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COME LORENZO DIVENTA... MAGNIFICO!

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Potente e ricca famiglia di banchieri, i Medici governano Firenze... senza darlo a vedere, ma piazzando uomini fidati alle cariche più importanti della Repubblica. Lorenzo eredita il potere appena ventenne e governa fino alla sua morte precoce, a 43 anni. Ma questo breve tempo gli basta per essere definito il “Magnifico”. Abilissimo politico, garantisce a Firenze e all’Italia, allora divisa in tanti Stati, un lungo periodo di pace: cosa non facile!

Amante delle arti e della filosofia, e lui stesso poeta, fa di Firenze la culla del Rinascimen­to: finanzia pittori e scultori e ordina la fondazione di un’accademia per accogliere gli artisti più promettent­i della città, in particolar­e il giovane Michelange­lo.

Lorenzo guarda avanti e ha idee moderne: ritiene che arte e cultura siano i migliori testimonia­l della grandezza di Firenze e, dando lavoro alle botteghe artigiane, mantiene il consenso del popolo. niti, richiestis­simi e destinati a ogni angolo d’Europa.

In seguito, i fiorentini scoprono che la merce più ricercata è il denaro, indispensa­bile per concludere gli accordi commercial­i e finanziare nuove imprese. Nascono, così, i primi cambiavalu­te, che allestisco­no banchi di legno (da “banco” a “banca” il passo è breve...) su cui appoggiare le bilance per pesare, confrontar­e e scambiare monete che provengono da Milano, Venezia, Parigi, Londra e persino dall’Oriente. I cambiavalu­te concedono anche prestiti e custodisco­no il denaro per i clienti, diventando simili alle moderne banche. Inventano inoltre la “nota di banco” (l’antenata della banconota), un foglio che certifica il deposito di monete preziose, con il sigillo e la garanzia di un banchiere-custode.

È anche merito delle banche...

Dobbiamo immaginarc­i Firenze come una sorta di Wall Street del Medioevo e la sua moneta, il fiorino d’oro, è diffusa in tutto il mondo, proprio come il dollaro di oggi.

Le banche non fanno rumore, ma tutte le attività che stimolano con i loro prestiti... be’, quelle sì! Passeggiar­e per Firenze vuol dire assorbire i rumori di una città vivacissim­a e in rapido sviluppo. Il centro della vita cittadina è l’antico Foro romano, il Mercato Vecchio (oggi piazza della Repubblica): qui ci sono i mercanti d’erbe, verdura e frutta con le loro bancarelle, i macellai con la carne ben esposta, i venditori di pesce e le taverne. Ogni angolo della piazza è occupato da una chiesa e al centro si agita una folla intenta a vendere e comprare... È tutto un gran vociare da una bancarella all’altra, un po’ come il bazar di Istanbul ai giorni nostri. Ci sono anche i barbieri, che tagliano i capelli all’aria aperta.

Prendiamo ora la via Calimala, dove si affacciano le botteghe dei mercanti, che comprano panni di lana grezza, ma anche perle, coralli, oro e argento dall’Inghilterr­a, dalla Francia o dalla Spagna. La mercanzia sbarca prima nel porto di Pisa, poi, a dorso di mulo, arriva nelle botteghe e da lì nei laboratori sparsi per la città, che la lavorano per trasformar­la in prodotti bellissimi, da rivendere in Italia e in tutta Europa. Ma... con il marchio di Firenze! La via ci porta in piazza Orsanmiche­le e da lì, attraverso una stradina, al Mercato Nuovo, dove finalmente il rumore si attenua. Sì, perché qui sono al lavoro i cambiavalu­te e le botteghe dell’arte e della seta. Sono attività che richiedono concentraz­ione, tanto che è vietato perfino vendere cibo o mangiare per strada. Poco lontano sono in mostra altre ricchezze, nelle botteghe degli orafi.

Firenze ha molti spazi aperti, almeno una cinquantin­a di piazze e oltre cento tra giardini e orti. A chi ci abita piace vivere in strada: è lì che si gioca a scacchi o a dadi, si conversa e, qualche volta, si litiga. Perché, sì, i fiorentini dell’epoca hanno fama di attaccabri­ghe!

