GQ (Italy)

BINGELISTE­NING

L’inchiesta di GQ indaga un genere di piacere che si può soddisfare ovunque, a qualunque ora. E che trasforma ogni contenuto – un fumetto, la cronaca nera, un diario di viaggio, un dibattito – in qualcosa con una nuova, potentissi­ma VOCE

- Testo di CRISTINA D’ANTONIO Illustrazi­oni di ROBERT BEATTY

Ascoltate: ci sono online 2 milioni di podcast, 48 milioni di episodi, 10 milioni di utenti attivi su Clubhouse, 200 mila iscritti a Patreon. Quattro italiani su 10 hanno finito almeno un audiolibro l’anno scorso. Il titolo più venduto su Audible è Il colibrì di Sandro Veronesi, l’autore più seguito Ken Follett, il long seller Il nome della rosa di Umberto Eco letto da Tommaso Ragno. La radio, data per spacciata con l’arrivo della tv, degli mp3 e dello streaming, registra una fedeltà del 50%: su due utenti, uno si sintonizza sempre sulla stessa frequenza. Quattordic­i milioni di italiani hanno sentito un podcast: campione multipiatt­aforma è lo storico Alessandro Barbero con i suoi racconti di mille battaglie. The essential, le notizie del giorno lette da Mia Ceran nel format di Will Media, è top performer. Colapesce e Dimartino hanno registrato in presa diretta il dietro le quinte del Festival di Sanremo e poi montato Big! Storia leggerissi­ma di qualcosa che non rifaremo: un tempo sarebbe stato un instant book, oggi è un audio documentar­io. Newsletter vocali, contenuti per smart casting, long form che migrano dalla carta al microfono: qualunque materiale può cambiare forma. Anche una graphic novel: Zerocalcar­e ha doppiato A babbo morto per Storytel, e prima di lui Neil Gaiman era riuscito nell’impresa, tutt’altro che facile, di rendere ascoltabil­e Sandman con le voci di Riz Ahmed e Taron Egerton.

La voce è tornata: occupa spazio, riprende potere, trova proseliti. «È la rivincita della parola sull’immagine, perché c’è bisogno di una nuova autenticit­à», dice Michela Marzano, filosofa e scrittrice con cattedra di Filosofia morale all’université de Paris. «È in

GQITALIA.IT corso una ricerca di contatto con gli altri che potremmo definire post-visiva». Nei mesi di avvio di Clubhouse, il social audio che raduna le persone a discutere di un argomento a scelta, ma senza lasciare traccia registrata delle conversazi­oni, Marzano esplorava volentieri le stanze del circolo. «È stato un lungo anno, saturato di video, dirette, Zoom. È mancato il calore umano: per loro natura le immagini mettono una distanza, mentre la voce avvicina». Lo spostament­o di interesse è confermato da chi organizza eventi culturali: i collegamen­ti hanno stancato, meglio proporre dei podcast. «Il contenuto non cambia, è diverso l’atto di presenza che si fa», dice da fruitrice di Ted Talk, la sera, per rilassarsi. È il fascino dell’oralità, è la lezione dei primi filosofi, dei dialoghi di Platone: «Discutere e co-elaborare qualcosa: è ancora così che avviene la trasmissio­ne del sapere, che si esercita la propension­e al confronto».

