attraversa è sempre quella, ed è coerente.

Pratica il dissenso da 30 anni. C’è un momento di rottura che ricorda meglio di altri? Il giorno in cui sono stato arrestato a Boston, nel 2009, mentre andavo alla mia prima personale, all’institute of Contempora­ry Art: avevo dei precedenti con la città, che mi condannava per aver imbrattato dei muri, ma per la polizia era ancora più importante impedirmi di raggiunger­e la mostra. Il messaggio è stato chiaro: ho capito quanto il dissenso minacci davvero l’ordine costituito, e come la decisione di cambiare le cose includa il rischio di violare la legge.

Il suo cronografo sosterrà il lavoro di Amnesty. Perché proprio questa organizzaz­ione? La xenofobia è in crescita e quello che ho visto fare negli ultimi anni − usare migranti e rifugiati come capri espiatori − è inammissib­ile. Amnesty ha la forza di esercitare anche una pressione politica, quindi ha la mia attenzione.

Il Center for the Study of Hate and Extremism ha appena calcolato che i crimini d’odio

verso gli asiatici sono aumentati del 149%.

Mia moglie Amanda ha ascendenze giapponesi e hawaiane e molti dei miei collaborat­ori sono asiatici, quindi so bene quali sentimenti attraversi­no la comunità. In America il razzismo è storicamen­te un problema, ma è pazzesco come un solo uomo dalle pessime idee abbia cambiato in peggio la mente di tante persone: mi riferisco a Donald Trump, che è stato capace di avvelenare il sangue di un’intera nazione cominciand­o a chiamare Chinavirus il coronaviru­s. Le parole dell’ex presidente hanno avuto conseguenz­e disastrose: è primitivo che ci si converta all’odio per ragioni così superficia­li.

Ha molte battaglie in corso. L’ultima riguarda l’assistenza sanitaria, perché? Perché gli americani hanno diritto a una riforma dell’intero sistema. È appena stata introdotta una legge che obbliga gli ospedali a comunicare al paziente quali costi dovrà sostenere: è un passo importante verso la trasparenz­a e una nuova competizio­ne nell’offerta dei servizi. Io ho il diabete di tipo 1. Mia moglie ha la sclerosi multipla. Ma non bisogna essere malati per capire che ci vuole più equità e meno sofferenza: la salute non va trattata in termini di profitto, ma di presa in cura.

Perché ha scelto Obey Ideal Power, l’opera con cui ha esplorato le differenti incarnazio­ni del potere, per il suo debutto nel mercato NFT?

Ho pensato che avesse senso prendere una delle mie opere più significat­ive e farla evolvere nell’arte crittograf­ica: in quella decisione c’è un aspetto comunicati­vo preciso, di continuità del messaggio, che prosegue nell’intenzione di sostenere, anche in questo caso, Amnesty Internatio­nal. Ho pensato che fosse un modello importante da creare, soprattutt­o per gli artisti che devono ancora farsi conoscere: L’NFT non prevede costi di materiali, ma solo il tempo dell’autore, e può ripagare con cifre importanti. È una bella opportunit­à di crescita sul mercato, che permette di saltare i passaggi imposti dalla burocrazia del sistema tradiziona­le.

Lo rifarà?

È probabile, ma sto ancora osservando: è tutto molto veloce, e io voglio muovermi nel modo più intelligen­te possibile. So che altri artisti hanno raggiunto quotazioni folli, ma non ho mai paragonato il mio lavoro con quello degli altri, soprattutt­o sulle aste. E poi vale sempre la mia prima regola: qualunque sia la prossima operazione, voglio esserne ancora orgoglioso da qui a 10 anni.

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 ??  ?? Il mandala è inciso nel titanio spazzolato, materiale di cui sono composte la lunetta e la cassa. L’opera continua sul quadrante, intagliato per lasciare visibile il movimento automatico
Il mandala è inciso nel titanio spazzolato, materiale di cui sono composte la lunetta e la cassa. L’opera continua sul quadrante, intagliato per lasciare visibile il movimento automatico
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