L’importanza di Virgil Abloh
Virgil Abloh è sempre stato in cima ai pensieri di GQ, da quando abbiamo deciso di dedicare un numero all’incrocio fertile e sorprendente della moda con le arti. Poi è successo quello che è successo: Abloh, quarantuno anni, nativo di Rockford, Chicago, direttore creativo del menswear di Louis Vuitton e fondatore del marchio Off-white, è scomparso il 28 novembre scorso lasciando sgomenta l’industria della moda e della creatività in genere.
CI SI È SUBITO RESI CONTO , in quelle ore, la portata di quel che Abloh, negli anni scorsi, è riuscito a fare: riscrivere i paradigmi e i codici del mondo cui apparteneva, e farlo da outsider assoluto. Nella moda, Abloh ha sempre suscitato pareri discordanti: ai puristi non piaceva, lo consideravano un intruso, uno lontano dall’epoca d’oro degli atelier e della moda vista come arte sartoriale alta ed esclusiva. Non ne capivano il metodo fondamentalmente: campionare e selezionare l’esistente, portare alla luce talenti emergenti e scene creative isolate, mettere in connessione, includere, citare tutto e il suo contrario in un infinito esercizio di stile. Il mio parere personale è che in molti confondessero il suo modo di fare le cose e la sua cultura di riferimento – l’essere un designer e un artista afroamericano in un mondo come quello della moda spesso dominato dai bianchi – con un’estetica, contrapponendo le felpe e le sneakers alle giacche e alle camicie. Ma la portata della rivoluzione di Abloh, e dopo il tragico evento è diventato lampante anche ai meno convinti, è stata enorme e ha avuto molto più a che fare con il processo creativo che con il prodotto finito. Lo racconta magistralmente per noi Antwaun Sargent, scrittore, curatore e critico d’arte americano, che ha passato gli ultimi due anni e mezzo della sua vita a decodificare il lavoro monumentale di Abloh per trasformarlo in una mostra. È una lettura che mi sento di consigliare a tutti, anche a chi non si occupa di moda o non ha mai sentito parlare di Abloh o del mondo da cui proviene. Ci sono dentro molte risposte alla complessità della contemporaneità, c’è dentro tutto un senso di fare le cose che spesso appare impossibile da mettere in fila nell’epoca in cui viviamo. Di Abloh, oltre a tutto il resto, mi piace sottolineare due aspetti: la sua urgenza di fare da mentore ai nuovi talenti e il suo rapporto speciale con Milano, dove la sua Off-white ha trovato casa fin da subito. Conosco personalmente alcuni dei migliori talenti creativi di questa città che sono stati letteralmente illuminati dal rapporto diretto con lui; una cosa mai successa prima, almeno non recentemente, dove moda e nuovi talenti, a Milano, per troppi anni non hanno fatto rima.
Dice Sargent nel suo saggio: “Virgil diceva ai giovani di fare quello che faceva lui: provare a realizzare tutte le idee che venivano in mente, senza stressarsi sul fatto che avessero successo o meno”. Gli dobbiamo tutti molto, e sarà un nostro impegno primario tenere accesa l’incredibile fiamma che è riuscito ad accendere.