Kanye oltre lo specchio
La docuserie Jeen-yuhs: A Kanye Trilogy sarà una pietra miliare nel racconto del rap
POTER PER UN ATTIMO staccare dal Kanye del presente per immergersi appieno in quello del passato è un esercizio di astrazione che non può che aiutare nel non disperdere nell’aere il legame effettivo che ineluttabilmente si è creato con uno dei più grandi artisti che la musica rap ci abbia donato (stima d’impatto, non di gusto). Però, non esiste un Kanye di oggi senza quello di ieri, e viceversa. Il primo episodio della serie che ripercorre la sua storia si apre con un footage del presente, in una dinamica che suona ampiamente familiare: “Don’t tweet this”. Poi la telecamera stacca, si spegne, un leitmotiv della prima fase in tre atti della vita di Ye. Il commento più frequente davanti a Jeen-yuhs: A Kanye Trilogy è “ora capisco perché Kanye è così”. La sua è una storia di incomprensioni. In apertura, è contemporaneamente produttore del disco che ci ha proiettato nell’era moderna – non solo del rap, visto che The Blueprint uscì l’11 settembre 2001, portandosi dietro un peso che gli appartiene fino a un certo punto – ma pure uno sconosciuto costretto a rappare le sue strofe davanti a impiegati impassibili nei corridoi dell’etichetta che ha pubblicato il disco di Jay-z. Simmons, il regista, ha seguito Kanye per 20 anni, collezionando più di 300 ore di girato. Quello che è il punto di forza – una camera che fa parte della compagnia, anche se spesso chi è davanti all’obiettivo chiede degli stop – è pure il punto debole: la camera documenta, ma distogliendo il focus da Kanye in momenti in cui avremmo voluto andasse più vicina all’artista, fulcro della narrazione. A un certo punto, il progetto fu messo in dubbio. Kanye non voleva raccontare il vero sé, per lui quel fallimento iniziale non era e non sarà mai una conquista, ma l’ennesima dimostrazione di quanto sia creatura aliena. Una lettura interessante, che in qualche modo mette in dubbio la retorica del sogno americano. Essere self made man non come motivo di orgoglio, ma quasi come trauma che porta Kanye a mettere una maschera, quella che stiamo vivendo ancora adesso. Fin dalla prima puntata la serie è un affondo nella psiche di Kanye, un documento che sicuramente regala la grandezza musicale di un artista troppo spesso messo in secondo piano dall’aspetto umano.