FILM SENZA FESTIVAL
«Non è la sala buia a mancarci, in questi mesi che conducono verso il vaccino. È quel che gira intorno. Sono le chiacchiere, i litigi, e – mai l’avremmo immaginato – le code fuori dalle sale. A mancarci sono i festival: dieci giorni di immersione totale, dove non si parlava d’altro che di cinema. Una meravigliosa bolla, a metà tra il Truman Show e la gioielleria di Colazione da
Tiffany: Cannes – o Venezia, o Berlino, in anni lontani perfino Locarno – erano “posti dove non può succederti niente di male”».
Tempi grami per i festival. E per i festivalieri impenitenti. Non è la sala buia a mancarci, in questi mesi che conducono verso il vaccino. È quel che gira intorno. Sono le chiacchiere, i litigi, e – mai l'avremmo immaginato – le code fuori dalle sale. Assembrati, con Variety o Hollywood Reporter a portata di mano per leggere le ultime notizie, e un orecchio teso ai commenti dei vicini. Dieci giorni di immersione totale, dove non si parlava d'altro che di cinema. Una meravigliosa bolla, a metà tra il Truman Show e la gioielleria di Colazione da Tiffany: Cannes – o Venezia, o Berlino, in anni lontani perfino Locarno – erano “posti dove non può succederti niente di male”.
Chi può cambia le date, altri ricorrono allo streaming. La Berlinale (di solito a febbraio) si divide tra il mercato online a inizio marzo, e le proiezioni per il pubblico in estate, così si potranno fare all'aperto, se la situazione sanitaria lo richiede. Mentre scriviamo, Cannes ancora medita sul da farsi – è stato il primo dei festival cancellati, nel 2020. Aveva scelto comunque i suoi film, con la conseguenza – magari non intenzionale, ma i fatti sono fatti – di ritirarli dalla circolazione. Vale per tutti The French Dispatch di Wes Anderson, ambientato nell'immaginaria cittadina francese di Ennui sur Blasé (un nome così e Bill Murray bastano per sognare).
A gennaio, per ribadire il nuovo posizionamento della piattaforma streaming nel salotto buono del cinema, Netflix ha annunciato i titoli in arrivo nel 2021. Parliamo solo di film, non di prodotti seriali (che comunque avevano già fatto il loro ingresso nei festival che guardavano al futuro, con qualche polemica su cosa debba essere considerato cinema). Nel trailer, una parata di star annuncia 71 titoli nuovi di zecca. Apre la sfilata Gal Gadot, l'eroina di Wonder Woman 1984, che la concorrente Warner Bros propone per gli Oscar in tutte le categorie.
Basteranno per consolarci? In parallelo, il sito Deadline proponeva l'elenco dei film in dirittura d'arrivo per i festival del 2021 (l'ottimismo della volontà batte il pessimismo della ragione). Un solo titolo compare in entrambe le liste: The Power of the Dog di Jane Campion. La regista che vinse la Palma d'oro al festival di Cannes 1993 con Lezioni di piano ora svolta verso le sparatorie del romanzo di Don Winslow Il potere del cane, cartelli della droga tra Messico e Usa.
Molti i nomi e i titoli ghiotti, almeno sulla carta. Per esempio Lin-Manuel Miranda – il genio che ha fatto sensazione con Hamilton: i padri fondatori degli Stati Uniti che cantano, ballano e scrivono nella Costituzione con la parola “felicità”. Per Netflix dirige Tick Tick… Boom, gran successo a Broadway con tre Tony Award per il compositore Jonathan Larson. Ma come succede ai festival, anche la combinazione più promettente può deludere.
Son cose che si giudicano a posteriori. Ricordiamo benissimo il battage che per mesi celebrò il film di Martin Scorsese The Irishman. Alla prova dei fatti, una delusione che alternava scene di massa e primissimi piani (peraltro su attori sinteticamente ringiovaniti) come se lo storyboard fosse stato ridisegnato di corsa per i piccoli schermi. Ma ricordiamo altrettanto bene Roma di Alfonso Cuarón, che fu rifiutato dal Festival di Cannes, e il più recente Mank di David Fincher. Bianco e nero per entrambi, scelta che – già in tempi normali – solo i film a basso costo e a circolazione limitata potevano permettersi. Se non è la rivoluzione, poco ci manca. I nostalgici se ne faranno una ragione.