IL RITORNO DI HUGH E BRYAN
Un paio di attori simbolo dei decenni passati tornano in due delle serie del momento.
A volte ritornano. Attori celebrati e mitizzati spariscono, nascosti in lunghe pause di riflessione o in progetti minori, per qualche anno dimenticati, ma mai veramente.
Il curioso caso di due tra le serie tv più attese dell’anno, una targata Hbo e una Showtime, entrambe in Italia su Sky Atlantic, che a gennaio e febbraio ripropongono come protagonisti due attori grandi e amatissimi, anche se simboli di epoche diverse. Stiamo parlando di Hugh Grant e Bryan Cranston: mitologico interprete del romanticismo anni 90, il primo; volto pittorico dei disfunzionali anni Zero, il secondo. Dall'8 gennaio è arrivata The Undoing, quella che negli Usa viene definita una miniserie, sei puntate scritta dal veterano della tv americano David E. Kelley, lo sceneggiatore-produttore marito di Michelle Pfeiffer che, dopo Big Little Lies, collabora per la seconda volta con Nicole Kidman, prima attrice di questo legal-thriller tiratissimo, che non si riesce a smettere di guardare. Accanto alla Kidman, ci sono la sorprendente Matilda De Angelis, un Donald Sutherland carismatico come non mai e appunto un redivivo Hugh Grant con una prova straordinaria, elegante e goffo allo stesso tempo, comico malinconico, ma qui con una sfumatura che mancava al suo repertorio, quella del cattivo e dell’impostore, o almeno con il dubbio che lo sia che accompagna lo spettatore fino all’ultima puntata. Dirige Susanne Bier, ex “autrice”, danese, con un passato nel Dogma, diventata punta di diamante della tv e del cinema in streaming (il suo Bird Box con Sandra Bullock è tra i film più visti di sempre su Netflix). Incredibile come a volte le carriere prendano direzioni strane, incredibile pensare che dopo essere stato il sogno di tutte le donne del pianeta, Grant si sia ripreso le scene nel 2016 per una parte in Paddington 2, film su un orsetto di peluche che si comporta come un umano.
Leggermente diverso il discorso per Bryan Cranston, ma neanche tanto. Tutti si chiedevano quali fossero i suoi programmi dopo il tripudio di Breaking Bad. Lui si è messo a fare lo showrunner (Sneaky Pete) e si è dedicato soprattutto a piccole apparizioni, che sembrano un po’ quella che era la sua carriera prima del grande successo di Breaking Bad. Quasi come se non volesse consumarsi e aspettasse il progetto giusto. A un certo punto il progetto giusto sembra essere arrivato. È Your Honor, un legal drama tratto dalla serie israeliana Kvodo e, a differenza di Grant, Cranston non cambia in fondo poi tanto il repertorio che sa fare a memoria: quella dell’uomo normale che si trova a compiere azioni che normalmente non compirebbe per non fare andare in pezzi la sua vita. In questo caso, un giudice della corte distrettuale di New Orleans che insabbia le prove che vedono suo figlio responsabile di un omicidio colposo alla guida di un’auto. Con il piccolo problema che il morto è un altro ragazzo, rampollo della famiglia mafiosa più potente della città. E l’ulteriore complicazione che il primo sospettato è un altro ragazzo nero del ghetto. Una specie di Falò delle vanità contemporaneo, al cui interno si muovono gli umori irrequieti dell’America trumpiana, tra privilegio bianco ed esclusione razziale. Umori perfettamente rappresentati dall’angoscia trattenuta sul volto di Cranston, le piccole rughe, il sudore, la calma apparente che si tramuta improvvisamente nella rabbia scomposta di un americano bianco sempre dalla parte dei giusti, tranne che in questo caso.