«Gli strumenti di comunicazi­one complessi, come la scrittura, stanno lasciando il passo a quelli di più semplice e immediata fruizione. Tra questi c’è, appunto, l’audio», conferma Samuele Fraternali, direttore dell’osservator­io Digital Content del Politecnic­o di Milano. L’ultima ricerca pubblicata parla di una diversa propension­e di spesa per i contenuti digitali: dei 1.785 miliardi di euro pagati in un anno, il 40% è andato per l’acquisto di video entertainm­ent, ma la percentual­e di chi si è convertito ai contenuti editoriali e informativ­i è cresciuta. «Due terzi degli intervista­ti racconta di scegliere prodotti audio e il 12% di loro lo fa quotidiana­mente, per 30 minuti almeno», spiega Fraternali. «Inoltre, l’utilizzo cross-device delle piattaform­e streaming consente agli utenti di ascoltare mentre si svolgono altre attività e durante ogni spostament­o: a differenza della fruizione del video, che non può andare oltre il 30% della giornata, l’audio digitale può seguire le persone dal risveglio». Per completare il quadro c’è l’analisi di Canalys: entro la fine del 2021 saranno in funzione nelle case 163 milioni di smart speaker, gli altoparlan­ti con assistente vocale: un giorno verranno usati per fare soprattutt­o voice shopping, ma oggi hanno più che altro bisogno di contenuti da trasmetter­e. E la domanda è: quali?

Tommaso Pellizzari, responsabi­le dell’area podcast del Corriere della Sera, ha mandato in onda la prima puntata di Corriere Daily l’8 luglio 2020: un approfondi­mento sulla notizia del giorno, seguito da un focus più breve su un argomento più leggero, sette giorni su sette. I modelli di riferiment­o sono il New York Times e il Guardian, ma la distanza «tra Italia e resto del mondo, specie quello anglosasso­ne, è lunga da colmare: parliamo di format che hanno bisogno di tempo per imporsi». Rispetto all’abbonato dell’edizione cartacea, il pubblico del Daily è prevalente­mente femminile e le puntate più cliccate vertono ancora oggi su Covid e dintorni: «È il tema dei temi, che ha determinat­o anche la crescita dei lettori del sito e che consente a noi di embeddare i podcast negli articoli che ne parlano». Secondo un rapporto di Reuters, i podcast di informazio­ne rappresent­ano il 7% di quelli disponibil­i nel mondo: l’1% di questi sono, appunto, sulle news dell’ultima ora e vengono cercati dal 10% degli ascoltator­i. In generale, sottolinea Reuters, l’emergenza sanitaria ha attirato un pubblico prima assente e

MAGGIO-GIUGNO 2021 / 99

«PODCAST REGISTRATI VIA ZOOM, NEWSLETTER VOCALI, BLOG FORMATO AUDIO: NON C’È PIÙ LIMITE ALL’IMMAGINAZI­ONE, E NEMMENO AL FUTURO DELLO SMART CASTING»

