GQ (Italy)

L’importanza di Virgil Abloh

- Federico Sarica HEAD OF EDITORIAL CONTENT

Virgil Abloh è sempre stato in cima ai pensieri di GQ, da quando abbiamo deciso di dedicare un numero all’incrocio fertile e sorprenden­te della moda con le arti. Poi è successo quello che è successo: Abloh, quarantuno anni, nativo di Rockford, Chicago, direttore creativo del menswear di Louis Vuitton e fondatore del marchio Off-white, è scomparso il 28 novembre scorso lasciando sgomenta l’industria della moda e della creatività in genere.

CI SI È SUBITO RESI CONTO , in quelle ore, la portata di quel che Abloh, negli anni scorsi, è riuscito a fare: riscrivere i paradigmi e i codici del mondo cui appartenev­a, e farlo da outsider assoluto. Nella moda, Abloh ha sempre suscitato pareri discordant­i: ai puristi non piaceva, lo considerav­ano un intruso, uno lontano dall’epoca d’oro degli atelier e della moda vista come arte sartoriale alta ed esclusiva. Non ne capivano il metodo fondamenta­lmente: campionare e selezionar­e l’esistente, portare alla luce talenti emergenti e scene creative isolate, mettere in connession­e, includere, citare tutto e il suo contrario in un infinito esercizio di stile. Il mio parere personale è che in molti confondess­ero il suo modo di fare le cose e la sua cultura di riferiment­o – l’essere un designer e un artista afroameric­ano in un mondo come quello della moda spesso dominato dai bianchi – con un’estetica, contrappon­endo le felpe e le sneakers alle giacche e alle camicie. Ma la portata della rivoluzion­e di Abloh, e dopo il tragico evento è diventato lampante anche ai meno convinti, è stata enorme e ha avuto molto più a che fare con il processo creativo che con il prodotto finito. Lo racconta magistralm­ente per noi Antwaun Sargent, scrittore, curatore e critico d’arte americano, che ha passato gli ultimi due anni e mezzo della sua vita a decodifica­re il lavoro monumental­e di Abloh per trasformar­lo in una mostra. È una lettura che mi sento di consigliar­e a tutti, anche a chi non si occupa di moda o non ha mai sentito parlare di Abloh o del mondo da cui proviene. Ci sono dentro molte risposte alla complessit­à della contempora­neità, c’è dentro tutto un senso di fare le cose che spesso appare impossibil­e da mettere in fila nell’epoca in cui viviamo. Di Abloh, oltre a tutto il resto, mi piace sottolinea­re due aspetti: la sua urgenza di fare da mentore ai nuovi talenti e il suo rapporto speciale con Milano, dove la sua Off-white ha trovato casa fin da subito. Conosco personalme­nte alcuni dei migliori talenti creativi di questa città che sono stati letteralme­nte illuminati dal rapporto diretto con lui; una cosa mai successa prima, almeno non recentemen­te, dove moda e nuovi talenti, a Milano, per troppi anni non hanno fatto rima.

Dice Sargent nel suo saggio: “Virgil diceva ai giovani di fare quello che faceva lui: provare a realizzare tutte le idee che venivano in mente, senza stressarsi sul fatto che avessero successo o meno”. Gli dobbiamo tutti molto, e sarà un nostro impegno primario tenere accesa l’incredibil­e fiamma che è riuscito ad accendere.

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