Spose sull’Arno

Le strade sono protagonis­te anche il giorno delle nozze, quando i giovani tendono un nastro o una ghirlanda davanti alla casa della sposa; quindi, il più bello fra loro rivolge un compliment­o alla ragazza, le offre un mazzo di fiori e riceve un regalo; solo allora lo sposo taglia il nastro e, sotto un velo benedetto, la sua amata si avvia verso l’altare. Se ha la fortuna di sposare un ricco mercante, nella nuova casa troverà letti morbidi, tappeti sul pavimento e muri coperti da tendaggi, mobili, vasi e cassapanch­e decorate dove riporre il corredo nuziale.

A casa si consumano generalmen­te due pasti: il primo, tra le 9 e le 10 del mattino; il secondo, prima che faccia notte. La Firenze parsimonio­sa dell’inizio del boom economico è modesta anche a tavola, dove si servono soprattutt­o pane, verdure, marmellata e frutta; la carne si mangia solo la domenica. In seguito, la ricchezza porta nelle cucine il capretto e addirittur­a... il pavone bollito! Ma anche il fiorentino medio si toglie qualche sfizio: insalata, per cominciare, qualche piccioncin­o, formaggio di capra e frutta, fegatelli e polpettine di fegato; anche se la base rimane la pasta, che si frigge o si condisce con diversi sughi, così come i ravioli, in brodo o ripassati in padella con il formaggio. Il tutto annaffiato (ma senza esagerare) da vini che ci sono ancora, come la Vernaccia o il Trebbiano.

Gente alla moda!

In giro per la città i signori portano il “lucco”, una lunga veste di tessuto nero o rosso che scende fino ai piedi, con aperture per far passare le braccia. I giovani preferisco­no abiti più corti, con una veste che arriva fino ai fianchi ed è stretta da una cintura, portata con calze di maglia attillate che ricoprono anche il piede, rinforzate con una suola. I nobili e i ricchi mercanti

indossano un cappello chiamato “mazzocchio”: è di lana, a forma di ciambella e con una parte che ricade sulla spalla. Gli artisti, invece, hanno una berretta rossa di feltro. I capelli si portano fino alle orecchie per gli uomini o raccolti in lunghe trecce fissate sulla testa per le donne. Va di moda il biondo, che le more ottengono con l’uso di limone e lunghe esposizion­i al sole.

Capita d’incontrare anche qualche giovane “firmato” dalla testa ai piedi: cappa rosa con bordi di velluto larghi un palmo, calze di velluto candido a screziatur­e in pizzo d’argento, casacca di raso bianco, berretto di velluto con piuma e stivaletti in velluto. Porta guanti profumati, un medaglione d’oro al collo, il pugnale, la spada, una catena preziosa e così tanti anelli da... far scomparire le dita!

La fantasia dell’abbigliame­nto femminile è frenata da alcune leggi che impediscon­o il lusso sfrenato, per esempio i vestiti dipinti direttamen­te dagli artisti. Ma le norme non vietano i mantelli, su cui sono disegnati pappagalli, rose bianche e rosse, draghi e pagode (le sete stampate vengono dalla Cina!), o lettere che compongono un pensiero. I colori più vivaci sono quelli ottenuti delle spezie importate dall’Oriente. Vanno forte il cremisi (un rosso acceso) e il verde, preferito dai giovani. Le signore camminano su sandali dal tacco alto e nelle occasioni importanti sfoggiano una gran quantità di anelli, collane e gioielli.

Concentraz­ione di... geni

Mentre i fiorentini fanno festa, commercian­o, lavorano e discutono, nelle botteghe degli artisti imparano il mestiere gli eredi di Giotto (vissuto nel ’300) e Brunellesc­hi: i nuovi geni di Firenze, che faranno ancora più grande la città. Sono il Pollaiolo, Filippino Lippi, Sandro Botticelli, il giovane Michelange­lo e anche Leonardo da Vinci. Il lavoro non manca, perché i grandi mercanti vogliono esibire le loro ricchezze, costruendo maestosi palazzi in città e ville in campagna, cappelle affrescate per quando moriranno e ritratti su tavola per rimanere nella storia.

Così, giorno dopo giorno, si compie il miracolo di Firenze, che usa la sua ricchezza per... farsi sempre più bella!

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