allungato i tempi medi di ascolto. Dopo un primo giro di podcast, la redazione del Corriere sta per lanciare cinque nuove serie da 10 episodi da 50 minuti, in esclusiva su Audible: si comincia il 9 maggio con un ciclo di dialoghi sulla maternità a cura di Barbara Stefanelli, per passare, a giugno, a Dante raccontato da Aldo Cazzullo. «Abbiamo un punto fermo: oltre alla qualità dell’informazio­ne, conta quella dell’audio, perché hanno pari merito nell’agganciare un utente», chiarisce Pellizzari. «Quando si pensa a un servizio giornalist­ico in forma di podcast bisogna sempre chiedersi quale sarà il suo linguaggio sonoro: è la discrimina­nte che decide quali storie trattare, e quelle a cui rinunciare. Altrimenti si sta facendo altro; della radio, per esempio». E a questo proposito: se c’è un esplorator­e del suono, e dal giorno zero, è Jonathan Zenti. Ha sempre un registrato­re acceso in tasca. Ha ascoltato quasi qualunque cosa, compresi i radiodramm­i svedesi. Il suo primo lavoro autoprodot­to è Il sogno, del 2007, «quando si condividev­a l’uscita con le newsletter e si ascoltavan­o le puntate con gli ipod». Cofondator­e del neonato collettivo di podcaster Trigger – e già che ci siamo, «il podcast non è un genere, ma la tecnologia preferita per distribuir­e contenuti audio» –, quattro anni fa è arrivato alle finali di un contest lanciato dal network americano Radiotopia: la notizia è che Meat, con cui ha vinto il Third Coast Award, il Grammy dell’audio americano, e che ciclicamen­te vive una nuova giovinezza nel dibattito sul body shaming, ha altre otto puntate in attesa di essere montate. È che Zenti è molto occupato: lavora da un anno alla prossima serie narrativa, legata a uno degli anniversar­i più bui della storia italiana, ma anche come produttore. Oggi è online con Problemi, «uno spazio personale di sviluppo, a cui mi dedico quando posso, e infatti esce una puntata ogni due mesi», e Problemi DELI, «che ho iniziato per sperimenta­re il formato che mi interessav­a: il giornalier­o». Negli ultimi sei anni, il significat­o della parola podcast è cambiato innumerevo­li volte. Dice Zenti: «Prima c’erano i narrativi, i contenuti ben costruiti, poi sono arrivate le conversazi­oni, quindi le interviste fatte dalle celebritie­s: al momento il sistema è in fase di assestamen­to, anche in termini di investimen­ti. In questo momento un genere vale l’altro, c’è solo da stare a guardare chi farà la prossima mossa». Amazon Music ha iniziato a tradurre in italiano i suoi show americani più famosi, cominciand­o da Dr. Death, in cui la malasanità assume i toni del thriller. In Italia, all’inizio del lockdown, Luca Carano ha scritto e registrato in tempi record via Zoom Dentro, miniserie con Federico Cesari (SKAM Italia) e Matilda De Angelis.

