Objects of desire
Incursioni modaiole in quello che siamo soliti chiamare design
Anel vocabolario CERCARE il significato della parola ‘oggetto’ si rischia di infilarsi in uno di quegli abissi mentali su cui capita di affacciarsi quando si pensa a nozioni come ‘infinito’ oppure si ragiona su numeri enormi che non siamo soliti maneggiare.
Se si cerca la parola ‘cosa’, ancora peggio. Se però un oggetto è ‘ogni cosa che il soggetto percepisce diversa da sé’ allora per un brand di moda possiamo considerare come oggetti tutti quei manufatti che non hanno a che fare con l’abbigliamento.
Anche così il campo è molto ampio, esistono da decenni collezioni di arredamento progettate dai designer di moda, c’è tutto un mondo relativo al make-up, e poi addirittura il cibo, con pacchi di pasta, panettoni o gelati con abbinamenti di sapori e packaging in limited edition pensati ad hoc. Ultimamente però sempre più spesso si incontrano derive creative meno (o per nulla) indirizzate verso un risultato funzionale e che contengono piuttosto un certo gusto per la bellezza dell’idea, del gesto, del volume o della forma, in uno spettro che va dalla ricerca artigianale e certosina alla realizzazione quasi situazionista di oggetti orgogliosamente celibi.
Non è un qualcosa che nasce oggi ed esistono alcuni esempi illustri dal passato. Martin Margiela sin dagli inizi produceva collezioni non stagionali di oggetti bizzarri contrassegnati, secondo la rigida codifica numerica della maison, come Line 13. Penne a sfera che terminavano con un’enorme piuma come il pennino di un film in costume, matrioske di legno tutte completamente bianche, o enormi boule de neige piene di glitter. È invece del 2022 la presentazione di Objects II, il secondo drop di oggetti immaginati da Simone Rizzo e Loris Messina di Sunnei e realizzati da artigiani specializzati sparsi per l’italia. I due sembrano volersi interrogare su bisogni umani e condivisi: il cibo, la musica, la sessualità, il riposo. Rispondendo, attraverso il linguaggio del product design, con oggetti poetici e ironici: piatti e bicchieri, sedute, sgabelli, playlist su vinile, sex toys in vetro di Murano che potrebbero però tranquillamente arredare il coffee table di un salotto borghese. Oppure la candela monumentale in cera gialla a forma di Torre Velasca, per i bisogni razional-brutalisti degli amanti dell’architettura meneghina e dello storico gruppo BBPR.
Christoph Tsetinis e Ruby Wallen sono invece le due persone che nel 2019 hanno dato vita al marchio austriaco Published By. Realizzano accessori sfruttando le competenze assorbite nella loro vita precedente, quando entrambi lavoravano nel mondo dell’automotive, e sviluppano prototipi in 3D con software CAD che presentano virtualmente e poi iniziano a produrre solo quando effettivamente ordinati dai buyer, abbattendo così lo spreco di risorse per la realizzazione di modelli e campionari.
La cosa che però è ancora più interessante riguarda il design dei loro oggetti
e la scelta di concentrarsi nello sviluppo di proposte che rispondono alle sole regole della forma e della superficie. Borse che paiono monoliti alieni provenienti da un futuro lontanissimo e magico, e che non richiamano in alcun aspetto l’idea classica che visualizziamo mentalmente quando pensiamo alla parola ‘borsa’. Nei loro lavori, la ‘borsità’ è una nozione funzionale che sembra venire solo poi, come la scoperta di una possibilità che i due applicano a oggetto finito. Le loro creazioni sono solidi irregolari dalle superfici curve e perfettamente riflettenti che però sono anche borse.
Tra le bizzarre ossessioni della Gen Z che sono emerse nel corso di questi altrettanto bizzarri anni pandemici, ce ne sono due che spiccano per imprevedibilità: la micologia e la soffiatura del vetro, come dimostra il proliferare di documentari e talent show sulle varie piattaforme di streaming. Breanna Box e Peter Dupont con HEVEN si sono buttati sulla seconda. Coppia cosmopolita di modelli irrequieti che fanno anche altre cose – Box è musicista e documentarista, Dupont disegna una linea di abbigliamento e arredamento sostenibile – i due hanno deciso di sperimentare con il vetro durante i vari lockdown.
Vasi, bicchieri, bottiglie, alzate per torte, stoviglie classiche nella funzione che però assumono forme spontanee e divertite, che sembrano lasciare libertà e spazio all’improvvisazione in the making. Sul loro profilo Instagram non mancano poi le foto dei soffiatori all’opera, che fanno venire una gran voglia di provare a cimentarsi con vetri e fornaci, anche solo per vedere l’effetto che fa.
È invece un oggetto sinestetico, olfattivo-musicale, “Olfactive Stéréophonique” di Byredo. Esperimento realizzato da Ben Gorham, fondatore e direttore creativo del brand, e Devon Turnbull, ingegnere del suono e artista che ha creato il marchio di speaker artigianali Ojas.
Si tratta di un altoparlante per fragranze, che nasce dalla condivisa concezione dell’ascolto della musica come pratica rituale, virando però l’aspetto sonoro verso l’esperienza olfattiva. Un oggetto che utilizza la tecnologia e il design di un sound system non per riprodurre musica ma per propagare profumi.
L’intento è quello di riprodurre in maniera controllata e in uno spazio domestico la dimensione meditativa dei templi orientali in cui si mescolano i canti rituali e le suggestioni olfattive dei legni e degli incensi.
È un capitolo interessante questo, in cui la moda, intesa in un senso molto ampio, si diverte e sperimenta in territori altri, con materiali e tecniche che tradizionalmente non le appartengono. E forse è anche un modo per allargare i confini di quel mondo, in un’epoca in cui la creatività viene spesso infilata tra l’incudine della multidisciplinarietà e il martello della specializzazione.
Per chiederci cosa significhi sviluppare un progetto e anche quale sia il ruolo di un designer, quanto conti un’idea e quanto la tecnica o la tecnologia, il know-how come si dice, abbiano un ruolo nella creazione di un oggetto che aderisca perfettamente a quell’idea. Per riflettere su quanto tutto questo sia necessario o utile.
Oppure, può trattarsi anche solo di giochi, che sono lì a non dire niente se non loro stessi e a raccontare senza troppi fronzoli l’utilità della bellezza.