GQ (Italy)

JACK SAVORETTI

Gli Anni 60 e 70? Formidabil­i per la musica, il sapore di sale e il glamour delle serate. JACK SAVORETTI non c’era, ma il suo nuovo disco recupera molto di allora. E sgombera l’equivoco di un songwriter che credeva di voler diventare un cowboy

- Testo di ENRICA BROCARDO

Il disco in uscita è un omaggio agli Anni 60 e 70, quando «ogni cosa era sexy e luccicante»

Il neologismo che più gli calza è nostalgiar­e, verso un mondo che non ha conosciuto direttamen­te ma che gli «mette molta allegria», tanto da costruirci attorno il suo prossimo disco. Jack Savoretti, songwriter inglese di Genova (il padre ha lasciato l’italia per ragioni di sicurezza), cresciuto come cittadino del mondo con un attaccamen­to viscerale a Portofino, è pronto: il 7 maggio è uscito con il singolo Who’s Hurting Who, anticipo dell’album Europiana, che sarà invece fuori il 25 giugno. L’ultima passione di Savoretti è infatti una divorante, celeste nostalgia per gli Anni 60 e 70 − curioso, per uno nato nel 1983 − con qualche riferiment­o al Claude Lelouch di Un uomo, una donna: «Volevo ritrovare quel tipo di innocenza, quel la-la-la dei cori, la meraviglia delle prime volte: quando hai sentito il rumore di una Vespa 50, quando hai ballato in una discoteca in Riviera, quando hai sentito il sale sulla pelle e non volevi liberarten­e mai. Insomma: quel senso di vacanza infinita e di divertimen­to accaldato che manca a tutti da troppo tempo».

Come ha ricreato quel mondo? Studiando: la musica che girava allora in Europa arrivava dall’america, i suoni soul, disco e funk venivano però contaminat­i dall’attitudine melodica dei cantautori. C’era molta spazzatura, ma sono venuti fuori anche alcuni brani geniali. Quindi avevo in testa un concetto, ma non ero sicuro di come ottenerlo. Mi ha aiutato il mio produttore, Mark Ralph: quando gli detto che ci voleva una chitarra alla Nile Rodgers, lui lo ha contattato. Gli ha mandato il brano al quale stavo lavorando e Nile − quello di Good Times, pazzesco! − ha colto subito il senso. La sua zampata è stata fondamenta­le per finire un disco che ci ha portato felicement­e fuori dalla comfort zone.

La sua qual è?

Parto da quale è stata, a lungo: da adolescent­e volevo essere un cowboy dell’oregon, di quelli che si muovono con il pick-up. A 20 anni mi piaceva la musica california­na Anni 60. A 30 anni ho colto l’equivoco e capito ciò che non sono e non sarò mai. Questo album celebra la mia vera natura: sono italiano e inglese con sangue tedesco e polacco, ho vissuto in Gran Bretagna, Svizzera e Italia. La mia vera zona di conforto è quindi l’europa; da qui, il titolo del disco. Da chi aveva preso allora l’attrazione fatale per il western?

Ho passato gli anni delle medie e del liceo alla scuola americana. Mia madre Ingrid, che era di origine tedesca, aveva lavorato come modella a Londra, ma aveva molti amici americani. Lo era anche il suo primo grande amore, che l’aveva convertita a quello stile di vita. Invece dei Beatles, lei ascoltava Marvin Gaye, Crosby Stills Nash & Young, Jackson Browne. Diciamo che sono cresciuto con lo spirito dell’ultima frontiera.

Da suo padre, invece?

Da lui ho ereditato il gusto della canzone italiana di quei due fantastici decenni. Se ne può sentire l’eco nelle tracce del disco, soprattutt­o quei giri alla Patty Pravo e Lucio Battisti, che per me resta il migliore. Quando lo ascolto penso che la sua musica sia ancora all’avanguardi­a, ma in generale le classifich­e italiane di quegli anni sono legate ai ricordi più belli della mia vita, ai viaggi estivi in macchina con papà.

Lei è molto legato a Portofino, dove passava le vacanze. Che immagine ha di quei momenti?

Delle serate in piazzetta con gli amici. Ero molto giovane e quei momenti erano le prime prove di autonomia. C’erano due bar che restavano aperti fino a tardi: a mezzanotte, quando gli altri andavano a casa, io cercavo i miei genitori. Li trovavo dove la musica era ancora accesa: mia madre è sempre stata un tipo rock’n’roll e ancora adesso è l’ultima ad andare a dormire. È lei che mi ha insegnato il fascino della notte.

Lei ha 37 anni, ma sembra davvero legato a un’epoca che non è sua.

È vero: quello stile di vita mi pare irripetibi­le. Le auto, i vestiti: ogni cosa era sexy, glamour, luccicante. Gli inglesi parlano di quella sensazione con l’espression­e “sense of occasion”: è quando si esce di casa pronti ad assistere a qualcosa di speciale, anche solo perché lo si sente nell’aria. È l’eleganza di chi si prepara per vedersi al tramonto, l’anticipazi­one della notte che verrà.

E lei? Quando ha pensato di dover avere un suo stile?

A 10 anni. Stavo a Londra e l’idea standard di abbigliame­nto consisteva in pantaloni al ginocchio e cappellino. Vedevo i miei cugini italiani e prendevo nota con invidia delle camicie Johnny Lambs, delle Timberland, dei maglioncin­i ripiegati sulle spalle. Allora mi sono fatto coraggio e ho chiesto ai miei genitori il mio primo paio di Levi’s 501. È stata una svolta.

Poi si è convertito al blu perenne. Una scelta di mia moglie Jemma. Ero convinto che il mio spirito country stesse bene con il verde e il marrone. Ho fatto bene a darle retta.

Su cos’altro l’ha seguita?

Sul parlare davanti a un pubblico. Non capiva perché nel privato fossi ciarliero e casinista, e sul palco invece semi-muto. Ci ho provato, e da allora mi diverto di più.

 ??  ?? Jack Savoretti, 37 anni. Il 7 maggio è uscito il singolo Who’s Hurting Who, anticipo dell’album Europiana, negli store il 25 giugno
Jack Savoretti, 37 anni. Il 7 maggio è uscito il singolo Who’s Hurting Who, anticipo dell’album Europiana, negli store il 25 giugno

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