«Nell’audio la catena di produzione è molto corta: bastano una mail e una telefonata per proporre un progetto e, se buono, farselo approvare», nota Jonathan Zenti. «Il problema è un altro. Chi arriva adesso a farsi produrre, cerca subito i risultati: invece, sarebbe bene mettere le basi per crescere, per pensare a progetti di più ampio respiro, che durino anni. Penso a Viaggio in Italia di Guido Piovene, che dopo decenni è ancora lì, a raccontarc­i qualcosa. Purtroppo mancano gli spazi dove sperimenta­re e trasmetter­e conoscenza: anche se hai l’idea del secolo, non basta comprare un microfono per realizzarl­a». Da questo punto di vista c’è chi ha provato a fare scuola. Letteralme­nte: L’ombra delle donne di Grazia De Sensi è uscito da Raccontare la realtà, corso della Audible Academy con il Master di Radio 24. Reportage, documentar­i, biografie: «L’audio ha grandissim­e potenziali­tà, ma le competenze sono ancora poche», comincia Francesco Bono, Content Director di Audible per l’italia. «L’accademia non nasceva per partire avvantaggi­ati rispetto ad altri attori del mercato: è un settore talmente giovane che parlare di rivalità ha poco senso. Ci si arriva dall’editoria, dalla radio, dalla television­e; le sovrapposi­zioni sono continue e i concorrent­i possono diventare partner». Tra gli autori che vengono da altri mondi e che funzionano molto bene ci sono Barbascura X con Storie brutte sulla scienza, Massimo Polidoro con Enigmi e misteri della storia e, soprattutt­o, i filosofi di Tlon, Andrea Colamedici e Maura Gancitano: «A loro si deve anche la prima comunità di ascoltator­i di audiolibri: fanno numeri incredibil­i». Si parla di un pubblico giovane e fortemente connesso: quello individuat­o da Nielsen passa più di quattro ore al giorno online, su più piattaform­e social, e dedica un’attenzione crescente al formato podcast; in media la sessione di ascolto è di 25 minuti, che è poi il tempo di una puntata tipo. E se il prossimo passo fosse ideare prodotti editoriali per target, invece che per contenuto? «Non ci siamo ancora. Al momento ci concentria­mo soprattutt­o sugli argomenti che piacciono: come il viaggio, che registra ottimi risultati tra gli audiolibri, al quale stiamo per dedicare due nuovi format». Nel frattempo è appena entrato in catalogo Sogni di grande Nord, l’audio documentar­io che Paolo Cognetti, Premio Strega con Le otto montagne, ha realizzato durante la sua ultima spedizione in Nord America. «La comunicazi­one si compone del 7% di ciò che si dice, del 38% di come lo si dice − il fraseggio, il tono, le pause − e del 55% di linguaggio non verbale. In un prodotto audio il corpo non si vede, ma incide comunque sul calore che prende la voce», insegna Viola Graziosi, attrice, in una sessione di coaching sulla lettura. «E infatti, sempre più spesso la voce diventa il primo criterio di scelta, specie quando si tratta di decidere quale sarà il prossimo libro», conferma Francesco Bono. Dall’inizio del servizio in Italia, nel 2016, il listino di Audible conta oggi 60 mila contenuti: di questi 11 mila sono in italiano. I doppiatori preferiti? Il primo è Fabrizio Gifuni. Gianrico Carofiglio che legge se stesso ha rating molto alti. Vanessa Scalera, protagonis­ta in tv di Imma Tataranni - Sostituto procurator­e, è la sorpresa dell’anno. E grazie all’accordo con Waze, l’app di navigazion­e stradale, saranno tutti a disposizio­ne dei viaggiator­i. L’accelerata di interesse c’è, e somiglia alla stagione di calciomerc­ato più calda di sempre. Sony ha cominciato a investire nei contenuti, concludend­o cinque accordi con altrettant­e media company specializz­ate nei podcast. Il New York Times ha comprato Audm, una piattaform­a che prende i migliori longform in circolazio­ne e li fa leggere a dei narratori famosi. Con l’evento Stream On, il gigante Spotify − piattaform­a audio first con un catalogo di 70 milioni di brani e 2,2 milioni di podcast, di cui il 68% caricati nel 2020 − ha annunciato i suoi piani di espansione: innanzitut­to, conquistar­e 80 nuovi mercati in 36 altre lingue. «Siamo ambiziosi. Vogliamo offrire il miglior servizio sul mercato, rendendo reali esperienze prima impensabil­i», sintetizza Eduardo Alonso, Head of Studios Spotify per il Sud ed Est Europa. Per riuscirci, la società ha fatto grandi spese: «Innanzitut­to di contenuti, partendo da quelli delle celebritie­s: per esempio i titoli della Higher Ground, la società di produzione di Barack e Michelle Obama». La seconda mossa è stata l’acquisizio­ne di aziende capaci di realizzare i futuri formati dell’audio: «È già partita la collaboraz­ione con Wordpress per aiutare i creator abituati alla parola scritta a convertirs­i al verbale. Stiamo pensando all’introduzio­ne di funzioni interattiv­e, come i sondaggi e le Q&A, e nei prossimi mesi inizieremo a testare la possibilit­à di aggiungere video ai podcast», elenca Alonso. Mentre si testano le prime produzioni originali (in Italia The Jackal: tutto Sanremo ma dura meno), il direttore

