LEGGERE ORWELL (E 1984) NEL 2021
Esce in varie edizioni il suo capolavoro grazie ai diritti tornati liberi.
Per Tommaso Pincio, traduttore dell’edizione più raffinata in blu Sellerio, Millenovecentottantaquattro di George Orwell è un libro «di magia nera»: «È un testo in grado di assumere diverse sembianze, mutante, con la capacità di adattarsi ai tempi, al momento in cui ti trovi a leggerlo». Orwell finisce di scriverlo nel 1948, anno che fa da specchio a quello dell’azione, in una Londra povera, traumatizzata dalla guerra e invasa dall’odore di minestra di cavolo che pervade il romanzo.
Amato dagli adolescenti alla ricerca di opere che diano voce al lato oscuro dell’esistenza, il romanzo si dichiara dalle prime righe come un’anti-avventura. Il protagonista Winston Smith, 39 anni e un’ulcera a un piede che fa capire di non poter fare affidamento sul corpo dell’eroe, sta entrando nel palazzo claustrofobico e decadente dove vive, solo, assediato dallo sguardo del Big Brother (Pincio lo traduce con Fratello Maggiore) e dall’occhio elettrico degli schermi che spiano e trasmettono propaganda per 24ore al giorno. «Ho tradotto il romanzo durante la prima ondata di pandemia», racconta Pincio. «Ero andato a trovare la mia famiglia in Thaidicembre landia, non lontano da dove Orwell aveva lavorato negli anni Venti come agente della Polizia Imperiale. A un certo punto il governo militare thailandese ha interrotto i voli e chiuso i confini, io sono rimasto bloccato per mesi in una località turistica che ha improvvisamente assunto un’aspetto fantasma».
Il romanzo esce per la prima volta nel 1949, un anno prima della morte prematura di Orwell per tubercolosi, e ha subito successo. Colonizza l’immaginario popolare con l’adattamento televisivo della BBC, andato in onda nel
1954 e seguito da sette milioni di spettatori. Il titolo, pensato da Orwell come una parola, in Italia diventa 1984 dalla prima traduzione di Gabriele Baldini, uscita nel 1950 per Mondadori. Oggi, allo scadere dei 70 anni dalla morte di Orwell e con i diritti che tornano liberi, il libro esce in tante nuove traduzioni d’autore, tra cui quelle di Franca Cavagnoli per Feltrinelli, di Marco Rossari per Einaudi e di Vincenzo Latronico per Bompiani (l’unica casa editrice, a parte Sellerio, a scegliere di riportare il nome all’originale formato alfabetico).
La doppia possibilità di scrittura del titolo è emblematica di una delle caratteristiche più affascinanti del libro, l’ambiguità. Millenovecentottantaquattro, nella scrittura di vetro e al di là degli ammonimenti politici contro i pericoli dell’autoritarismo (e se fosse il punto più debole, più datato del romanzo?), ha un cuore oscuro che cattura le lettrici e i lettori tredicenni che cercano di dare un nome alla fine dell’infanzia, all’ombra che sale da dentro, al 2+2 che, inspiegabilmente, inizia a dare per risultato 5: «La rabbia», scrive Orwell, «era un sentimento astratto, un’emozione priva di un bersaglio preciso, che poteva essere spostata da un oggetto all’altro come il fuoco di una fiamma ossidrica». E infine, chi è il Fratello Maggiore, il mostro autoritario dallo sguardo indifferente che cancella passato, futuro e vocabolario e vaporizza chiunque tenti di formulare un pensiero? Ha i baffi come Hitler e Stalin, ma assomiglia parecchio a George Orwell: «Resta da capire perché uno scrittore come Orwell, che rivendicava un’avversione innata per ogni forma di autorità, debba autoritrarsi nell’odiosa figura del Fratello Maggiore», scrive Pincio nella prefazione. Ecco la risposta: «Scavando nella sua vita privata, è possibile scoprire una personalità meno integra e limpida di quella che appare in superficie. Emerge il demone senza il quale nessuno, secondo quel che lui stesso diceva, si sobbarcherebbe la fatica di scrivere un romanzo».