La vita moderna
La Fondation Cartier pour l’art contemporain e la Triennale di Milano presentano la personale di Raymond Depardon
UN PONTE CULTURALE che unisce Parigi e Milano, privato e pubblico, arte contemporanea, architettura, design, moda, cinema, scienza e filosofia. La francese Fondation Cartier pour l’art contemporain e la Triennale di Milano, nel settembre 2020, presentavano al mondo la loro partnership di otto anni. Un impegno, quello della fondazione creata nel 1984 dall’allora presidente di Cartier International, Alain-dominique Perrin, e con sede a Parigi, in boulevard Raspail, in un edificio progettato dall’architetto Jean Nouvel, che non si è mai fermato, nonostante le difficoltà di questi anni e che, fino al 10 aprile, vede in scena La vita moderna, esposizione personale del fotografo e cineasta francese Raymond Depardon.
Trecento fotografie e due film per raccontare, nella più grande mostra mai realizzata dell’artista, il complesso e profondo lavoro fatto da
Depardon a partire dagli anni Settanta, per rinnovare profondamente il mondo dell’immagine contemporanea. Un percorso espositivo di oltre 1.300 mq frutto della direzione generale di Hervé Chandès, la partecipazione artistica di Jean-michel Alberola e le scenografie di Théa Alberola, che permette di viaggiare attraverso città e campagne e scoprire anche il ruolo fondamentale dell’italia nel lavoro di questo grande fotografo-regista. Una sezione è infatti dedicata al Piemonte e ai paesi dell’entroterra della regione di Torino, naturale prosecuzione del territorio francese, mentre l’ultima parte della mostra, la serie San Clemente (1977-1981), guida gli spettatori negli ospedali psichiatrici di Trieste, Napoli, Arezzo e Venezia: un reportage sconvolgente, frutto dell’incoraggiamento di Franco Basaglia, pioniere della psichiatria moderna, realizzato alla vigilia dell’adozione della Legge 180, nel 1978, destinata a rivoluzionare il sistema ospedaliero psichiatrico italiano. Complessivamente, La vita moderna mostra la ricchezza dell’opera di Raymond Depardon, la diversità dei suoi soggetti e la coerenza del suo percorso, attraverso otto serie fotografiche, due film e l’insieme dei libri che ha pubblicato. L’esposizione conduce il visitatore in una successione di interrogativi che attraversano tutta l’opera dell’artista: quali sono i soggetti che richiamano il colore e quelli per cui si impone il bianco e nero? Come evocare, in un’immagine, le trasformazioni di un paesaggio? Qual è il posto del fotografo e qual è la giusta distanza dal soggetto? Come distaccarsi dall’evento per rivelare i margini e i bordi? Cos’è la modernità in fotografia quando si percorre una zona rurale o si attraversano le strade di una città post-industriale?
Una serie di interrogativi ai quali l’artista cerca di rispondere mettendo in scena il dualismo della realtà: quello tra bianco e nero e colore, tra visi e paesaggi, tra terra avita e modernità. Il risultato non si traduce in antagonismo, ma in una ritrovata attenzione verso il mondo, una curiosità in movimento, uno sguardo aperto sull’incontro della diversità della nostra epoca.