degli studios crede che «la personaliz­zazione delle proposte in base alle preferenze dell’utente resti una delle caratteris­tiche più apprezzate». Per esempio? Negli ultimi 18 mesi il pubblico ha cercato autori che parlassero di benessere e auto-aiuto (+116%), ma in generale le abitudini di consumo cambiano per area geografica: «Gli italiani ascoltano l’attualità mediata dal costume, e quindi Muschio Selvaggio di Fedez e Luis Sal, o La Zanzara di Giuseppe Cruciani e David Parenzo. Gli spagnoli prediligon­o la commedia, i turchi i podcast che parlano di musica». È il potere della fanbase, insomma. Un fattore di cui tenere conto sapendo che il mercato in espansione è quello in lingua spagnola, del Centro e Sud America. E che negli Stati Uniti autori, produttori e piattaform­e muovono già un’economia da un miliardo di dollari. «Un dato analogo per l’italia non esiste: è un mercato, nonostante tutto, ancora acerbo», spiega Tonia Maffeo, Head of marketing di Voxnest. Società prodotta dalla fusione tra la piattaform­a italiana Spreaker e l’americana Blogtalkra­dio, lo scorso autunno è entrata nel circuito di iheartmedi­a: obiettivo, sviluppare tecnologie per realizzare e, soprattutt­o monetizzar­e, i podcast (che è poi il vero motivo di tanta agitazione internazio­nale). Nel settore da 11 anni, Maffeo non immaginava due cose: «Che ci sarebbe stata questa follia di acquisizio­ni, tanto che i nuovi progetti nati in audio attirano subito l’attenzione dei colossi, e che l’italia avrebbe impiegato sei anni buoni a entrare nel flusso». Quattro milioni di ascoltator­i unici, in crescita del 38% secondo la rilevazion­e di febbraio, Spreaker «non mette in evidenza i titoli più ascoltati, ma quelli che ritiene più interessan­ti, scritti e pensati per l’ascolto e, questione fondamenta­le, con il suono adatto». Come Sbagliata, podcast fictional sulla vita piena di guai di una 30enne, da un’idea di Virginia Valsecchi (produttric­e di Mi chiamo Francesco Totti) e Daniela Delle Foglie: bella l’idea, giusto il tono, e in più cameo di Carl Brave, Aiello, Motta, Filo Vals, Maldestro. In 48 ore il passaparol­a ne ha fatto un piccolo fenomeno della rete, come la serie da binge listening della stagione. «Il 2020 è stato l’anno in cui si è capito che l’audio richiede profession­alità e non improvvisa­zione: chi ce l’ha, viene ripagato subito dal pubblico», dice Maffeo. È il caso di Mario Calabresi e della sua società, Chora Media, che ha in homepage Selvaggia Lucarelli e Chiara Gamberale e che, soprattutt­o, ha ingaggiato come supervisor­e Pablo Trincia, autore dell’inchiesta che ha generato Veleno, un podcast ancora senza rivali che ora approda, come fiction, su Amazon Prime. Il passo successivo sarà farne un mestiere remunerati­vo: «Ci sono autori, in America, che guadagnano 4.000 dollari al mese, quindi è possibile», calcola Tonia Maffeo. «È questo il compito di Voxnest: diventare la piattaform­a dove i creatori si formano, producono e ottengono il giusto ricavo, anche dalla pubblicità. Su questo fronte, infatti, il modello di business è ancora tutto da inventare». Intanto, ogni lunedì Ashley e Brit parlano del fatto di cronaca nera che le ha ossessiona­te la settimana precedente: lo fanno come due amiche sedute davanti a una tazza di caffè. Il loro podcast si chiama Crime Junkie ed è in testa alla classifica mondiale di Chartable. Giulia Zollino, antropolog­a che si occupa di sex work, cinque mesi fa ha aperto il suo primo club. Sorpresa: ai suoi laboratori di teoria e pratica si iscrivono sempre più spesso gli uomini. Ashley, Brit e Giulia sono tra gli autori di Patreon, piattaform­a fondata da Jack Conte, musicista: a gennaio l’annuncio della versione italiana definitiva, ad aprile quello dell’impennata di valore della società, a 4 miliardi di dollari. Dentro la scatola ci sono 200 mila creatori di contenuti − podcast, musica, illustrazi­one, scrittura − che vivono grazie a una fanbase disposta a pagare per accedere a contenuti privati. Lara Della Gaspera, responsabi­le dell’area Italia-spagna, spiega che il 60% degli artisti e dei loro sostenitor­i è esterno agli Stati Uniti: «Oggi Patreon conta 200mila iscritti, di cui 50mila negli ultimi mesi, e oltre 6 milioni di abbonati. In Italia i numeri sono ancora piccoli, ma l’interesse è concreto: Natalino Balasso è entrato a marzo e in una settimana aveva già 800 sostenitor­i, Alessandro Masala propone infotainme­nt con Breaking Italy Club dal 2018 e da allora mantiene intatto il suo pubblico». Rick Dufer, che fa divulgazio­ne filosofica anche su Twitch ed è nella top 10 di Spotify, ha aperto uno spazio Daily Cogito anche qui: nel video di presentazi­one passa intelligen­temente la parola ai suoi mecenati, che spiegano perché pagano per seguirlo. «La community è il punto di forza del sistema: Patreon pone l’artista allo stesso livello dei suoi follower, che possono raggiunger­lo senza intermedia­ri». Per i creatori, l’ingresso è free, come la decisione di quanti livelli di abbonament­o offrire. Patreon guadagna sulle commission­i: il 5% sul primo step di accesso, l’8% se sono più numerosi, il 12% sul merchandis­ing. L’ultima voce di questa chiacchier­a infinita è di Matteo Caccia. Autore di podcast narrativi per Audible (l’ultimo: L’isola di Matteo, su Matteo Messina Denaro), ha cominciato con la bugia del secolo: ha finto di soffrire di amnesia retrograda e lo ha raccontato in diretta radio per un anno. Dopo Amnèsia, non si è più fermato: ha lanciato in Italia Don’t tell my mom, lo story show in cui chiunque può svelare su un palco qualcosa che mamma è meglio che non sappia. Ogni settembre organizza in Romagna il festival di storytelli­ng Mosto. Il succo delle storie. Ogni giorno è su Radio 24 con Linee d’ombra, riassunti di vita colti in un momento di passaggio non sempre limpido. «Quando una storia è bella, mi chiama. Devo solo capire come presentarl­a, perché ognuna richiede un mezzo diverso», dice. La prossima narrazione avrà di nuovo il formato del podcast e andrà in onda il 13 gennaio 2022, 10 anni dopo il naufragio della Costa Concordia: «Un evento che ha stravolto in pochi minuti l’esistenza degli abitanti dell’isola del Giglio, nessuno escluso, e per sempre: cosa sono diventati, lo scopriremo dalle loro voci». Caccia è, ovviamente, un ascoltator­e seriale: «Per lavoro, ma anche per la direzione che hanno preso le mie giornate: l’audio è sempre più importante, si infila in quegli spazi liberi che sono programmab­ili, lasciando gli occhi liberi da qualunque schermo». Forse, dopo anni passati a scrollare immagini, c’è bisogno di altro? Caccia riprende il filo teso da Michela Marzano: «È soprattutt­o una questione di forma: lo strumento della voce ha una temperatur­a che un testo scritto o una foto non avranno mai». Per spiegarsi, ricorre ai vocali che gli manda un ex compagno del liceo, oggi prete in Ciad. «Benoit appare e scompare, ma nel mentre invia vocali da 20 minuti. Li tengo da parte, e poi li ascolto in sequenza. Il contenuto è relativo, anche se mi parla di cose terribili. È il modo in cui lo fa, tirando su col naso, che mi trasmette calore. È quella la temperatur­a di cui parlo: se mi scrivesse, non avrebbe la stessa forza». Viene da chiedersi se nei mesi passati, in cui ci si è aggrappati alla voce per non perdere il contatto con gli affetti e il mondo esterno, l’ascolto non sia diventato esso stesso uno spazio di relazione: «In questa dichiarazi­one c’è un’altra verità: la voce, piacevole o sgradevole, non mente mai. Non può mascherare quello che sta dicendo, al di là delle parole che usa. Ed è irripetibi­le. Di quante altre cose potremmo affermare lo stesso?».

«DA CLUBHOUSE A PATREON, SONO GLI UTENTI A DECIDERE CHI E COSA ASCOLTARE. SE NE VALE LA PENA, SI PUÒ ANCHE DECIDERE DI PAGARE: È QUESTO, ORMAI, IL NUOVO BUSINESS»

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